L'INDAGINE
Manuale per un turismo sostenibile
Comitive di stranieri che sciamano nelle città d’arte, le solite mete che scoppiano, la massa in viaggio in versione mordi e fuggi. Come affrontare l’overtourism, favorito dal boom degli affitti brevi. Idee, alternative e qualche caso di scuola
Ci mancava il crash informatico dei voli per il bug sul sistema Crowdstrike, a rendere ancora più evidente il fenomeno di ipertrofia delle presenze che domina le cronache da città e luoghi di villeggiatura: la gente buttata per terra o in disordinata fila negli aeroporti, nel giorno del crash, è tanta, tantissima, una marea. Com’è tanta, tantissima, una marea, un fiume inarrestabile, la gente che non si può neppure dire sia a passeggio, nel caldo e nei centri storici delle nostre città d’arte, ché passeggiare è impossibile quando si deve fare a zig-zag tra zainetti, ciabatte, ombrelli anti-sole e mani che si intrecciano per non perdersi.
Che cosa sta succedendo? Due scene per il tutto. Barcellona, un pomeriggio di luglio: per le strade della città che accoglie trenta milioni di turisti all’anno, e che all’inizio dell’estate ha dovuto anche affrontare un’emergenza siccità, ventimila cittadini sfilano per le ramblas al grido di “Turist go home, you’re not welcome”. Il bersaglio sono le masse itineranti che scendono dai mezzi di trasporto, e i corollari del rincaro nei servizi e nei canoni di locazione, anche se nel 2028, a Barcellona, arriverà lo stop alle licenze per affitti brevi. Ma il malumore è salito così tanto, nella città dove si è vissuto di recente il razionamento dell’acqua, che le masse sono viste come causa di tutti i mali, al punto che i manifestanti si mettono a sparare con le pistole ad acqua contro i turisti attoniti.
Seconda scena. Francia, porto di Finistèrre, Bretagna, inizio estate: un gruppo di attivisti “no tourism” blocca l’ingresso di una nave da crociera, impedendo lo sbarco di settecento passeggeri. Spostandoci in Italia, è di questi giorni la cronaca dalla Puglia, sul sito del Corriere della Sera, in cui si denunciano “risse quotidiane” a Gallipoli, nota località dove però i turisti, paradossalmente, vengono quest’anno disincentivati (per la disperazione dei gestori di stabilimenti balneari) dalla dislocazione dei parcheggi, pensata per ovviare all’arrivo di orde di bagnanti automuniti sul litorale, ma finita male per effetto boomerang: parcheggi lontani, gente in fuga.
Città o spiaggia che vai, folla che trovi, nel perimetro iconico Roma-Firenze-Venezia-Napoli-Costiera Amalfitana-Capri-Portofino-Puglia: strade, piazze e lidi si riempiono di gruppi, gruppetti, grupponi. Si dice: il turismo di massa porta con sé soltanto consumi omologati e al ribasso, con rivendite di panini, pizza, cioccolata e gelati al posto delle storiche botteghe. Risuona il ritornello: le città diventeranno enormi parchi-divertimento a tema, a scapito di chi ci abita. Ma siamo davvero condannati? L’overtourism è davvero soltanto inferno annunciato o esistono correttivi per fare sì che possa essere visto come opportunità di crescita per città o siti archeologici e balneari?
Sul piano internazionale, c’è intanto chi invita alla cautela. Sebastian Ebel, ceo di Tui (Tourism Union International, gruppo tedesco con sede a Hannover), ha invitato le comunità locali a non scagliarsi contro il turismo senza distinguo, ma a cercare di enucleare le responsabilità vere del sovraffollamento, tra cui le politiche dei grandi tour operator e la sottovalutazione dell’impatto di questi flussi incontrollati sulla popolazione locale da parte delle istituzioni governative nazionali e locali. E c’è chi comincia a pensare a misure di controllo, contenimento, dilazionamento, oltre alla regolamentazione degli affitti brevi. L’industria turistica contribuisce alla crescita economica, ma come fare sì che sia anche sostenibile? è la domanda che si impone. E come mettere d’accordo la domanda straripante e l’offerta che insegue, ma non sempre in direzione di un turismo di valore, nel boom post Covid?
Intanto, a Venezia, qualche giorno fa, il consigliere comunale di centrosinistra Giovanni Andrea Martini, parlando del caro affitti “determinato dal turismo”, ha invitato provocatoriamente a seguire l’esempio spagnolo: “Che ne dite? Ci armiamo di pistole ad acqua?”. E venerdì, in una conferenza stampa sui primi mesi di sperimentazione in tema di contributo di accesso a Venezia, il cosiddetto “ticket”, il sindaco Luigi Brugnaro gli ha risposto a distanza: “Altro che argine moderato agli estremismi”, ha detto, illustrando intanto i risultati del suo esperimento: contributo di accesso al nucleo centrale della città per chi non abbia una stanza in albergo o non sia residente o studente, gestito con un sistema di prenotazione e relativo qr-code nei giorni da bollino rosso. Gli incassi, diceva Bugnaro a inizio anno, prima di dare avvio alla sperimentazione, verranno reinvestiti in servizi per l’efficienza della città. E i numeri dicono, che, in questi primi mesi, da fine aprile a oggi, il contributo di accesso ha fatto arrivare nelle casse veneziane 2.425.310 euro per 29 giornate. “L’idea”, diceva Brugnaro al lancio dell’iniziativa, “è quella della prenotabilità di una città”.
Questi primi mesi sono serviti per studiare la situazione, “e ancora studieremo”, dice oggi il sindaco. Il contributo di accesso, spiegano i suoi collaboratori, “è uno degli strumenti messi in atto per porre un freno all’escursionismo giornaliero mordi e fuggi, attraverso una misura innovativa prevista da una legge nazionale (la legge 30 dicembre 2018, n.145, legge di Bilancio 2019, ndr). E’ un invito ai turisti giornalieri a scegliere date alternative. Lo scopo è un rinnovato equilibrio tra residenti, city-user e visitatori del centro storico, che desiderano vivere emozioni positive in un sito patrimonio mondiale Unesco dal 1987”. Non c’erano altre soluzioni praticabili, a Venezia, dice Brugnaro.
Che cosa dicono invece gli operatori di settore, su un tema, come l’overtourism, che interroga addetti e non addetti a livello italiano e internazionale e che impatta su tutto il comparto? Quali possono essere i modelli di ospitalità? Abbiamo girato queste domande ad alcuni interlocutori che conoscono dall’interno la questione, in un momento di grande crescita della domanda, anche considerando il possibile indotto del turismo non “mordi e fuggi” su un certo tipo di territorio. Esistono soluzioni valide anche su flussi turistici di fascia economica diversa e suggerimenti utili a governare l’ipertrofia delle presenze senza preconcetti? Per il presidente di Federalberghi Bernabò Bocca, “l’abuso della terminologia ‘overtourism’ rischia di portare alla demonizzazione di un fenomeno che invece crea ricchezza nel nostro paese: l’incremento del pil italiano, oggi più alto che in altri paesi europei, è dovuto quasi esclusivamente al settore del turismo. Non vediamolo come un nemico, quindi. Certo, come tutte le opportunità va governato, se non si vuole che scappi di mano”. Il numero di turisti che visitano le città d’arte, dice Bocca, “è aumentato in modo esponenziale, ma è un turismo che non soggiorna negli alberghi. Le camere d’hotel non sono infatti aumentate nelle città d’arte, ma è cresciuto il numero di turisti che soggiornano in appartamenti, e non c’è portone da cui non sbuchi una coppia con un trolley. Solo che poi le nostre città non hanno servizi sufficienti per gestire un numero così elevato di persone, basti vedere le code interminabili per i taxi, problema non risolvibile con 1000 licenze in più a Roma, goccia nell’oceano. Tutte queste persone devono potersi muovere con mezzi alternativi ma, vedi le metropolitane romane, si apre poi spesso anche un problema di sicurezza”. Dall’altro lato, dice Bocca, “c’è il tema della destagionalizzazione. Si dovrebbe cioè facilitare la redistribuzione dei flussi di turisti durante l’anno, sfruttando l’attrattiva di alcuni grandi eventi. Non vorrei insomma che la soluzione indicata per il problema fosse soltanto quella di raddoppiare la tassa di soggiorno – che colpisce chi dorme nelle strutture regolari. Avvierei piuttosto la lotta all’abusivismo dilagante, salvaguardando i centri storici”. Perché “un conto sono i borghi”, dice il presidente di Federalberghi, “posti dove magari non ci sono alberghi, e allora gli appartamenti compensano la mancanza di offerta, ma nelle città d’arte gli hotel non mancano, anche fuori dal centro. Parlo per esempio di Firenze, che ha molte meravigliose bellezze dislocate attorno al centro: ecco, promuoviamole”.
Da Capri – isola-gioiello dove ogni giorno sbarcano migliaia di visitatori, di cui molti per una sola giornata, e anche visitatori che fanno parte di quello che viene considerato turismo di alta gamma – Ermanno Zanini, vice presidente del gruppo mondiale Jumeirah (Hotels&Resorts) e dg del Capri Palace, sposta la prospettiva sul “che cosa” si cerca in un viaggio: “Il viaggio è aspirazione, anelito di scoperta e conoscenza. Non possiamo pensare di respingere ma, di fronte a numeri imponenti, dobbiamo adeguare l’offerta”. In base ai dati diffusi dal ministero del Turismo, nel 2023 in Italia si sono registrati oltre 134 milioni di arrivi e 451 milioni di presenze negli esercizi ricettivi presenti sul territorio nazionale. “Un numero impressionante”, dice Zanini, “che però può essere gestito”. Come? “Il tema principale è che il settanta per cento circa del territorio italiano è escluso dalla mappa delle visite e dei soggiorni. Il turismo in Italia, cioè, si distribuisce a macchia di leopardo. Ma sappiamo che il nostro paese non è soltanto una manciata di luoghi iconici. Faccio l’esempio della Calabria, destinazione di grande interesse non raggiunta dai grandi flussi turistici anche per un problema di infrastrutture. La situazione potrebbe intanto cambiare se fosse raggiungibile da Roma in tre ore, con l’alta velocità. Oppure si pensi a città ricche di storia come Ferrara e Ravenna, ancora relativamente fuori dai flussi principali. Ecco, la chiave è, al tempo stesso, nel modello di marketing, nell’adeguamento attento dell’offerta e nelle politiche di contenimento dei flussi. Ma senza discriminare. Tutti devono poter godere delle bellezze del paese. E una famiglia che magari fa sacrifici per venire due giorni a Capri, spendendo duecento euro solo di trasporti, più i pasti e il costo della notte, ha il diritto di girare per l’isola senza eccessivo affollamento o code interminabili, esattamente come chi spende molto di più in una struttura esclusiva. Nessuna esperienza di visita, insomma, dovrebbe essere negativa e respingente”. Chiediamo a Zanini se, per Capri, potrebbe andare bene un contributo di accesso come a Venezia. “A me non piace molto, come soluzione, anche perché poi si porrebbe il problema del chi incassa il contributo e come”, dice. “Meglio sarebbe, a mio avviso, tenere a mente che ogni ecosistema ha un suo limite e contingentare il numero di ingressi con un sistema di prenotazione gratuito con priorità per le presenze stanziali, cioè ospitate nelle strutture recettive. Una volta raggiunto il numero soglia per quel giorno, combinando presenze stanziali e non, si passa al giorno successivo. E se è vero che il turista stanziale paga una tassa di soggiorno, è anche vero che la tassa di soggiorno, arrivando nelle casse comunali, contribuisce a migliorare i servizi, in un circolo virtuoso”.
Poi c’è il caso Puglia, regione raggiunta dal turismo di massa già da molti anni, complici le spiagge dalla sabbia chiara, il cibo, i festival di pizzica, ma anche regione in cui un altro tipo di turismo si è diffuso, dal 2010 a oggi. Non a caso l’ultimo G7 si è svolto a Borgo Egnazia, borgo immaginato ed edificato dalla famiglia Melpignano sulla base di un modello di ospitalità di alta gamma sperimentato già alla Masseria San Domenico, a partire dal 1996, e poi declinato nel Borgo, con l’idea di dare impulso alla diffusione della “destinazione Puglia” su un altro piano, e a una sorta di effetto emulazione sul territorio. E’ una grande responsabilità, dice Aldo Melpignano, co-proprietario di Borgo Egnazia, vicepresidente del settore ospitalità della Fondazione Altagamma e fondatore e vertice della management company Egnazia Ospitalità italiana (che gestisce altre realtà non di proprietà, sul modello pugliese, da Cortina d’Ampezzo a Maratea). Borgo Egnazia, costruito da zero tra il 2005 e il 2010, con uno stile che omaggia all’architettura storica locale, tra mare, ulivi e Val d’Itria, propone, come si legge sul portale, “un concetto di ospitalità basato sulla cultura del territorio e sull’interpretazione contemporanea della tradizione”, e con lo sguardo rivolto a un pubblico internazionale. A Borgo Egnazia, il luogo dove i grandi del mondo si sono riuniti un mese fa per il G7, i dipendenti vengono chiamati “talenti” (se i dipendenti stanno bene, stanno bene anche gli ospiti, è la filosofia sottostante). “Non considero la grande affluenza turistica un problema”, dice il co-fondatore Aldo Melpignano, “piuttosto penso sia una risorsa e un’occasione, a patto che si sia in grado di indirizzarla bene. Intanto, è un buon punto di partenza essersi dotati, come paese, di un ministero del Turismo con portafoglio. Secondo: sfatiamo il mito di un turismo alto di gamma chiuso in sé stesso. Al contrario, il turismo alto di gamma può essere e in molti casi è volano di sviluppo. Faccio l’esempio di Savelletri, ex villaggio di pescatori oggi visitato da migliaia di persone proprio per la vicinanza con Borgo Egnazia. E i clienti che alloggiano alla Masseria San Domenico o a Borgo Egnazia hanno un impatto sull’indotto del territorio. Sono clienti che spendono, e che spendendo creano sviluppo e prospettive. E’ sbagliato fermarsi all’etichetta ‘turismo per ricchi’”. Chiediamo a Melpignano se ha una ricetta per ribaltare il terrore dell’overturismo. “Fare sistema a tutti i livelli”, dice, “potenziare le infrastrutture, curare i servizi, tenere presente che l’Italia può essere una destinazione perfetta per visite ricorrenti in località non scontate, sulla spinta di un calendario di valorizzazione dei grandi eventi: ci sono ancora molti luoghi da scoprire e valorizzare”.
E ancora, dice Melpignano, “si potrebbe seguire l’esempio di alcuni paesi per ‘guidare’ i grandi flussi. Ricordo il caso di un noto sito di immersioni nello Sri Lanka, qualche anno fa preso d’assalto ma poi inserito in una sorta di percorso di collegamento automatico con altri due siti analoghi, ma meno famosi. Come dire: vuoi fare diving lì? Perché non vai anche là? Vuoi visitare Milano? Allora visita anche Mantova e Pavia. Si faciliterebbe l’alleggerimento di alcune destinazioni, oggi invase dai turisti”. La fondazione Altagamma ha redatto recentemente un Libro Bianco per sottolineare, si legge, “l’urgenza di definire strategie turistiche per il riposizionamento verso l’alto dell’offerta turistica italiana”, considerato che il turismo di alta gamma (dati sul 2023) “rappresenta meno dell’1 per cento delle imprese di soggiorno, ma genera il 25 per cento della spesa dei turisti nel nostro paese”. Ci sono poi i dati Istat: nel 2019, anno pre Covid, l’industria turistica ha generato oltre il 13 per cento del pil italiano e ha assicurato il 14 per cento dell’occupazione. Oggi, passata la tempesta pandemica, il settore ha ripreso a correre più di prima, anche se a un’osservazione empirica troppo e verso il basso. Si torna allo spauracchio dell’overturismo che tutto fagocita e distrugge. Spaventarsi non serve, dicono in coro gli operatori. Riposizionare, destagionalizzare, riqualificare l’offerta in generale e nelle destinazioni di interesse primario stracolme (Roma, Firenze, Venezia) e, ultimo ma non ultimo, responsabilizzare cittadini e turisti a una fruizione rispettosa e consapevole. Ma per questo servono amministratori capaci e campagne locali dedicate (ultima chiamata per sindaci e governatori?).
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