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È boom di "sleep tourism", ma tanto invecchia e muore anche chi dorme otto ore

Saverio Raimondo

Pagare cifre da capogiro per andare in hotel con le suite insonorizzate, letti comodissimi, temperature e tessuti che ricordano l’esperienza di un bozzolo o di un utero e… dormire. Il cinismo degli albergatori che speculano sulla letargia e sulla depressione

Se con il fenomeno dell’“overtourism” pensate che il turismo abbia manifestato la sua faccia peggiore, forse è perché non avete ancora saputo dello “sleep tourism”. In breve: gente che va in vacanza per dormire. Non sto scherzando, è tutto vero – ne ha scritto anche il New York Times la scorsa settimana. Gente stanca, che c’ha sonno, che vuol passare le vacanze a letto – a dormire. Fin qui, vabbè, non c’è niente di male: ciascuno è libero di fare come gli pare, specie in vacanza; e se uno desidera prendersi quindici giorni di ferie ad agosto per dormire, oh, saranno anche affari suoi. Il punto è che la gente ci va in vacanza, nel senso che viaggia apposta: gli sleep tourist vanno a dormire in albergo. Prendono un aereo (a bordo che fanno, dormono pure lì?), scendono a Londra o Bali, fanno il check-in in hotel… e passano il resto della vacanza sdraiati e privi di sensi.

Il tutto in strutture pensate per questo genere di “turismo”: sono diversi ormai gli hotel del mondo che offrono – anzi, nessuno offre niente: i prezzi sono da capogiro, forse la gente che dorme in questi hotel in realtà è svenuta dopo aver visto il preventivo – suite insonorizzate (o tutt’al più dotate di impianti audio per garantire del conciliante rumore bianco in sottofondo), letti ovviamente comodissimi (e spero anti decubito), temperature e tessuti che ricordano l’esperienza di un bozzolo o di un utero (come se qualcuno fra noi si ricordasse ancora come si stava nell’utero, o sia mai stato in un bozzolo). E si possono scegliere pacchetti – o, come si dice adesso, esperienze – dove alla camera da letto sono abbinate tisane, massaggi, sedute yoga, personale medico: tutti lì per farti addormentare.

Ma perché, se si ha sonno, non starsene a casa a dormire? Con quello che costa questo “sleep tourism” – che una volta si chiamava “cura del sonno” e si prescriveva a chi aveva avuto un esaurimento nervoso – ti compri il materasso più comodo al mondo, le lenzuola di seta, ti cali dell’En o del Minias o entrambi, e buonanotte. Il cinismo degli albergatori – che speculano sulla letargia e sulla depressione (perché questo è, tutta ’sta voglia di dormire!) – io lo capisco, così va il mondo. Anzi, invito il settore a farsi furbo: lo “sleep tourism” può essere il modo per rilanciare strutture alberghiere in zone turisticamente depresse. Voglio dire, che senso ha andarsene a New York, “la città che non dorme mai”, per dormire? Piuttosto invito, chessò, Teramo a gettarsi nel business, proponendo esperienze soporifere con cori di ninna nanne, lettori di favole della buonanotte e transumanze in camera di greggi di pecore da contare.

Al di fuori del business, invece, mi sia concesso di criticare questa mitizzazione del sonno alla base di simili fenomeni: dormire è necessario, ma le nostre vite dovrebbero girare attorno alle ore di veglia. Guardo con sospetto a chi va a letto presto, o a chi non fa le cose perché c’ha sonno: avremo un’eternità per dormire. Ora è il momento di restare svegli. Si è stanchi perché – e finché – si è vivi. Invecchia e muore anche chi dorme più di otto ore al giorno; e mi pare che il sonno, più che salubre, sia diventato oggi una fuga dalla realtà, un escapismo. Dormiamoci su.

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