L'analisi
La biologia può imporre nuovi paradigmi, ma è una vittoria perdente
Non c’è simmetria nella Storia. È la donna che assume parvenze maschili per combattere a suscitare emozione. Perciò il dibattito sul match tra la pugile algerina Imane Khelif e l’italiana Angela Carini è irricevibile a dispetto dei più sofisticati bilancini di speziale circa gli esami cromosomici o l’ulteriore differenza tra intersex e trans
La vox populi del web, incluso Elon Musk, ha incoronato la tiratrice sudcoreana Kim Ye-ji, medaglia d’argento, the coolest person on the planet. Più che per la mira, per lo stile con cui impugnava la pistola nella gara olimpica, simile alla diva hongkonghese Anita Mui – un mito dopo la prematura morte – nel film “A Better Tomorrow 3” di Tsui Hark, dove da spietata gangster diventa fragile innamorata e per amore muore. È l’archetipo della femminilità guerriera che produce epica da sempre in oriente e in occidente. Mai accaduto che lo faccia la mascolinità contraffatta. Se l’impresa maggiore di Ulisse resta l’inganno del cavallo, la più meschina fu indossare abiti femminili per evitare la guerra. All’opposto, Hua Mulan è celebrata in Cina dal VI secolo per aver dissimulato il suo sesso allo scopo di guerreggiare al posto del padre vecchio e malato, una vicenda così eroica da arrivare fino ai cartoon di Walt Disney (con la canzone “I’ll make a man out of you”).
Non c’è simmetria nella Storia. È la donna che assume parvenze maschili per combattere a suscitare emozione. Perciò il dibattito sul match tra la pugile algerina Imane Khelif e l’italiana Angela Carini è irricevibile a dispetto dei più sofisticati bilancini di speziale circa gli esami cromosomici o l’ulteriore differenza tra intersex e trans. Se si trattasse dei cugini scimpanzé, gli esami di laboratorio potrebbero bastare, ma per l’homo sapiens il discrimine non è solo la scelta della porta dove andare a fare pipì. Può funzionare per oltranzismi ideologici, non per mutare una coscienza collettiva maturata in millenni di mitologia, di storia e storie. È Giovanna d’Arco (patrona di Francia, forse non di questa olimpica) che indossa la corazza ed è il suo rifiuto a rivestire panni muliebri a condurla sul rogo e farla santa; è il dramma di Lady Oscar tra l’impegno militare e i sentimenti a ritagliare un’eroina immaginaria ma influente, inventata in Giappone e sempre in Francia ambientata.
Che le Olimpiadi abbiano perso sacralità, non quella di Olimpia ma almeno di De Coubertin (sempre un francese) è acclarato, come testifica la “cena” di apertura dei Giochi simile a un melodramma settecentesco in cartapesta e calzamaglie, o ai tableaux vivants per cui primeggiava la contessa di Castiglione nella Parigi di Napoleone III. Ma una cosa le Olimpiadi non possono smarrire: quel minimo di epica retorica che le distingue da un format quadriennale di Giochi senza frontiere.
Quanto manca, oltre alle lucciole e alle mezze stagioni, lo spudorato Jimmy Cannon, il grande giornalista che commentava il pugilato e non solo nella rubrica “Nobody asked me, but…”. Se gli chiedessimo dell’ammissibilità di Imane Khelif a una competizione di boxe femminile, probabilmente risponderebbe: “Quando entra al ristorante il cameriere l’appella lady o sir?”. Jimmy non c’è, ma ai netizen resta nella coscienza anche se non lo sanno l’immagine della maestra di spada Gong Sun, che il poeta Du Fu ricordava “muovere gli orizzonti” con la lama; o quella della musulmana Marfisa, o della cristiana Bradamante da quei poemi cavallereschi – dove l’aggettivo pesa quanto il sostantivo – in cui gli sport da combattimento affondano le radici. Se s’attinge al campionario immaginale condensato nella Iconologia di Cesare Ripa, persino l’effigie della Ragione cara ai francesi è donna armata che mette il freno in bocca a un leone, riecheggiata nella carta dei tarocchi di Marsiglia denominata La Forza. La biologia causidica può imporre nuovi paradigmi, ma è una vittoria perdente.
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