Estate con ester
Numeri per fare progressi non scemi contro il patriarcato
Sarà parità dei sessi quando ci saremo prese la finanza (e la patente)
Come stiamo andando contro il patriarcato? Benino. Miglioriamo ma servono miglioramenti più mirati. C’è poco metodo, zuffe, scemità varie e pochi fatti.
Intanto bisognerebbe finirla di fissarci sulle questioni di principio, ne abbiamo inseguite tante, può bastare, bisogna superare lo scoglio teorico. Stiamo sprecando le forze migliori sulle desinenze e trascurando il resto. Le parole muovono le cose ma fino a un certo punto. Prendete il lettore medio scarso (io). Poi prendete un saggio serissimo e durissimo sui temi del femminismo impegnato/doloroso/didascalico. Di quelli pubblicati a palate e che ora fanno la lotta al posto nostro. Se non ci fossero la devozione e la monetizzazione social, esisterebbero? Ma poi il pallocco in forma di saggio – siamo seri – lo si compra e lo si legge? Alla sera dopo cena, dopo che il lettore medio scarso ha pulito, sistemato il letto, caricato la lavatrice, guardato Lilli Gruber, eccolo lì, il tomo femminista che ti guarda dal comodino e dice: adesso è il mio turno! Per quanto mi riguarda: manco se mi inseguono con un’ascia.
Il dunque, ci serve il dunque. Cosa occorre per l’autonomia e la parità, anzi per superare a destra il maschio grifagno e traffichino?
Intanto prendere la patente. Serve la parità delle patenti. Le percentuali dicono che siamo oltre dieci punti percentuali sotto, 42 noi contro 57 loro.
I dispacci analogici però passano anche buone notizie. Le forze femmine stanno conquistando reparti cruciali. Professioni di legge e concorsi in magistratura: i giudici italiani sono 4.213 uomini e 5.321 donne, che è il 56 per cento del totale. Malino nelle funzioni direttive. Maschi saldi in testa al 71 per cento.
In medicina molto bene. Su 325.114 medici con meno di 70 anni le donne sono in numero di 171.645, 53 per cento del totale. Eccellente. Manca poco. Ci siamo quasi. Manca il novantanovesimo cancello. Migliorare in economia e non temere la finanza. E’ là che si conta, è là che nascono i soldi, è dove si misura la possibilità di cambiare, insomma lo scettro della baracca.
Storicamente siamo inutili. In finanza non ci hanno mai volute per l’avversione al rischio. Non funzioniamo proprio, e lì però si deve andar.
C’erano alcuni dati di ricerca di qualche tempo fa, Università di Chicago, sugli Mba. Il 36 per cento delle studentesse – pochissimo – sceglieva una carriera rischiosa nel settore finanziario (investment banking o trading), contro il 57 degli studenti. Le scelte maschili erano legate a fattori biologici – sì, è il testosterone che ti manda a fare denari. La brezza di speranza la porta però questo ventennio scassato. E’ uno spicchio di storia malsicuro, nebbioso, non si vede niente davanti. Si sta in questi anni come si starebbe in una tazza di latte. Ed è la volta buona, perché ci adattiamo. Prudenza, ci vuole prudenza. Serve il wolf of wall street che dice “signori, non se ne fa niente, state calmi”. Faccio spesso grandi discorsi alle aziende per la parità di genere e come da tradizione, quando gli avvocati parlano di cose alte e che non servono, si tende a dormire sulle sedie. C’è un breve risveglio collettivo, ho notato, quando tiro (metaforicamente) fuori dal taschino un vecchio bacio perugina di Christine Lagarde, una frase che mi regala il mio minuto-Fiorello: “Se la Lehman Brothers fosse stata un po’ più Lehman Sisters, la crisi finanziaria non avrebbe fatto quei disastri”. Si potrebbe cominciare da qui. Intanto, per favore, la patente.
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