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Ecco svelata tutta l'ecologia bugiarda del Lago di Garda

Camilla Baresani

Con numeri di presenze che superano Puglia, Campania e Sicilia, il più grande bacino d'Italia è considerato l'eldorado della vacanza performante, bici, vela e sport green. Ma in realtà si tratta dell'ennesima illusione della modernità consumistica

Garda est omnis divisus in partes tres. Proprio come la Gallia di Cesare, il più esteso lago italiano è uno e trino: diviso fra Veneto, Lombardia e Trentino, con un paesaggio molto variegato, che va dal collinare del sud al montuoso del nord, nel suo insieme attira così tanti turisti da battere intere regioni. Con 25 milioni di presenze del 2023, il Garda supera abbondantemente la Puglia (16,8 milioni), la Campania (20,1) e la Sicilia (16,8). I giornali ne parlano poco. Non è frequentato da celebrities, è ignorato dalle cronache estive che snocciolano vip con le gare di Jeff Bezos e Mark Zuckerberg a chi esibisce lo yacht più lungo navigando tra Capri e la Costiera, ed elencano i frequentatori di Forte dei Marmi, di Portofino, del Salento, con qualche spruzzata di Cortina. Proprio questa settimana, Valeriya Safronova ha raccontato sul New York Times come godere della bellezza del lago di Como “senza essere un re di Hollywood o un miliardario”. Per gli americani quel lago “evoca immagini di acqua blu, ville opulente e borghi dove celebrities come Taylor Swift, Travis Kelce e Amal e George Clooney cercano di schivare i paparazzi”.
 

Sul Garda, tanto per fare un paragone disarmante, pare che abbia passato qualche weekend Diletta Leotta con Loris Karius, e sono lontani i tempi in cui il munifico Silvio Berlusconi spediva i suoi collaboratori a dimagrire a Gardone Riviera, a Villa Paradiso. Ricorderete la fotografia del suo ex delfino, Giovanni Toti, affacciato in tuta bianca a un balconcino della “maison du relax” assieme al datore di lavoro. Toti è nel tempo diventato ancora più pingue, probabilmente ormai rassegnato a un destino non snello. Questi soggiorni scioglipancia quasi mai sono successi durevoli. Torniamo al Garda. Tre regioni e tre tipi di turismo che uniscono visitatori locali anche mordi e fuggi (il cosiddetto turismo di prossimità) a una massa di turisti di nazionalità sempre più varie e remote, che si sovrappongono allo zoccolo duro dei tedeschi, attirati da oltre due secoli dalle parole del più celebre e persuasivo influencer che abbia mai visitato il lago, Wolfgang Goethe. Nel “Wilhelm Meister”, il poeta fa dire alla nostalgica Mignon: “Kennst du das Land, wo die Zitronen bluehn” (Conosci la terra dove fioriscono i limoni?), e quella terra è il Garda, che il poeta aveva descritto anche nel suo diario di viaggio in Italia.
 

Questo verso, riportato da tutte le aziende turistiche del lago, dai siti degli alberghi, dalle iscrizioni su antichi portali, i gardesani lo imparano da bambini in lingua originale. E insomma, sin da allora giù tedeschi, da Heinrich Heine a Franz Kafka a Thomas Mann, per arrivare ingloriosamente con la Repubblica sociale agli spietati occupanti della Wehrmacht. Ricordo che durante le mie estati sul Garda, quand’ero adolescente, ancora si accoglievano turisti tedeschi utili al fatturato sospettandoli di trascorsi nazi. Con i nostri genitori e nonni che additavano certi crucchi con le pance dilatate dalla birra, magari mutilati, quali sospetti finti turisti, a caccia di bunker dove avevano nascosto bottini frutti di razzie, in un paesaggio che nel frattempo era stato abbondantemente modificato.
 

Insomma, quanto a vip c’è molto glorioso o inglorioso passato, da André Gide a D’Annunzio, da Mussolini alla Callas, ma il presente è ben più anonimo. Sulla sponda veneta e lombarda si fanno vacanze classiche, il gommone, il motoscafo, la moto d’acqua, il pedalò, le gite in giornata a Brescia, Milano, Verona e Venezia, oppure al Vittoriale a Gardone, e poi le mangiate, le bevute, lo shopping, la vita notturna. Sulla sponda veronese c’è la fenomenale attrattiva di Gardaland, generatrice di colossali ingorghi, incubo/trappola in cui prima o poi finiscono tutti i genitori, oppure le coppie di adulti bambinoni. Infine, la porzione più piccola, la punta a nord, una strettoia colma di vento, il Garda trentino. La zona, detta anche “la busa” (la buca), è celebre per essere un’enclave sportiva, una specie di stadio in cui gli appassionati della vela si affannano da mane a sera scivolando e svolazzando su ogni genere di tavola o barchino, banco di prova di ogni innovazione di materiali e forme. E poi si arrampicano nelle palestre di roccia, e pedalano sulle infinite ciclabili. Addirittura, 1.600 chilometri di percorsi dedicati a bici e mountain bike.
 

Con quattro milioni di presenze solo in questa piccola porzione di lago ed entroterra, ben più di quante ne faccia la Versilia, il Garda trentino è il regno di un’Europa portatrice di molti valori della contemporaneità: sport, sport e ancora sport, riciclo della spazzatura, attenzione a non sporcare, ecologismo, fighettismo delle attrezzature sportive e anche dei cassonetti (i più belli mai visti, capolavori del design), alimentazione sana, il tutto in un persistente sapore mitteleuropeo. La navigazione a motore è interdetta, con l’eccezione dei battelli della Navigarda e dei gommoni di soccorso che vanno a riacciuffare principianti che non riescono a tornare alla base con windsurf, windfoil, wingfoil, kitesurf. Riva del Garda, Torbole e Arco macinano visitatori a getto continuo con una stagione turistica lunghissima (da marzo a fine ottobre), all’insegna della vacanza “stay young”, come la chiama Silvio Rigatti, presidente dell’Apt di Nago-Torbole. “Qui da noi, in Trentino, abbiamo avuto queste grandi visioni già 40 anni fa, abbiamo tolto i motori dal lago e moltiplicato le ciclabili, che sono in continuo aumento. I Garda Rangers, dipendenti dell’azienda turistica, manutengono sentieri e staccionate e segnaletica. La regione fa il possibile per incrementare la mobilità alternativa”.
 

Torbole in particolare è una specie di Santa Cruz italiana, dove una gioventù dai muscoli scolpiti, moderatamente tatuata, accompagnata da bambini prodigio, già acrobatici sin dai primi anni d’età, s’aggira per il paese e alle ore convenute, quelle del vento Peler al mattino presto, e del vento Ora nel primo pomeriggio, si butta in acqua e pittura il blu del lago coi colori di centinaia di piccole vele o ali, con spettacolari salti e acrobazie permesse dai foil, commentate da Uhhh! e Ahhh! degli spettatori a bordo lago. Nelle ore morte, si riposano stecchiti aspettando il ritorno del vento, pronti a riarmare le attrezzature. Oppure pedalano vigorosamente su salite micidiali per raggiungere picchi tipo Punta Larici, a 907 metri, da cui si gode di viste strepitose sul bacino del lago puntolinato di vele. Abbiamo incontrato gruppi di australiani di Perth, che hanno individuato questo angolo di Garda come regno del vento ideale, e molti sikh della pianura bresciana, che fanno il bagno alla foce del Sarca, principale immissario del lago (e purtroppo uno è annegato pochi giorni fa). Pare che abbiano scoperto Riva e le cascate del Varone grazie a loro influencer, e ora arrivino a frotte nei giorni liberi dal lavoro nelle stalle e nei campi.
 

Poi, sempre più polacchi, cechi, svedesi, olandesi, americani, neozelandesi e persino arabi, però non sportivi. Duecento giorni di regate all’anno, innumerevoli circoli velici, i mondiali giovanili di vela appena terminati, trentacinque anni fa il primo Bike Festival di Riva, la più grande fiera di biciclette d’Europa che ha spinto a trasformare la zona in una rete di ciclovie fittissima, con indicazioni e staccionate e pompe pubbliche per le bici e cartelloni che spiegano i biotipi, mentre ci sono anche arrampicatori e climbers che arrivano a frotte per certe falesie che solo ad Arco, dove ogni anno si celebra il Rock Festival. 
 

Il mito della vacanza performante trova in questa zona il suo Eldorado. I praticelli a bordo lago, le spiaggette come distese di materiali tecnici, vele, supporti, mute, caschi, boma, ganci, carrellini, buste in neoprene per le tavole, avvitatori, intervallati da persone stese a riposarsi o a montare pezzi, cani di famiglia e bebè ancora solo per qualche mese al riparo dalla ricerca di prestazioni sportive. Il Duotone Pro Center di Torbole è una delle più esclusive scuole mondiali di windsurf e sue varianti, dove si allevano campioni, si testano nuovi materiali, si aspetta il vento ascoltando musica reggae, unplugged, west coast, funk rock. Chiara Lolli, la bella proprietaria dai grandi occhi color lago, è approdata a Torbole vent’anni fa, col suo compagno plurisportivo assatanato. Arrivavano da Reggio Emilia, che non le manca. “I trentini amano il loro territorio e sono piuttosto sportivi. Qui c’è una qualità di vita eccezionale”, ci dice. “Un tempo era un luogo di pescatori, poi negli anni 70 con il windsurf è arrivato il boom del turismo sportivo, che ha sostituito gli intellettuali bohémien tedeschi dei primi del ’900. Infine, il kitesurf e il soprattutto il foil hanno dato un ulteriore impulso”. Nel frattempo, lei e il compagno, che gestiscono anche due store di abbigliamento e attrezzature da vela, hanno allevato un figlio che è stato campione europeo under 13 di windsurf. Mentre uno dei più performanti è un signore con una grande vela brandizzata “Nonno”. Pare sia un 80enne di Bologna, e in effetti si vedono anche moltissimi canuti volteggiare e zompare e pedalare con accanimento agonistico, alla ricerca dell’eterna giovinezza.
 

Nei paesi niente brand del lusso stereotipato, ma infiniti centri commerciali di attrezzature tecniche per fanatici degli sport, roccia, vela e bicicletta. Il versante consumista di questa borghesia dai valori mitteleuropei qui raggiunge il colmo della soddisfazione. E ci si chiede alla fine se tutto l’ecologismo di chi pratica questi sport non sia in realtà una grande fandonia: in quali discariche finiranno in futuro le tavole e le vele e le mute e le mountain bike, con o senza pedalata assistita, i caschi, le ginocchiere, le batterie, i caricatori, i supporti e i device tecnologici, gli indispensabili Garmin, dismessi? Sono materiali in continuo stato di aggiornamento tecnologico, un anno dopo sono già surclassati da nuovi prodigi, più leggeri, più funzionali, più fighi. A guardarli con serenità e distacco questi sport ecologici sono l’ennesima illusione virtuosa della modernità, che giocoforza è sempre inquinante, consumante e consumistica.
 

Osserviamo un furgone modello California, tappezzato da scritte che promettono “Indagini faunistiche - Accompagnamenti esperienziali - Interpretazione del paesaggio - Osservazioni naturalistiche - Terapia forestale - Natural tracking - Silent&Sound Walking - Ecologia Affettiva”. Ecologia affettiva un corno. Qui è palpabile l’incazzatura con la provincia autonoma di Trento che ha importato gli orsi dalla Slovenia (“senza chiederci il permesso”, dice un’albergatrice). L’artista Marco Martello sta ultimando a Molveno un monumentale orso in legno, commissionatogli dalle Funivie trentine. Subito è diventato il bersaglio di insulti e minacce, con consequenziale “bufera mediatica”. “Ti auguro di fare la stessa fine di Andrea Papi”, gli scrivono, riferendosi al ragazzo sbranato l’anno scorso dall’orsa JJ4 in Val di Sole. È di poco tempo fa l’allarme nell’Alto Garda per via dell’orsa Kj1, che si aggirava dalle parti di Arco con tre cuccioli e ha aggredito un turista francese. Panico collettivo, ordine di abbattimento fulmineamente eseguito, ambientalisti sul piede di guerra, eccetera eccetera.
 

Chiediamo a Fabio Galas, editore del consultatissimo periodico online La Busa, se, a parte la vicenda degli orsi, e le lamentele degli abitanti che faticano a trovare case in affitto perché finiscono nel calderone del turismo, e le polemiche sulla nuova ciclovia che dovrebbe prolungarsi a strapiombo sul lago fino al versante lombardo da un lato e veneto dall’altro, mentre gli ambientalisti preferiscono il trasporto bici via acqua, se a parte queste cose che a noi abitanti di regioni non autonome sembrano bazzecole ci siano altri drammi. La criminalità? I furti? Poca roba. “Ci sono molti controlli, carabinieri e polizia locale sono particolarmente attivi. Per giunta il comune di Riva del Garda ha creato un protocollo di collaborazione con l’Associazione nazionale carabinieri in congedo perché dei volontari controllino la correttezza dei comportamenti nelle aree pubbliche, sulle spiagge, oltre a supportare l’amministrazione negli attraversamenti pedonali davanti alle scuole e durante le manifestazioni”. Insomma, pare che la cosa più rubata siano le biciclette, in particolare durante il carnaio del Bike Festival. I ladri di biciclette sono dunque il colmo della criminalità. La vita scorre tranquilla, l’agricoltura è molto sviluppata tra vigneti e meleti e oliveti, nelle zone interne della valle del Sarca c’è pure una fiorente industria, e in queste settimane roventi si vive bene senza aria condizionata. D’inverno fa freddo ma non più di tanto, perché il lago rende miti le temperature. Non ci sono i vip, non ci sono Chanel e LV e Dior, poco o nulla fa notizia nella cronaca nazionale, vien quasi voglia di trasferirsi. E annoiarsi a morte per mancanza di indignazione, schiantati dalle prestazioni sportive altrui.

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