A Stresa
Suoni e vita degli alberi del violoncellista Brunello (e anche di Abbado) sul Verbano
Mario Brunello cerca di ricreare una comunità intellettuale e affezionata al territorio, contrastando il turismo di passaggio che non valorizza appieno la bellezza del Lago Maggiore: "La musica bella ha su di noi lo stesso impatto che ha la natura. La natura invece è difficilmente è brutta"
Stresa. “La musica bella, a qualsiasi categoria appartenga, ha su di noi lo stesso impatto che ha la natura. La natura difficilmente è brutta: è potente, è entusiasmante, è devastante, come lo è o lo può essere la musica, e questa è la via che ho intrapreso, questo sia il materiale sul quale sto vivendo questa vita”. Sei mesi dopo aver suonato ad alta quota una “richiesta di pietà” per il bosco di larici che sarebbe stato abbattuto per far posto alla nuova, improbabile pista da bob per le Olimpiadi invernali a Cortina, e che si è rivelato purtroppo un de profundis, il violoncellista extraordinaire Mario Brunello è seduto nel Palazzo dei Congressi di Stresa dove sta per inaugurare la parte agostana, classica, del programma delle Settimane Musicali delle quali è direttore artistico nel 2020: in programma Haydn, Bruckner di cui ricorre il bicentenario della nascita, uno strepitoso progetto di confronto musicale fra il Vespro della Beata Vergine di Claudio Monteverdi e la tradizione del falso-bordone medievale a cura di Simon-Pierre Bestion, già ascoltato, purtroppo a occhi chiusi per mitigare l’intervento di una light designer con l’ossessione delle luci disco Anni Settanta, in attesa di un imperdibile Myung-whun Chung il 31 agosto con l’ouverture dal “Franco cacciatore” di von Weber, il quarto concerto in Sol maggiore di Beethoven e la quarta sinfonia di Brahms.
“La natura qui attorno è preponderante”, dice: “Però vi trovato poca stabilità, nel senso che la maggior parte di chi viene qui visita giusto i due luoghi imprescindibili, cioè le isole Borromee e i lungolago, ma non apprezza davvero l’incanto del Maggiore la sera, lo svegliarsi all’alba e andare nei boschi a camminare. È un popolo di passaggio”. Intende gente che nulla lascia e nulla prende, che è un po’ la disgrazia di mezza Italia assoggettata al turismo del weekend ma che in un posto così piccolo diventa molto evidente. “Questo territorio ha perso un po’ la residenzialità, il supporto della gente che lo amava. Con il festival sto cercando di ricreare la comunità di un tempo”, che significa riportare gli intellettuali, gli scrittori, le vecchie famiglie che nel 1961 diedero vita alle Settimane Musicali, affiancando Italo Trentinaglia de Daverio, e che oggi latitano o se ne stanno chiuse nelle ville per le poche settimane nelle quali sfuggono dal caldo a mezza costa. Rientra in questo piano, ancorché non lo si possa certo definire specifico per il territorio o in qualche modo legato al Verbano, il Bosco Abbado, che Brunello ha inaugurato poche settimane fa nel Parco Regionale Campo dei Fiori a Luvinate, in provincia di Varese, su progetto di Etifor-Valuing Nature, spin-off dell’Università di Padova, e dell’associazione Wownature: dice di attendersi ora un’adozione diffusa di essenze pregiate da parte del grande pubblico: adottare un albero costa trecentocinquanta euro. Per onorare il Maestro, lascia intendere, si sarebbe anche potuto “chiamare il più grande talento direttoriale”, ma non sarebbe bastato per valorizzarne la grandezza umana. Il suo progetto utopistico di ripopolare Milano di alberi, invece, sì: “Venticinque anni fa, in anticipo sui tempi, Abbado chiedeva per il suo ritorno al Teatro alla Scala che fossero messi a dimora novantamila alberi; nel 2019, uno studio pubblicato su Science ha dimostrato che ‘piantare mille miliardi di alberi’ avrebbe, almeno in parte, risolto la crisi climatica: visto che negli ultimi due secoli l’uomo ha tagliato duemila miliardi di alberi, ripiantarne un miliardo non dovrebbe essere così complicato”.
Vasto programma. L’ultima volta che avevo incontrato Brunello, eravamo entrambi impegnati con il Festival della Green Economy di Parma, lui in uno dei suoi duetti con Stefano Mancuso sui rapporti fra matematica, musica e neurobiologia vegetale che incantano le platee e che per l’occasione si svolgeva attorno alla “Ciaccona” di Bach: il pubblico se ne andò convinto di aver vissuto il mondo con minore intensità e rispetto di quello che avrebbe potuto e di aver perpetrato inavvertitamente almeno un paio di delitti fitologici. Comunque, stimolato a tagliare, strappare e distruggere un po’ di meno. Fu una piccola, possibile vittoria dopo l’exploit fallito sulle Dolomiti e che però, sottolinea, non era affatto pianificato: “Ho saputo di questa follia che stava avvenendo a due passi da casa e la prima cosa che mi è venuta in mente è che quegli alberi non avevano voce. È servito a poco a livello pratico, ma un po’ ad attirare l’attenzione”. Si replicherà il 6 settembre a Lucca, in occasione della chiusura del festival Pianeta Terra di Mancuso, con un confronto, o per meglio dire un parallelismo, fra la “Toccata e fuga” di Bach e il concetto di comunità. Se stiamo diventando la terra dei festival, è anche per questo motivo: il senso della condivisione di progetti comuni che manca, e che incontrandosi attorno a un programma condiviso si tenta di ricreare.
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