Alain Delon e il cuore di cane

Maurizio Baruffaldi

L'attore aveva chiesto che il suo Loubo fosse soppresso e sepolto con lui perché "ne soffrirebbe troppo a rimanere da solo". La famiglia si è opposta. L'evoluzione filiare del rapporto con i nostri cani

Non serve essere Alain Delon per arrivare a dire di un cane: “Lo amo come un bambino". Serve però la sua megalomania per testamentare che venga addormentato per sempre e sepolto con lui: “Ne soffrirebbe troppo a rimanere da solo”. Per fortuna, e sacra disubbidienza, il suo Loubo resterà vivo e in famiglia, e tornerà presto o tardi a scodinzolare. Solo quando sarà il suo tempo, andrà a fargli polverosa compagnia. Novità destinata a farsi tradizione. A Bologna il Comune ha appena modificato il regolamento, per consentire di accogliere le ceneri di Fido nello stesso loculo o nella stessa tomba del proprietario. La famiglia deve restare unita, prima e dopo.

Hanno tutti un cane. Il Covid, con le sue solitudini incorporate, e altre congiunzioni astrali, hanno portato la costellazione del cane a riempire i nostri condomini. I negozi Chicco, e Prenatal, che ricordo puntellavano la mia zona fino a vent’anni fa, sono scomparsi. Si moltiplicano in compenso Pet Shop, Arca Planet, e affini. Anche gli amici e i parenti, quelli che se glielo avessi chiesto qualche anno fa ti avrebbero risposto: “Ma non esiste proprio!” adesso è tutto uno struggersi: “Vieni da papà!” e “Vieni dalla mamma!”. Così si chiamano, te lo confessano, tra il rassegnato e il compiaciuto.

Hanno il muso del cane come profilo. Identità, alla pari di un figlio, che però non rompe i maroni, e ti fa sentire un padre rispettato e necessario. Un cane è programmato per ubbidirti. Per farti sentire amato oltre ogni ragionevole motivo. TI si offre finalmente l’amore incondizionato, assoluto.

Mi inteneriscono, i cani. Qualunque fastidio, disagio, conflitto creino, non hanno colpe. L’umano che adorano, uscito dalla roulette del destino, gestisce la loro vita. E può andarti male.

Mi inteneriscono i maschi più anziani con cane: si rimbambiscono, come succede a chi si costruisce una dipendenza. O come i nonni con i nipoti.

Mi inteneriscono le signore anziane, che scelgono il cagnolino su misura: gli parlano e traducono come risposte i movimento di coda o di muso; chiedono il perché, o intimano lo smettere, dell’annusare negli spigoli, dell’abbaiare insistito, pieno di rivalse. Insomma, conversano con il loro cane, e ci terrebbero che tu, in zona, senta. Vorrebbero interagire anche con te. Dirti del loro nipotino a quattro zampe: come sia simpatico, intelligente, unico. Anche tremendo, eh! Insomma, un po’ ribelle fa sempre orgoglio. Ma per questo scambio devono andare dove ci siano altri che abbiano un cane, mentre tu riesci solo a sorridere, un po’ ebete, prima di cercare lo sguardo del cane e specchiarti in quell’espressione pacifica e perplessa. Ti basta, come risposta.

Solo per bilanciare un po’ lo scivolo sentimentale di Delon, cito Marlon Brando: “Il mio cane è un bravo attore: finge di amarmi perché ha fame.” Parola di Grande Attore.

Lo sappiamo, non è solo quello, Marlon Brando faceva il Marlon Brando, ma è vero che a lui, il fedelissimo, bastano i croccantini, e il giretto per scatenarsi dove merita, fuori dalle mura prigioniere di un appartamento e defecare all’aperto, piacere ancestrale a noi precluso dal pudore e dall’igiene. Un cane gode della tua presenza. La sa aspettare. L’amore degli umani è più ansioso, complesso, doloroso, esaltante. Stronzo, anche. E non puoi prenderlo, come fai con un cane, quando lo decidi.

Lo sento il coro greco in sottofondo: Ma uno non esclude l’altro!

Certo, sono due sentimenti diversi! In molti casi però il cane risolve il bisogno. Questo bisogno d’amore che ho/ nell’unico modo che so. Soltanto amore. La Crus.

Da bambino, in riviera adriatica, ogni volta che incrociavo “il pittore” seduto su uno sgabellino, intento a comporre con grasse matite le ombre del volto di un turista bisognoso di immortalarsi, da negato nel disegno mi fermavo a guardarlo incantato, come un lombrico il salto in alto. La settimana scorsa, nel passeggio digestivo sul lungomare del nord di Corfù, ne ho incrociato uno che al posto del volto umano stava replicando il muso di un cane. L’animale non doveva essere (ancora?) addestrato alla posa, oppure era rimasto a casa al guinzaglio multiplo di un dogsitter (in questo caso il gesto si ammanta di nostalgia), fatto è che il ritrattista ambulante aveva come modello una sua foto sullo smartphone.

Non stupiscono allora le feste di compleanno, che già per noi human dopo i diciotto anni richiamano l’allegria di naufragi, mentre per loro, per un’ipotesi d’equazione elementare, sarebbe cifra limite, centenaria. Deduciamo che i proprietari (suona meglio di ‘padrone’, limitato dal politicamente corretto, ma il senso quello è) sappiano quale giorno sia nato. Se non lo certifica il codice scritto nel microchip, siringato sotto cute, avranno assistito al parto.

Tornando all’amore, che è fatto di gesti, per chi non lo sapesse ancora: di quelli verso il proprio cane spiccano quelli di Rinuncia.

La rinuncia a prendere l’aereo per andare in vacanza. Chi ha il cane riempie gli Autogrill: loro devono fare pausa per forza, anche se dove la faranno non potrà essere territorio.

A non uscire la sera per non lasciarlo solo. Sono tanti i morbosi, i facili ai sensi di colpa. Ma anche quelli che preferiscono starsene per i fattacci propri, e la scusa del cuore di cane è insindacabile: poter ciondolare a vuoto senza sembrare un matto, perché c’è lui, e intanto smanettare sullo smartphone, evitando la noia prevista con i suoi simili.

A dare forfait perché nel ristorante non accettano cani. O perché gli amici che ti hanno invitato non hanno voglia di ritrovarsi le stanze pieni di peli. Il cane perde e regala pelo per natura. Anche a pelo corto.

Una mia vicina parente ha preso un cane durante il Covid: Jenny, nome da cowgirl, bastardella, bianca, sempre lucente, più profumata e morbida del mio accappatoio, insomma: igienicamente perfetta. Quando abbiamo trascorso un weekend a casa loro si preoccupava dell’ospite alieno alla convivenza canina e ramazzava pelo in continuazione, Dopo passeggiata nel pomeriggio torrido, chiedo di fare una doccia. Ricevo infradito e asciugamano pulita ed entro nel box. La spugna appesa al pomello è ancora carica di bagnoschiuma, un aroma che mi piace, e con quella mi insapono dalle zampe alle orecchie.

Quando esco, rinnovato, lei mi annusa, mi guarda strano, esclama: “Ma che spugna hai usato?”

“Quella che era appesa!”

Jenny mi è corsa incontro, mi ha avvolto un ginocchio, e mi è parso di vedere nel suo sguardo la freccia di Cupido.

Ma il più grande, il vero amore, si concentra nel guantino trasparente indossato come per un duello: la discesa ad accogliere lo stronzo compatto e leggero nel palmo, per poi rivoltarlo e farne un sacchettino. Avvicinarsi al cesto urbano, con disinvoltura, e depositarlo come una reliquia.

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