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Overtourism, Bayesian & co: glossario semiserio delle parole che agitano l'estate
Le partenze che erano “esodi” sono un vecchio ricordo da boomer: oggi le parole sono cambiate e seguono gli eventi. Dalla barca affondata fino alle Olimpiadi nella Senna. Guida per orientarsi
Overtourism
Le partenze che erano “esodi” sono un vecchio ricordo (roba da boomer!). Adesso c’è l’overtourism: viaggi, vacanze, villeggiature che diventano invasioni, assedi, accerchiamenti. Frotte di turisti sparpagliati per il mondo, ma soprattutto da noi. Polignano a mare come un campo profughi, code sterminate a Marina Grande per invadere Capri, semafori per i selfie alle Cinque Terre, centri storici ostaggio di folle cafone e predatorie. Non più “la morsa del caldo”, ma la morsa dell’overtourism, ennesimo frutto avvelenato del turbocapitalismo, che scalza anche il #climatechange tra i refrain apocalittici: moriremo tutti a Santorini, tra la calca, in fila per comprare finte perline di pietra lavica. Navi da crociera e low-cost disegnano nuovi flussi migratori incontrollabili mentre assistiamo impotenti su TikTok alla capitolazione dei nostri autentici borghi ridotti a piccole Ibiza. Non si salvano neanche le Dolomiti. Il teatro di guerra però è la città. La minaccia di una venezificazione di tutti i centri storici. Barcellona insorge, guida la resistenza, respinge l’invasore con smitragliate d’acqua sui caffè della Rambla, ed è subito omaggio alla Catalogna. Ma se si tratta di far passare ai turisti la voglia di tornare, qui siamo imbattibili. La lotta all’overtourism ci trova infatti preparatissimi. Il disservizio è il vero Made in Italy. Da Roma a Venezia, da Napoli a Firenze è tutto un “Tourist go home”, scritto sui muri con lo spray rosso (e un lessico magari da rispolverare per l’autunno caldo, “turisti borghesi ancora pochi mesi”, “né con lo stato, né con Airbnb”). Arriva la copertina choc dell’Espresso: “L’orda”. Terrificante marea umana e indistinta di nuovi barbari assettati di città d’arte. Dobbiamo reagire, controllare, calmierare, vietare. Il grande nemico è l’affittacamere, divenuto con Airbnb imprenditore “presso me stesso”, avido di turisti, gran speculatore (persino qui, col 57 per cento di tasse, licenze e permessi da chiedere al comune e registrazione degli ospiti alla questura, come da legge antiterrorismo, però degli anni di piombo). C’è anche un problema aereo. La scelleratezza dei voli low-cost, le abbuffate “all you can fly” subito esaurite (che burinata!). Da almeno vent’anni anche i poveri solcano i cieli. Prenotano con mesi d’anticipo e te li ritrovi a Honolulu. Meglio stare a casa, via dalla pazza folla! Ci vorrebbe però anche un elogio dell’overtourism come rimescolamento di spazi, luoghi, classi sociali. Non solo l’onda lunga dei “Torpigna che si prendono Cortina”, ma anche americani e giapponesi e norvegesi a zonzo in quartieri desolati e zone impensabili delle nostre città. Finiti lì perché sull’annuncio c’era scritto “a pochi minuti dal Colosseo”, cioè venti chilometri. A Roma, per esempio, turisti a grappolo in zone anche orrende dove non mi fermerei a prendere un caffè. A passeggio tra capannoni industriali dismessi e casermoni sfasciati, forse alla ricerca di Zerocalcare, ma comunque felici della loro “true italian experience”. Chissà come sarà lì l’incontro con “l’Altro”. Altre lingue, altri suoni che si mescolano all’idioma borgataro. Si vedranno facce nuove. Mica male, in effetti, come sostituzione etnica. E poi le case da affittare andranno rimesse a posto. La piattaforma non perdona, la competizione è sfrenata, su Airbnb non si vive di rendita, non c’è mica l’equo canone. Devi cambiare i mobili di nonna, trovare un “tema”, spendere due spicci da “Maisons du Monde”, imparare due paroline d’inglese, insomma darti da fare. Quanto durerà l’overtourism? Come si assesterà? Si scioglieranno prima i ghiacciai o imploderanno prima i centri storici? Sono anche fasi. Cicli. Il mercato è dinamico e andrebbe lasciato stare. Mete un tempo turistiche oggi sono abbandonate. E zone di Roma, Milano, Napoli, ecc…, ora teatro di movida scellerata e cafona, non avevano solo vent’anni fa neanche un bar aperto d’estate. Ma sentiamo già le critiche: eccoli qui, i negazionisti dell’overtourism!
Balneari
C’era grande fibrillazione per la fine delle fatidiche licenze. L’anno zero di sdraio e lettini. Le spiagge che tornavano finalmente al popolo! Sogni sfrenati di relax libertario col miraggio di un ombrellone portato da casa e piantato in mezzo al Twiga, al Papeete, “da Luigi ai Faraglioni”, pranzo al sacco e bibite nella borsa-frigo, tiè! Tutto invece resta com’è. Si scivola lentamente nel solito italianissimo limbo. Ecco la “mappatura dei litorali” per prendere tempo: scogliere, tratti industriali, porti, aree protette, tutti conteggiati come spiagge per dimostrare che non c’è “scarsità di risorse naturali”, come vuole la Bolkestein. Immagini memorabili degli ombrelloni con file serrate e picchetti all’alba. Vai in spiaggia? Macché, vado a scioperare. Stabilimenti chiusi “dalle 7.30 alle 9.30”, tanto l’acqua a quell’ora è anche fredda, finiamo il cappuccino, poi prendiamo i gonfiabili. Balneari e tassisti si saldano nella lotta contro l’ordoliberalismo mercatista, come operai e contadini nell’egemonia gramsciana. La spiaggia italiana si eredita per diritto naturale, di padre in figlio, e no, non si interrompe una concessione. Nessuna generazione di balneari vuole in effetti essere ricordata come quella che ha ceduto alle gare. E le liberalizzazioni, un tempo sogno del centrodestra, si arenano ancora una volta sulla sabbia. Non c’è riuscito Draghi, figuriamoci questi qui.
Bayesian
Non è “estate italiana” senza persone ricche, potenti, influenti che fanno una brutta fine nelle nostre acque. Lo scorso anno ecco la tragedia di Adrienne Vaughan, manager a capo di Bloomsbury, casa editrice di “Harry Potter”, morta mentre era in vacanza sulla costiera amalfitana per colpa di uno skipper scemo che va a sbattere contro una motonave (e considerato come al solito “uno dei più bravi della zona”, pensa quegli altri). Ma con la scomparsa di Mike Lynch, “il Bill Gates inglese”, e l’affondamento, forse altrettanto scemo, della Bayesian, veliero di lusso con “l’albero più alto del mondo” e un nome che deriva da un teorema matematico (la teoria di Bayes), che manco a dirlo ha a che fare con probabilità e “livelli di fiducia nel verificarsi di un evento”, si scatenano complotti e teorie cospiratorie. C’è tutto, come nei migliori Hitchcock: un regolamento di contri tra intelligence, software di cybersecurity, una società che si chiama “Darktrace”, un cofondatore morto il giorno prima, investito nel Cambridgeshire, una tromba d’aria a Palermo usata come copertura e lo spettro del Mossad che molla un attimo Gaza e va a fare un lavoretto a largo di Porticello (come già lo scorso anno, con la barca affondata nel Lago Maggiore). Per stemperare la “conspiracy fever” Repubblica chiama Erri De Luca. Lui non vede thriller. Lui “constata ingiustizie”. Ricorda con Omero che “il mare è una via liquida”. Che la morte dovrebbe renderci tutti uguali e invece ci appassioniamo più agli yacht che ai migranti. Che i nomi dei miliardari li conosciamo e quegli altri no. E che neanche “’A livella” di Totò funziona più: “Gli preferisco Nazim Hikmet”, dice De Luca. Diviso il pubblico di internet: metà s’indigna per la lotta di classe in mare, metà screenshotta il sito della “Perini Navi”, cantiere della Bayesian, oscurato all’improvviso. Un caso? Non credo.
Cromosoma
Tre giorni di ordinaria follia con Imane Khelif, pugile algerina, che attraversa tutte le mutazioni genetiche dell’essere umano (coi testicoli esterni, interni, senza testicoli, uno solo, nata uomo, nata donna, trans, intersex, ecc.). Naturalmente anche questo era un complotto, per dimostrare però quanto siamo diventati scemi. Le femministe glorificano i vantaggi ormonali dei cazzotti progressisti. Vannacci guida la cordata di endocrinologi social. Laura Boldrini rimprovera Angela Carini, la nostra Million Euro Baby, per non essersi fatta menare come doveva. La pugile bulgara, sconfitta, fa il segno “X” con le mani e celebra la sua identità cromosomica in segno di protesta, come col pugno chiuso di Tommie Smith e John Carlos a Città del Messico, ma va bene volendo anche per il “free speech” sulla piattaforma di Musk. Un’unica certezza, quella che “le parole non vogliono più dire niente, non servono più a capirsi” (come scrive Guia Soncini sul caso Khelif). E un finale alla Monty Python, col presidente del Comitato olimpico che chiude ogni polemica: “Al momento non esiste un sistema scientifico sicuro per differenziare gli uomini dalle donne”.
Escherichia coli
“Tre anni e nuoteremo nella Senna”. Lo diceva già Chirac all’alba degli anni Novanta. Intanto arrivano le gare olimpioniche di triathlon, idea un po’ matta e spericolata che sembra uscita da una puntata di “Ciao Darwin”. A rovinare la festa liquida e fluida di Parigi ecco però l’ombra dell’“escherichia coli”, parola che sa di vomito e diarrea, oppure complotto della “fasciosfera”, a seconda degli opposti schieramenti. Anche sul cagotto s’affollano le interpretazioni. Impossibile stabilire l’origine. La risposta dell’Italia al triathlon nella Senna è una frisella al pomodoro inzuppata direttamente nell’acqua di mare, subito virale su Instagram (non fatelo a casa).
Mucillagine
Grande amarcord dell’Adriatico. La mucillagine ora “spopola su TikTok”, la vediamo anche dal satellite e rimpiazza, anzi uccide il povero “granchio blu”, che però l’anno scorso era il “killer dei mari” (ma buonissimo con linguine e pomodori).
Ragno violino
Ultimo grido in fatto di aracnofobia, un nome da pupazzo di Rai Yoyo. La notizia del ragazzo morto punto dal ragno violino la leggo mentre sono in una casa al mare con minacciosissimo giardino. Passo la notte a spostare letti, armadi, mobili, la torcia in mano. Vorrei dormire con la muta da sub. A leggere i giornali non c’è scampo: il ragno violino può essere ovunque, “specialmente al nord”. Ecco in effetti una “parrucchiera di Venezia morsa in casa” (e neanche un Erri De Luca a chiedere che le sia dato un nome, peggio di “la fidanzata di Damiano dei Måneskin”).
Mpox
Quindi ricapitolando: se sopravviverete a una vacanza a Santorini, a un agosto in città, se non vi tuffate nella Senna, se evitate di affidarvi a uno skipper per la vostra gita in barca, se non vi bagnate a Rimini e fate attenzione ai ragni, potrebbe non bastare. Potreste prendere l’Mpox. Sembra un virus delle mail, è invece il temibile “vaiolo delle scimmie”. Come col Covid, girano gli screenshot delle circolari del ministero, naturalmente anche fake. Si agita lo spettro di un lockdown, subito smentito. “E’ tutto sotto controllo”, dice Salvini. Panico.
Masseria
Dalla Puglia di Vendola a quella di Giorgia. Il Salento è ormai una Capalbio di destra (ammesso che l’altra sia di sinistra). Nuovo palcoscenico della politica, teatro del consenso meloniano, perché va bene Tolkien ma qui poi come lo fai? Per avere l’egemonia culturale, prendersi intanto le masserie. Dopo i fasti internazionali di Borgo Egnazia, Salvini raggiunge la premier nella masseria di Ceglie Messapica e insieme chiamano Tajani. Pranzi a bordo piscina con panzerotti e pasticceria secca con pasta di mandorle. Se poi vanno tutti alla notte della Taranta siamo nell’ennesimo “Checco Zalone” (“dove sta scrittu che la musica popolare è solo di sinistra? Sentita quant’è bella, uscite dalla finestra arriva la tarantella dellu centru destra”)
Orecchio
L’orecchio di Donald come “sliding doors”. Da un’America al collasso, travolta da una “civil war” per vendicare l’assassinio del candidato repubblicano, a una possibile riscossa dei democratici. Tutto in due centimetri dal cranio di Trump. Perché non solo la Storia non è “finita”, come diceva anni fa Fukuyama prendendo una gran cantonata, ma galoppa ubriaca verso l’ignoto. L’immagine grintosa e guerresca della Pennsylvania doveva spianargli la strada. Doveva “entrare nei libri di Storia”. Già non ce la ricordiamo più. Ecco invece di nuovo Barack Obama, piazzato al centro della scena, mai così gigantesco e hollywoodiano, a fare ombra su tutti. Su Trump. Su Biden. E anche su Kamala.
Scuola
D’estate la scuola ci manca e appena s’intravede settembre subito se ne riparla. Scuola come cittadinanza. Scuola come rimescolamento politico. Scuola come fortino sindacale. Forza Italia si smarca dalla Lega e su Repubblica apre con un dibattito molto estivo allo “Ius Scholae” che ruota tutto intorno a Berlusconi, “tecnicamente immortale” per davvero. Poi si accarezza un vecchio sogno italiano: “Le scuole riaprano a ottobre, fa troppo caldo!”. Si potrebbero acquistare dei condizionatori, magari coi soldi del Pnrr? Macché! Vuoi mettere raggiungere il Nirvana delle ferie e salvare il pianeta “adeguando i cicli produttivi della Pubblica amministrazione alle mutate condizioni climatiche” come dice il sindacato? Se sei contrario, sei un genitore egoista, probabilmente di destra, scambi la scuola “per un parcheggio”, non cogli il sacrifico di chi ci lavora. Mi raccomando, fate figli che c’è l’inverno demografico. Però teneteveli a casa da giugno a ottobre.
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