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Ormai è tutto "un'esperienza": ma da quando ha un significato positivo?

Saverio Raimondo

Di una relazione si dice che è stata “un’esperienza” per intendere un’incompatibilità ad alto rischio colluttazione, una persona “di esperienza” ne ha viste di cotte e di crude. Ma io a cena o in viaggio voglio rilassarmi, non fare da cavia per esperimenti

In conclusione di questa estate 2024, spero vorremo piantarla con tutte queste “esperienze”. Il termine “esperienza” è stato negli ultimi anni fra i più inflazionati, spesso nella sua ancora più esotica accezione di “experience”. Tutto è diventato un’esperienza: dalle vacanze “esperienziali” alle mostre “immersive” (che paiono visite a musei allagati se non sommersi, con i visitatori in scafandri da palombaro e le guide come tanti sommozzatori), fino ai massaggi o alle saune – che non lo fai “un percorso sensoriale” alle terme? Ogni borgo medioevale, ogni evento in città, ogni attrazione turistica, ti promette anzi garantisce che sarà “un’esperienza”. Quest’estate, su un’isola, un ristoratore porgendomi il menù mi ha presentato la loro cucina come molto ricercata e curata, “il nostro chef vi farà vivere un’esperienza”. Il posto era bello e il cibo squisito, quindi ho fatto bene a restare; ma a quelle parole c’era da alzarsi e andarsene, anzi da scappare a gambe levate.

Davvero voi vorreste che la vostra cena sia un’esperienza? Quando mi siedo in un ristorante voglio semplicemente mangiare bene; se volevo un’esperienza mi lanciavo da un aeroplano con un paracadute o da un ponte con una corda elastica. L’idea che un pasto possa essere un’esperienza mi fa pensare semmai a una cattiva digestione, una notte insonne in preda all’acidità di stomaco o peggio, un’intossicazione alimentare con annessa lavanda gastrica. L’idea che un viaggio non sia una semplice vacanza ma un’esperienza mi fa subito pensare a voli cancellati, bagagli smarriti, turbolenze in aria, oppure treni soppressi o in ritardo mostruoso, coincidenze perse, convogli fermi per ore dentro una galleria con l’aria condizionata rotta e senza un goccio d’acqua da bere – praticamente un viaggio in treno in Italia. Da quando la parola “esperienza” ha acquisito una connotazione positiva, invitante? “Esperienza” semmai è un eufemismo per intendere una cosa complessa, faticosa, non piacevolissima. Di una relazione sentimentale si dice che è stata “un’esperienza” per intendere un rapporto difficile, travagliato, sofferto, sostanzialmente un’incompatibilità ad alto rischio colluttazione. Quando di una persona si dice essere “di esperienza”, s’intende una persona che ne ha viste di cotte e di crude, più o meno cicatrizzato ma di certo segnato. Se ti chiedo “com’è andata?” e tu mi rispondi “è stata un’esperienza”, ti faccio subito sedere e ti porto un bicchiere d’acqua, perché immagino tu sia stanco e assetato. Ecco, io non voglio pagare per essere stancato e disidratato: né per una cena, né per un viaggio, né per una “serata evento”.

Dal punto di vista del dizionario, l’esperienza è “una conoscenza diretta, personalmente acquisita, di una determinata sfera della realtà”; o, nel linguaggio scientifico, un esperimento. A parte il fatto che tutte queste “esperienze” mi sembrano più una fuga che un avvicinamento al reale, io di sfere di realtà ne ho già acquisite a sufficienza (e mi girano tutte parecchio); e al momento non ho voglia di fare da cavia per nessun esperimento, se donerò il mio corpo alla scienza sarà dopo morto e solo per risparmiare i costi del funerale. Insomma, se proprio volete, voi fatevi pure le vostre esperienze; ma a me lasciatemi perdere, io vi aspetto qui, a sorseggiare.

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