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Dibattito

In America sono le famiglie a temere i device tecnologici forniti dalle scuole stesse

Mario Leone

Non servono barricate ideologiche, ma il senso della misura e la presenza di docenti che sappiano dare all'allievo tutto quello di cui ha bisogno

In quasi tutto il mondo imperversa il dibattito sull’utilizzo dei cellulari e dei dispositivi digitali, sia a scuola sia fuori. Da pochi giorni le autorità sanitarie svedesi hanno diffuso “una raccomandazione” che chiarisce i danni dell’esposizione agli schermi per i bambini da zero a due anni. Sotto la lente di ingrandimento anche i social e il numero di ore che gli adolescenti trascorrono sui device. In Italia le polemiche sono sorte dopo la circolare del ministro Valditara sul divieto di utilizzo di cellulari sino alle medie.

Ma è dall’America che giunge la notizia che farà più discutere. Julie Jargon sulle colonne del Wall Street Journal scrive di nuove tecnologie e del loro impatto sulla vita delle persone, in particolare delle famiglie. In un recente articolo-inchiesta, l’autrice racconta la preoccupazione di alcune famiglie texane che devono fronteggiare il crescente numero di tablet e schermi che le scuole mettono a disposizione dei loro figli. Da un lato, viene vietato l’uso del cellulare; dall’altro, si forniscono ai bambini strumenti che spesso, in famiglia, non utilizzano o utilizzano sotto stretto controllo. Molto interessante è la testimonianza di Andrea Boyd, padre di un bambino che frequenta la “classe sesta”. Controllando la cronologia del tablet utilizzato da suo figlio, ha notato che durante le ore scolastiche il sito più visitato è YouTube. E’ quello che accade quando si lascia alla libera, e spesso immatura, volontà del discente l’uso di uno strumento che ha tante potenzialità, non tutte ugualmente buone.

Ma la storia non finisce qui, anzi si fa più interessante. Il signor Boyd ha presentato una richiesta formale per attivare una programmazione “senza schermi” per il proprio figlio. Un’istanza, anche provocatoria, alla quale la scuola ha risposto con un avvertimento: “Non sarà possibile garantire la stessa qualità didattica per suo figlio”. La battaglia si è estesa a tutto il distretto. Alcune scuole oggi cercano di mediare e accogliere le richieste di una didattica priva di schermi, altre sono in conflitto con le famiglie, sottolineando la mancanza di una legge statale chiara al riguardo. Non mancano le guerre tra scuole pedagogiche pro schermi o pro carta.

A qualsiasi latitudine l’approccio a queste nuove sfide è totalmente schizofrenico. In Italia ad esempio scarseggiano indicazioni chiare (anche rispetto ai cellulari) sulle modalità operative con cui si dovrebbe attuare il divieto. La casistica è ricca: un cellulare può essere ritirato a un minore? Chi deve restituirlo? In caso di guasto o furto, chi ne risponde? Da anni, aggiungiamo, si punta su una didattica informatizzata, con grandi investimenti nelle Stem e nelle nuove tecnologie, per poi cercare di eliminare questi stessi strumenti. Demonizzare un certo tipo di tecnologia è anacronistico. Ancora una volta – su queste colonne lo ripetiamo costantemente – il fattore decisivo è l’educazione di tutti: giovani e adulti, studenti e docenti. Costruire barricate su posizioni ideologiche non serve a nulla.  Serve il senso della misura e la presenza di docenti i cui limiti non sono superati con il moltiplicarsi di “armi” (perché una persona che non sa guidare non saprà farlo nemmeno se possiede una Ferrari o una Tesla con il pilota automatico) ma con un investimento sul capitale umano capace di utilizzare tutto quello che veramente serve all’alunno. Prima di tutto un vero docente, il resto verrà quasi da sé.

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