Foto ANSA

Dinamiche da ufficio

I benefici di fare riunioni in continuazione

Tommaso Tuppini

Abbiamo scelto di organizzare meeting continui, pur di non delegare le decisioni importanti a pochi colleghi. Tuttavia, l’assemblearismo compulsivo potrebbe dimostrarsi una risorsa utile al nostro ego, facendoci sembrare di star facendo davvero la differenza sul luogo di lavoro

"Sono sopravvissuto all’ennesima riunione che doveva essere un’email”, è scritto sopra una t-shirt in vendita su Amazon. Difficile essere più d’accordo di così con una maglietta. Potrebbero indossarla i professori della scuola e dell’università, convocati a ogni piè sospinto per discutere le questioni le più futili. La maglietta farebbe la sua bella figura anche nelle riunioni di comitato che mettono a dura prova lo spirito di sopportazione di medici e infermieri. Le aziende, che non vogliono essere da meno, organizzano meeting di aggiornamento e allineamento per far subire a dirigenti e impiegati le stesse angherie di insegnanti e ospedalieri. La maglietta dovrebbero indossarla tutti quelli che la compulsione all’assemblea ha sfibrato, riducendogli drasticamente il tempo che dedicano al lavoro vero e proprio.


Viene convocato anche chi non c’entra nulla. Lo sa il convocato e lo sanno i convocatori, che però lo convocano lo stesso, sennò sarebbe una forma di discriminazione. Chi avrebbe l’autorità di farlo non vuole aggiornare la seduta quando è il momento, perché nascerebbe il sospetto che non avevamo molto da dirci. Allora si va avanti a oltranza, con gli occhi spalancati come i pesci rossi. 


L’assemblearismo è il prezzo che un’organizzazione deve pagare per autogovernarsi. Funziona dentro comunità piccole e animate da un certo fanatismo come sette religiose e club di cinefili. Nelle associazioni più estese e meno compatte di solito è necessario delegare le decisioni importanti a un gruppo dirigente. Se questa cosa non piace, ci sono due alternative: avere fiducia che i colleghi possano decidere anche da soli oppure fare assemblee a raffica. Abbiamo scelto la seconda. In teoria per evitare il dirigismo e riappropriarci collettivamente delle decisioni. In pratica, le assemblee collettivizzano soltanto il proceduralismo della burocrazia. L’idea che il potere di decidere non va delegato a una minoranza e nemmeno rimesso ai singoli, finisce per trasformare tutti in funzionari. E’ il modo migliore per far rientrare dalla finestra il dirigismo cacciato dalla porta.


Le assemblee hanno mano libera su questioni marginali e micragnose. Discutono all’infinito i dettagli e, senza saperlo, finiscono per approvare il progetto d’insieme che non hanno mai discusso. Così, senza volerlo, nascondono dietro una nebbia di parole e alzate di mano il fatto che le vere decisioni sono già state prese altrove. Nessuno sa esattamente dove, da chi e perché. E non vogliamo più chiedercelo dopo che con un voto di maggioranza abbiamo detto sì. Invece di convocare riunioni come pezze d’appoggio a un’autorità senza nome, dovremmo cominciare con il delegare le decisioni a quelli che vogliono farsene carico per davvero. Perché se le assumano in modo esplicito, senza strizzate d’occhio e sottointesi, e separando con chiarezza le decisioni che prendono senza di noi da quelle che sono rimesse a ciascuno di noi. Le prime potremo approvarle o respingerle con una mail, e sul resto decideremo da soli. Avremo tutti più tempo per le nostre cose: insegnare, curare, produrre. Ma anche inforcare biciclette, passeggiare marciapiedi, godere tramonti. 


Comunque, non accadrà. L’assemblearismo compulsivo ha un avvenire fecondo perché almeno un beneficio lo produce: siccome spesso il lavoro è avaro di gratificazioni e anche quando lavoriamo, alle volte ci sembra di non star facendo niente, sedersi attorno a un tavolo e parlamentare sulle questioni più minute dà a noi stessi e agli altri l’impressione che stiamo facendo qualcosa. E’ una consolazione. Ogni epoca ha la sua. Una civiltà più ingenua e impietosa della nostra pensava che il sudore della fronte è la punizione per una colpa e si rassegnava. Noi non siamo altrettanto duri di cuore e ci siamo ficcati in testa di trasformare il lavoro in una specie di convivio permanente. Però gli invitati non ci mettono molto ad accorgersi che il cibo è sofisticato e le bevande narcotizzate. Senza contare che prima o poi uno dei commensali dirà: problematicità, narrazione, criticità, guastandovi definitivamente l’appetito.
 

Di più su questi argomenti: