La Storia
Problemi esplosivi: dalla grande guerra a oggi, il prezzo del tritolo e l'occidente in crisi
Il conflitto in Ucraina, con il tritolo dei proiettili alle stelle, le micro bombe per Hezbollah, il paradosso di Nobel. Passeggiata in un campo minato
Mi piace l’odore del napalm alla mattina, diceva il tenente colonnello Kilgore in “Apocalypse Now”. La dodicesima battuta più famosa della storia del cinema, secondo un sondaggio che fotografa un successo veramente esplosivo. “Una volta una collina la bombardammo per dodici ore e, finita l’azione, andai lì sopra. Non ci trovammo più nessuno, neanche un lurido cadavere di Viet. Ma quell’odore… si sentiva quell’odore di benzina. Tutta la collina odorava di… di vittoria. Prima o poi questa guerra finirà”, continuava il monologo. In realtà, per gli americani non finì con una vittoria. Ma è vero che la disponibilità di esplosivo è essenziale nei cicli bellici, e se non ce n’è abbastanza può diventare un problema veramente esplosivo. Adesso, ad esempio, la guerra in Ucraina evidenzia l’errore che l’occidente ha fatto nello smettere di produrre per motivi ambientali quel tritolo di cui ora i grandi fornitori sono Russia, Cina, India e Turchia. La spesa per fabbricare un proiettile da 155 millimetri, con i suoi 10 chili di tritolo, è così salita da due-tremila dollari a una media di cinquemila dollari, con punte da ottomila, e l’Ucraina sta comprando munizioni prodotte poco dopo la Seconda guerra mondiale.
Il trinitrotoluene, più noto con l’abbreviazione tritolo e con la sigla Tnt, nasce infatti dal toluene: un liquido volatile e incolore dall’odore caratteristico dei diluenti per vernici, che fu ottenuto la prima volta nel 1841 distillando la resina della corteccia del balsamo del Tolù, un albero della foresta colombiana. Dal 1847 si trovò però come estrarlo anche dal catrame. Il suo primo uso fu come solvente, ma nel 1863 il chimico tedesco Julius Wilbrand ebbe l’idea di combinarlo con nitrato per ricavarne un colorante giallo. E nel 1891 un altro chimico tedesco di nome Carl Häussermann fece la scoperta veramente esplosiva che quel colorante era appunto un esplosivo portentoso ma stabile, tanto che lo si poteva fondere con acqua calda o vapore per riempirci proiettili e modellarlo. Era peraltro un momento in cui di nuovi esplosivi se ne stavano inventando in continuazione, dopo il lungo monopolio della polvere da sparo. Nel 1894, ad esempio, pure in Germania fu brevettato il tetranitrato di pentaeritrite, meglio noto come pentrite. Prodotto a partire dal 1912, è ciò che i Servizi israeliani hanno infilato nei cercapersone made in Taiwan che nei giorni scorsi hanno ucciso i miliziani Hezbollah. E già nel 1845 il tedesco naturalizzato svizzero Christian Friedrich Schönbein, anche scopritore dell’ozono, aveva inventato quel fulmicotone che Jules Verne utilizza per caricare il cannone che manda tre suoi eroi in orbita in “Dalla terra alla luna”.
Tornando al Tnt, le forze armate tedesche lo adottarono nel 1902 e lo stesso fecero i britannici a partire dal 1907. Il tritolo ha il vantaggio di poter essere conservato per anni, per cui appunto possono essere utilizzati ancora proiettili della Seconda guerra mondiale. Ed esplode solo con un detonatore. Il tritolo è diventato un punto di riferimento dell’industria bellica tale che anche la potenza delle bombe atomiche è misurata come suo multiplo: il chilotone sono 1.000 tonnellate di Tnt.
Ovviamente, tutto ciò ha fortemente impressionato la cultura di massa. Onnipresente nei videogiochi, una bomba con su scritto Tnt è spesso utilizzata da Wile E. Coyote per catturare Beep Beep, nel noto cartone animato. “Il gruppo Tnt / eccolo qui!”, era la sigla che nel “SuperGulp! Fumetti in Tv” degli anni 70 presentava lo scalcinato manipolo di agenti segreti protagonisti del popolare fumetto di Magnus e Bunker. Solo che il tritolo è anche molto tossico. Diventando esplosivo non ha dimenticato di essere un colorante, e durante la Grande guerra le operaie delle fabbriche britanniche che lo producevano si erano prese il soprannome di Canary Girls, “Canarine”, per il modo in cui la loro pelle si tingeva di giallo. Un’indagine governativa del 1946 sulle lavoratrici del Woolwich Arsenal di Londra dimostrò che il 37 per cento di loro accusava disturbi che andavano dalla perdita di appetito alla nausea, il 25 per cento soffriva di dermatite ed il 34 per cento disfunzioni del ciclo mestruale. L’esposizione prolungata provoca inoltre anemia, alterazione del fegato, annerimento dell’urina, ingrossamento della milza, danni al sistema immunitario e alla fertilità maschile, cancro. Per questo gli Stati Uniti hanno cessato la produzione nel 1986, la Germania nel 1990 e il Regno Unito nel 2008.
Secondo la Reuters, nel 2021 l’esercito americano aveva persino iniziato a importare Tnt proprio da un impianto in Ucraina. Ma si trovava a Rubizhne, nel cuore del Lugansk, ed è stato investito dall’avanzata russa già nel marzo del 2022. I difensori in ritirata hanno fatto appena in tempo a distruggere la fabbrica. L’unico grande stabilimento rimasto nei paesi Nato è in Polonia: una ex fabbrica di polvere da sparo tedesca durante la Seconda guerra mondiale, trasformata in produttrice di Tnt in epoca staliniana, e oggi controllata dal governo di Varsavia. Lavorando a pieno regime, produce però quantità appena sufficienti per sostenere quattro o cinque mesi di combattimenti in Ucraina. C’è poi in Italia un piccolo stabilimento della Oto Melara, mentre la tedesca Rheinmetall ricorre a fornitori africani.
Il problema esplosivo per cui pure le industrie di aggeggi e dispositivi per uccidere il prossimo oggi devono rispettare l’ambiente è d’altronde lo stesso per cui l’Italia ha smesso di essere il primo produttore mondiale di mercurio. Nel 1846 era stata creata nella comunità ebraica di Livorno una Società industriale stabilimento mineralogico Modigliani per l’estrazione sul Monte Amiata, poi divenuta Società mercurifera Sadun-Rosselli con l’arrivo della famiglia cui appartennero anche Pellegrino Rosselli, presso la cui casa morì Giuseppe Mazzini, e i suoi discendenti Carlo e Nello Rosselli. Dopo il 1870 la produzione decollò, e nel 1897 nacque la Società anonima delle miniere di mercurio del Monte Amiata, con capitali tedeschi cui si aggiunse in seguito la Banca commerciale italiana, per sostituirli del tutto dopo la Grande guerra. Rivoluzionando la vita di una tipica area contadina di montagna i cui abitanti si trasformarono in minatori, la zona arrivò a fornire almeno il 25-30 per cento della produzione mondiale, con picchi del 50 per cento.
Il mercurio serviva per molte cose: dai termometri e barometri alla cura per la sifilide passando per l’estrazione dell’oro, l’odontoiatria o la manifattura dei cappelli. Anzi, fu la regolarità con cui i fabbricanti di copricapi finivano per avere problemi mentali che, dopo aver ispirato la figura del Cappellaio matto di Alice nel “Paese delle meraviglie”, fece capire la tossicità del metallo. Ma l’uso principale era il fulminato di mercurio, a lungo il principe dei detonatori per esplosivi e inneschi per cartucce. Dopo un massimo di 3.300 addetti nel 1927, la manodopera si era attestata sui 2.000. Una condizione allo stesso tempo privilegiata per il posto fisso e disagiata per la tossicità del lavoro di cui diedero testimonianza nel 1956 Luciano Bianciardi e Carlo Cassola nel loro “I minatori della Maremma”. Roccaforte del Pci, le maestranze del Monte Amiata furono tra le più scatenate nelle proteste che nel 1948 seguirono l’attentato a Togliatti. Ma nel 1977 fu chiuso tutto, appunto in nome della nuova sensibilità ambientale e anche del crollo della domanda. Oggi al posto del fulminato di mercurio si utilizzano altri esplosivi da innesco che uccidono lo stesso ma rispettando l’ambiente: azoturo di piombo, stifnato di piombo, tetrazene.
Ovviamente, più ancora che produrli i minatori gli esplosivi li utilizzano. E attorno a ciò è nata una singolare subcultura. “Urlan l’odio, la fame e il dolore / da mille e mille facce inscheletrite / e urla col suo schianto redentore / la dinamite” è un famoso inno anarchico di fine ‘800 – “nel fosco fin del secolo morente” è il primo verso – che fu tra le fonti di ispirazione di Francesco Guccini per la sua famosa “La locomotiva”, e che lo stesso Guccini ha inciso da poco nelle sue “Canzoni da intorto”. Ricorda come una delle prime roccaforti anarchiche in Italia fu tra i lavoratori delle cave di marmo di Carrara, per cui i candelotti erano sia uno strumento di lavoro, sia un sogno di truculenta rivolta. In qualche modo, una trucida eco si ritrova ancora in qualche canzone sessantottina di Fabrizio De Andrè. “Ormai sono in ritardo per gli amici / per l’olio potrei farcela da solo / illuminando al tritolo/ chi ha la faccia e mostra solo il viso / sempre gradevole, sempre più impreciso. / E l’esplosivo spacca, taglia, fruga / tra gli ospiti di un ballo mascherato, / io mi sono invitato / a rilevar l’impronta / dietro ogni maschera che salta / e a non aver pietà per la mia prima volta”, è il finale di “La Bomba in testa”; e “chi va dicendo in giro / che odio il mio lavoro / non sa con quanto amore / mi dedico al tritolo, / è quasi indipendente / ancora poche ore / poi gli darò la voce / il detonatore” l’inizio di “Il bombarolo”. Entrambi dall’album del 1973 “Storia di un impiegato”.
La dinamite è diventata un simbolo identitario anche dei minatori andini, che oltre a ostentarla in manifestazioni politiche ne hanno fatto strumento per uccidere il toro in una variante peruviana della corrida che si chiama Yawar Fiesta. “Yawar Fiesta” fu nel 1941 il titolo del romanzo di esordio dello scrittore peruviano José María Arguedas, cui Mario Vargas Llosa ha a sua volta dedicato un libro, e in cui si vedono le autorità conservatrici e i dirigenti dei partiti progressisti in paradossale accordo per cercare di sostituire una corrida tradizionale a quella kermesse in cui più di un popolano resta mutilato. Ma gli indios si ribellano agli uni e agli altri, perché ormai per loro far saltare in aria tori è diventata una manifestazione identitaria irrinunciabile. Anche tra i minatori del bresciano c’era un forte sentimento identitario tra gli addetti agli esplosivi, chiamati “lingera” proprio perché dovevano “avere la vita leggera” per fare quel lavoro in cui correvano il rischio di saltare in aria in continuazione. “A i dis che i minatori son lingeri / portan le braghe larghe e stivaloni / e apéna i g’à furà la galeria / e i pianta i pinf e punf e poi va via”, diceva una loro canzone. “E la lingera che mai non trema / e sul tremare la risolverà il problema”, rivendicava un altro brano, con la minaccia finale: “Se alla lingera le gira la testa / oggi lavora e domani fa festa / se alla lingera le gira i coglioni / ciapa la giacca e saluta il padron”.
Esplosivo usavano ovviamente anche i lavoratori per quella Prima Ferrovia Transcontinentale che tra 1863 e 1869 collegò la costa atlantica e quella pacifica degli Stati Uniti. Da est a ovest lavorava la Union Pacific, di cui si notò subito che i lavoratori soprattutto irlandesi tendevano ad ammalarsi e a morire come mosche, per il tipo di acqua che si trovavano a bere. Al contrario, i cinesi della Central Pacific, che lavorava da ovest a est, godevano di salute di ferro, per il fatto che l’acqua la bollivano in foglie di tè conservate nei barili di polvere da sparo usati: da qui l’origine del famoso Gunpowder Tea. E chi ritenga irrimediabilmente asiatica la pratica di una bevanda al sapore esplosivo, si può ricordare che nel “Partigiano Johnny” Beppe Fenoglio col caratteristico italiano inframezzato a inglese dei suoi abbozzi ci mostra partigiani che l’esplosivo addirittura lo mangiano. “Con una patetica espressione di abilità e surprisemaking uno dei due contadini si era cavato una bomba da sotto il piede ancora calzato all’invernale ed ora con un coltello tagliava una fettina dal ventre resinoso. I due profani stavano aspettandosi chissà qual dimostrazione, ma l’uomo si limitò a portarsela alla bocca e a masticarla accuratamente. Ettore con uno snap s’informò se era buona. L’uomo grimaced contentedly e il guastatore spiegò che il plastico era commestibile, con un grato sapore mandorlato”.
Curioso collegamento: ex partigiano nella formazione di Fenoglio era il Folco Lulli che con Yves Montand è uno dei protagonisti di “Le salaire de la peur”, in italiano “Vite vendute”. Grande film del 1953 per la regia di Henri-Georges Clouzot, su quattro avventurieri sbandati bloccati in una cittadina centro-americana che per guadagnare il gruzzolo che permetterebbe loro di tornare a casa accettano di farsi 600 km su strade dissestate con due camion carichi di una tonnellata di nitroglicerina per spegnere un pozzo petrolifero in fiamme. C’è forse quella suggestione di nitroglicerina centroamericana all’origine della surreale vicenda di corna e esplosivo narrata in quella “Maracaibo” che, scritta da David Riondino e dalla interprete Lu Colombo, fu un tormentone del 1981? “Ma Miguel non c’era / era in cordigliera da mattina a sera / Sì ma c’era Pedro / con la verde luna / l’abbracciava sulle casse / sulle casse di nitroglicerina / tornò Miguel tornò / la vide e impallidì / il cuor suo tremò / quattro colpi di pistola le sparò”.
Ma la nitroglicerina, sintetizzata per la prima volta nel 1847 a Torino da Ascanio Sobrero, pur essendo stato il primo esplosivo più efficace della polvere da sparo e pur avendo in limitatissime dosi addirittura effetto curativo della angina pectoris, è stata in effetti usata molto poco proprio perché sensibilissima al calore e agli urti. Un altro problema esplosivo di cui l’industriale svedese Alfred Nobel si rese conto nel modo più drammatico, quando un’esplosione gli distrusse la fabbrica e gli uccise il fratello. Lo risolse appunto combinandola con farina fossile nei caratteristici candelotti, con il citato fulminato di mercurio come detonatore. La dinamite. La forma serviva per inserirla più facilmente in fori da perforazione per demolizioni e cave, con l’idea che forse un prodotto così micidiale avrebbe dissuaso dalla guerra. Da cui, quando invece vide che i militari la usavano con entusiasmo, la frustrazione che cercò di curare utilizzando gli ingenti profitti del brevetto del 1875 per inventare i premi Nobel. “Posso perdonare a Nobel di avere inventato la dinamite ma solo un diavolo travestito da uomo poteva inventare i premi Nobel” fu un famoso commentaccio di George Bernard Shaw, che comunque un Nobel se lo prese.
Sempre combinando la nitroglicerina, nel 1889 i chimici britannici James Dewar e Frederick Abel crearono la cordite, per sostituire la polvere da sparo. Nobel fece loro causa per plagio, ma la perse. Oggi obsoleta, la cordite durò abbastanza a lungo da essere un ricordo di infanzia di Francesco Guccini. “Quando son nato io la morte stringeva la vite / e la gente del mondo ingoiava cordite” ricorda la canzone “Milano (Poveri bimbi)”, dell’album del 1981 “Metropolis”. Ma anche la cordite divenne un bel problema esplosivo sorprendentemente simile a quello di oggi, quando nel 1914 i comandi britannici si resero conto che fino ad allora l’Impero aveva importato dalla ormai nemica Germania l’acetone: indispensabile solvente per fabbricarla. La soluzione la trovò il chimico di origine russa Chaim Weizmann, inventando nel 1915 un metodo per ottenere l’acetone dalla fermentazione del mais. Oltre che valente scienziato, Weizmann era anche un leader sionista. Fu proprio in gran parte come compenso per la sua invenzione che nel 1917 ottenne dal governo di Londra quella Dichiarazione Balfour che prometteva la costituzione in Palestina di quel Focolaio ebraico che 31 anni dopo sarebbe diventato lo stato di Israele, proprio con Chaim Weizmann come primo presidente. E da lì altri problemi esplosivi, ma è già un’altra storia.
Politicamente corretto e panettone
L'immancabile ritorno di “Una poltrona per due” risveglia i wokisti indignati
Una luce dietro il rischio