La città delle donne sole
Fenomenologia della donna sola, al potere come nella vita
Chi ci torna e chi ci resta, sono sempre di più le donne istruite e indipendenti che preferiscono la solitudine al matrimonio o alle relazioni tradizionali, a partire dalle sorelle Meloni. Quant’è cresciuta la declinazione femminile della parola "single"
Donne sole al comando. Già coniugate finché un fuori onda non le ha separate dai mariti. Ed ecco. Quel che resta è la femmina lasciata sola. Talvolta stacanovista, superdonna al comando, o magari semplice ragazza senza amici (“single”, scrive lo Zingarelli, è una voce anni Ottanta). Quel che resta è la donna spaiata che in Italia e nel mondo cresce di numero e intensità. A maggior ragione dacché viviamo in un contesto di sempre più donne sole, sì, ma pure di “sole donne” al potere. E se adesso quest’incipit vi suona familiare – non c’è da stupirsi – è presto detto perché.
Un caso unico al mondo è il paese nostro, si sa, col binomio di donne sole al comando, le gemelle Arianna e Giorgia Meloni, che in meno di un anno hanno rivoluzionato tempi e mode del Belpaese. Ritmi scenici e costumi del contemporaneo anche meglio dei film di Paola Cortellesi: dall’addio al maschio in stile “ready-made” (la premier licenziò il fidanzato Andrea Giambruno sui social network) alle tradizionali dichiarazioni su carta con sontuose inflessioni stile Telepontina (“Per Lollo mi butterei nel Tevere” e poi “Lollo lo stimo ma l’amore è un’altra cosa”. Parole di Arianna Meloni, ricorderete, su quest’inserto fogliante, a riprova che la vita non imita l’arte ma la filmografia di successo ancorché brutta o di Cortellesi).
Comunque, si diceva, l’Italia è un caso unico al mondo. Tanto che le Miss Italia spaiate – premier e Grande Sorella – sono la prima tappa di un’indagine sulla solitudine al femminile. Il primo scorcio su una ricetta tutta italiana dove la donna non comanda più solo in casa, circostanza per nulla inedita (si pensi a Franca Valeri che spadroneggia sul “cretinetti” Alberto Sordi o a qualche nostra nonna o prozia matriarca), ma anche fuori, davanti a tutti. A patto, va da sé, di tagliare i rami secchi e avere la forza di star sola. Matriarca sì, ma per paradosso single in ottemperanza a una battuta della divorziata Mae West. Ché se “il matrimonio è una carriera”, diceva lei, “due carriere insieme non si possono mescolare”.
Ma ecco che a partire dalla politica che non più rappresenta bensì somiglia alla società (“Mi butterei nel Tevere” è vernacolo puro: sublime sintesi tra un sonetto del Belli e un falò di “Temptation Island”), ecco che, dicevamo, tocca poi allargarsi al paese reale. Che di quello legale è appunto lo specchio. E anche qui domandarsi: chi sono, oggi, le donne sole? Sono forse le ragazze affermate, come le sorelle Meloni, o sono invece le donne esauste? Sono, magari, un nuovo campo largo? Un nuovo fronte popolare? Che siano il fronte, per così dire, della donna qualunque? Questi i dilemmi. Cui rispondere è possibile solo in uno slancio che dalle suggestioni porti alle verità. E dal mondo dello spettacolo (la politica) al mondo dei numeri (la vita). Anche perché i numeri, in tema di donne sole, parlano chiaro.
Nel 2022, stando al Rapporto annuale dell’Istat sulle famiglie, il 33 per cento del campione viveva in solitudine. Dato, questo, che segnava il definitivo sorpasso dei signorini (maschi e femmine) rispetto alle coppie con figli (31 per cento). Ma i numeri parlano e profetano poi chiarissimo allorché il quadro è annerito, ancora, di previsioni. Sempre l’Istat stima infatti che un quasi 40 per cento dei nidi domestici, entro il 2040, sarà abitato da persone sole ripartite in maschi al 16 per cento e femmine al 23. In pratica, in persone spaiate in aumento e in donne assai più spaiate rispetto alla controparte maschile. E perciò sì: donna sola uguale donna qualunque.
E pensare che nel 1988, mentre Giorgio Gaber incideva “I soli” e la parola inglese s’insinuava nei dizionari italiani, Eurispes condusse una ricerca – lo spirito del tempo non sbaglia un colpo – dal titolo “I single in Italia”, dove la solitudine sembrava invece a trazione maschile. Trattavasi infatti – scriveva Eurispes – di soli perlopiù “metropolitani, carrieristi, spendaccioni” e dunque “narcisi, insonni, stressati”. Di un’umanità maschia con esemplari altamente scolarizzati e nondimeno subordinati all’aiuto dei genitori per spignattamenti e servizi domestici. Attività che determinavano, allora, un divario tra uomini (16,5 per cento) e donne (6,2). E che per contro determinano oggi, con l’estensione delle faccende domestiche al maschio e soprattutto dell’alta scolarizzazione alla femmina, una percezione più rosa (ma non più rosea) della vita in solitaria.
E insomma chi dice “single”, oggi, dice donna. Epperò non è detto alluda per forza a un profilo stile “sorella Meloni” che “sacrifica tutto” a Palazzo Chigi o “sorella Materassi” che, sfigata, sbircia le altre donne su Instagram come le zitellone di Palazzeschi alla finestra. Il mondo delle zitelle oggi è ampio. È vario. E come che siano, le donne sole sono chiunque, sono la donna qualunque, in Italia e nel mondo. Dove, sempre al di là delle suggestioni, la verità è che l’istruzione le ha distolte dai pupi prima e dai puponi poi. Perché in effetti se – come ha scritto in “Of boys and men” lo studioso Richard Reeves – nelle università statunitensi due terzi dei migliori sono femmine e due terzi dei peggiori maschi, non si capisce il motivo per cui una ventenne normodotata dovrebbe ammaliarla un cervello maschile tarato sul joystick. Considerando ancora che una donna normodotata, si sa, cerca per natura di emanciparsi benché emancipata. Mica è scema. Una ben istruita cerca per natura uno più acuto, più capace e – bando al moralismo – più ricco di lei. E se poi non lo trova – congiuntura oggidì frequente – amen, pazienza, fa da sé. Talché le sole, per questa e per altre ragioni, aumentano e i dati tornano. Sia tra le cape sia tra le donne di popolo.
Sempre qui da noi l’Ipsos ha messo su un simpatico Osservatorio dei single che affresca la solitudine italiana a tinte vieppiù femminili, con il 74 per cento delle donne, contro il 61 degli uomini, che manifesta maggiore diletto in attività solitarie o in “svaghi intimi”. I quali più che all’eros fai da te – che pensavate? – afferiscono a “esperienze” sì intime ma instagrammabili. E cos’è più instagrammabile, oggi, per una donna single e cioè qualunque, di una bella vacanza? Fateci caso. Niente tira su l’engagement e l’autostima come un viaggio, che per il 72 per cento delle donne (a fronte del 57 per cento maschile) altro non è, appunto, che “un’opportunità fondamentale per acquisire fiducia ed essere orgogliose di sé”. E vabbè. Sarà che il modello Julia Roberts – dalle commedie anni Novanta a Mangia Prega Ama anni Dieci – ci ha preso la mano, ma se le donne son sempre più sole, Hollywood a parte, bisogna aggiungere ancora un elemento. Ed è appunto il fattore “orgoglio” cui accenna l’Ipsos in tema di viaggi e che si estende, poi, alla solitudine in generale.
Che sia o meno superdonna, la percezione della solitudine femminile sembra oggi ribaltata, a riprova della sua normalità. Col maschio solo che è somaro e tapino e la femmina, per contro, che è istruita e “orgogliosa di sé” a prescindere dal reddito. Anche se poi, ancora a proposito di orgoglio, un sospetto s’insinua… Perché insomma, va bene il “single pride” – come si chiama – ma non è che codesto pride, che della donna potente è la spuma, è invece l’oppio della popolana? Non è che il “single pride” è solo la favoletta formato hashtag buona per sopportare la vita e non dirsi in faccia che senza l’indennità parlamentare non c’è carriera ma duro lavoro? E che la solitudine, così, costa cara e fa pure schifo come le monoporzioni al supermercato? Domanda. Era una domanda. E la risposta è aperta. Chissà.
Ma adesso, allargando lo sguardo si colgono ancora altre sfumature. Stili di donne sole (e di sole donne) che, da un capo all’altro del mondo, convergono tutte sul solito assioma. Finanche banale. Quello per cui all’aumentare del benessere – e dell’istruzione – aumenta giocoforza la solitudine. È così, è un fatto, pressoché certo. Tanto che se l’emancipazione implode, risolvendosi in emancipazione dal maschio, la conseguenza sta tutta in una autofiction collettiva. In hashtag insomma che drogano la repubblica delle donne affinché si sopporti la solitudine. Inevitabile sia nel paese legale sia in quello reale (dove la linea di confine scompare).
E dunque se in principio fu “single pride”, adesso, a New York – altro hashtag – è “#boy sober”, la sobrietà dai maschi che è tipo la “Siberia dei sentimenti” della Fallaci (solo che, su TikTok, dove si è un po’ meno drastiche di Oriana, anziché Siberia s’è chiamata “sobrietà”). Ebbene, il neologismo “boy sober” promana da Brooklyn. Dove nel tipico locale “hard-to-classify”– nightclub, teatro, non si capisce – una comica attiva su TikTok ci ha imbastito uno spettacolo omonimo. La ventisettenne Hope Woodard racconta così il suo “esaurimento dei sentimenti”. Un “burnout”, dice, che l’ha portata alla “sobrietà sentimentale” per un anno. No baci, no letti, no app: niente di niente. E come lei tutta una comunità di giovani donne penitenti e pentite (il locale si chiama in effetti Purgatory) che il nubilato più che per noia se lo son scelto per professione (o per passione tiktoker, chissà). E il punto però, anche qui, è che non si tratta di donne speciali bensì di moltitudini social e dunque virali. Di donne qualunque e solitudini sorelle che, per questioni di numeri, di speciale non hanno alcunché.
Ma continuiamo, ancora, a colmare le distanze geografiche, gli stili di vita… Ed ecco. Stando sempre all’assioma di cui sopra, meno ironiche ma altrettanto assiomatiche paiono ancora le coreane del sud. Le donne connazionali del signor Samsung, del K-Pop e del Metaverso, ma soprattutto del tasso di natalità più basso al mondo (0,78 nascite per donna). Le donne di Corea, dove, all’aumentare del benessere, svetta pure la solitudine. “4B”, in inglese “Four Nos” (i “4 No”), è il movimento sudcoreano di femminismo radicale che rifiuta nell’ordine: appuntamenti, accoppiamenti, sposalizi eterosessuali e, non ultimo, maternità naturali. Un movimento di femmine sole per scelta che, coi capelli a zero e i seni bradi, affermano l’opposizione al patriarcato in punto di astinenza dall’uomo e di rigetto del reggiseno. Gente seria, si capisce. Nulla a che vedere con la Telepontina. Ma era giusto per dire che non è solo l’Istat né solo l’Italia meloniana (da fanalino di coda a caso-studio nel mondo). Non è solo Hollywood con Emma Watson “partner di sé stessa” – e come prima di lei Sharon Stone, Diane Keaton e, in altre chiave, Carmelo Bene (“Sono io mia moglie!”) – né sono solo le tiktoker di Brooklyn… Piuttosto sono, e siamo, un po’ tutte.
Le donne sole sono tante, ovunque. Fra chi fa la Lisistrata perché sta bene ma vuole star meglio, chi rinuncia all’uomo per comandare, e chi non si rassegna, a ragione, a uomini irresponsabilmente innamorati di Fifa e Fantacalcio. Globalmente, rileva un rapporto Onu, le donne sole sino ai quarant’anni sono oltre il 4 per cento. Poche, certo, ma la differenza è marcata per regioni del mondo: 1 su 7 nelle nostre città (figurarsi nel Metaverso coreano), 1 su 100 nell’Asia profonda. E sono quindi sempre di più. Al punto che, per quanto il fuori onda faccia notizia e l’addio al maschio faccia scoop, è già tutto superato. A dispetto delle percezioni, non c’è niente di inedito. In altre parole, la nostra politica s’è come di consueto limitata a rispecchiare un hashtag. E se il maschio – che non fattura ma gioca a Fifa – dovrebbe farsi un esame di coscienza, la donna dovrebbe prendere coscienza. Ché da sole, sia del popolo o di potere, siamo il fronte della donna qualunque. Niente di che.