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Nel Regno Unito

La conta dei trans in Inghilterra è stata falsata e forse c'entra Stonewall

Marina Terragni

Per la prima volta nella sua storia l'Office for National Statistics declassa un risultato di un'indagine, ma qualcuno solleva dei dubbi sull'imparzialità dell'agenzia governativa

Altro che “il gender non esiste”, mantra progressista: nemmeno dei censimenti ci si può più fidare. Secondo i dati raccolti nel 2021 in Inghilterra e Galles vi sarebbero ben 262.000 transgender, ma nei giorni scorsi l’Office for National Statistics (Ons) ha formalmente declassato queste statistiche da “ufficiali” a “in fase di sviluppo”, chiedendo di rifare la conta. Il modo in cui era stata formulata la domanda (“Il genere con cui ti identifichi è lo stesso del tuo sesso registrato alla nascita?”) induceva infatti un “potenziale di parzialità” nelle risposte, soprattutto in chi non era madrelingua inglese che aveva una probabilità cinque volte più alta di autodefinirsi trans.

È la prima volta che l’Ons declassa un risultato e ci ha messo un anno e mezzo a mollare: Michael Biggs, professore a Oxford, ha battagliato sostenendo che la domanda era molto simile a quella formulata dagli attivisti trans Press for Change nel 2007. Insomma, la lobby si sarebbe infilata pure lì.

L’Ons nega, anche se riconosce come “deplorevole” il fatto che il proprio “atteggiamento difensivo” abbia potuto dare un’impressione di parzialità, e garantisce l’impegno a “lavorare con il governo e per sviluppare linee guida per la raccolta dati su questo argomento”. Ma Biggs insiste sullo stretto rapporto tra l’Ons e Stonewall, potente gruppo di pressione lgbtq+.

Fondato nel 1989, Stonewall ha fatto molte cose buone per il movimento gay e lesbico, dal riconoscimento delle unioni civili fino al fortunato programma “Diversity Champions” per sostenere i diritti delle persone omosessuali nei luoghi di lavoro, con il sostegno di cospicui finanziamenti pubblici e privati: avere il timbro di approvazione Stonewall era diventato essenziale. Ma oggi il gruppo è diventato “un comitato d’affari al servizio della lobby trans per continuare a intercettare fiumi di soldi e giustificare la propria esistenza”, dice Douglas Murray, giornalista e saggista gay. “Un’organizzazione nata per affrontare un particolare problema troverà sempre il modo per esistere anche dopo che il problema è stato risolto… Sono in gioco gli stipendi e le pensioni dei dipendenti”. Per questo Stonewall si è buttata sui diritti trans.

“Ogni grande causa”, commenta amaramente Murray, “inizia come un movimento, diventa un business e alla fine degenera in un racket”.

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