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L'Inghilterra conservatrice, la rivoluzione islamica in Iran, il Papa in Urss: era il 1979, l'anno fatale
La nascita del Sistema monetario europeo, Jean-François Lyotard, l’èra Thatcher, la rivoluzione islamica in Iran, il viaggio di Giovanni Paolo II nella Cortina di ferro, la Cina che si apre al mondo. Il racconto di un anno, firmato da Brice Couturier
La nascita del Sistema monetario europeo, il disincanto di Jean-François Lyotard ne “La condizione postmoderna”, l’èra di Margaret Thatcher, la rivoluzione islamica in Iran, il viaggio di Giovanni Paolo II nella Cortina di ferro, la Cina che si apre al mondo… A prima vista, eventi slegati, ma che fanno parte di un grande cambiamento di cui restiamo gli eredi. Questo è ciò che il saggista francese Brice Couturier racconta nell’affascinante libro “1979” (edizioni Perry), dove i protagonisti sono una parlamentare di Finchley, un vescovo di Cracovia, un ayatollah in esilio a Parigi e un apparatchik cinese.
Fu nel 1979 che l’ayatollah, dopo decenni in cui potenti idee laiciste (panarabismo, baathismo, marxismo rivoluzionario) avevano dominato il medio oriente, dimostrò che “rivoluzione islamica” non è un ossimoro, ma addirittura il futuro, istituendo il primo “stato islamico”, galvanizzando centinaia di milioni di musulmani nel mondo e cambiando irrevocabilmente gli equilibri di potere. L’Unione sovietica invadeva intanto una povera zona sperduta innescando un diverso tipo di stato islamico che conficcò i primi chiodi nella bara dell’impero comunista. Una donna diede il via invece a una rinascita conservatrice in Gran Bretagna che a sua volta diede forma alla globalizzazione guidata dal capitalismo. E se un Papa diede coraggio ai popoli amanti della libertà in tutta l’Europa orientale e centrale e il via a eventi che sarebbero culminati nelle rivoluzioni non violente del 1989, un improbabile funzionario di Pechino mosse i primi passi per preparare la Cina comunista alla sua lunga marcia verso la conquista dei mercati.
Quello fu l’anno del pellegrinaggio di Giovanni Paolo II in Polonia, un anno dopo la sua elezione e nel 900esimo anniversario del martirio di Stanislaw Szczepanowski, il vescovo di Cracovia che si era opposto al tirannico re Boleslao il Temerario e che aveva pagato con la vita. Un polacco su tre, fino a undici milioni di persone, andò ad ascoltare il Papa. Il regime comunista poteva solo manipolare la televisione. Così le trasmissioni in tv mostravano solo la presenza di suore e preti, ignorando le masse di fedeli il cui numero cresceva ogni giorno. Davanti ai cancelli del cantiere navale, il Papa parlò di diritti umani. E in Piazza della Vittoria a Varsavia, di storia e delle tribolazioni che stavano attraversando. L’anno successivo, Solidarnosc e Danzica. Era l’inizio della fine del comunismo. “Ci siamo resi conto per la prima volta che ‘noi’ eravamo più numerosi di ‘loro’”, ricorda Radoslaw Sikorski nelle sue memorie “Full Circle”, giovane anticomunista all’epoca, oggi ministro degli Esteri della Polonia.
La Cina comunista si apriva intanto al mondo con Deng. Voleva modernizzare il paesea, ma non democratizzarlo, e abbracciò esplicitamente la disuguaglianza: “Alcune persone diventeranno ricche più velocemente di altre”. Identificò la democrazia con il caos della Rivoluzione culturale. Deng si recò negli Stati Uniti, dove visitò la sede della Coca-Cola ad Atlanta, il centro spaziale della Nasa a Houston e la sede della Boeing a Seattle. La televisione di stato cinese fornì un’ampia copertura della visita (sebbene la stragrande maggioranza dei cinesi non avesse ancora accesso a un televisore), inviando immagini del piccolo cinese che osservava i grattacieli e i robot delle fabbriche americane. Il messaggio era che questo è il futuro e Deng è l’uomo che vi avrebbe portato la Cina.
Ma quello fu anche l’anno della sua “politica del figlio unico” con il più radicale programma di contenimento demografico della storia: oggi la Cina paga per quella decisione e si avvia al collasso della sua popolazione.
Nel 1979 il marxismo sovietico sembrava tutt’altro che fragile. Il regime di Mosca, che aveva cancellato Dio, la libertà e i mercati, era sostenuto dai prezzi alle stelle del petrolio. Gli analisti della Cia lo consideravano una superpotenza sia economica che militare. Nell’aprile 1978 un colpo di stato aveva installato il Partito comunista a Kabul. Per diciotto mesi i suoi leader avviarono la modernizzazione sovietica, che includeva un attacco al matrimonio tradizionale e un programma di riforma agraria. Ciò provocò la resistenza, sia da parte dei proprietari terrieri tribali che dei religiosi islamici. A dicembre, i sovietici invasero il paese e trascorsero i successivi dieci anni a pentirsene.
Nel novembre 1979 il governo dell’Arabia Saudita era stato costretto a confrontarsi con le aspettative millenarie sollevate da un gruppo di islamici che, denunciando la corruzione del regime saudita e i suoi legami con gli Stati Uniti, invasero la Grande Moschea della Mecca prendendo in ostaggio migliaia di persone. Uno dei sequestratori dichiarò di essere il Mahdi venuto per redimere l’islam. Islam che dormiva da tempo: sembrava una religione morta negli harem turchi e nel 1979 l’Enciclopedia Einaudi non aveva neanche una voce dedicata. Khomeini lo avrebbe risvegliato con la cupidigia dell’apocalisse osannata dalla crème della cultura progressista europea, anche italiana. In un’intervista all’ayatollah del 27 settembre 1979, Oriana Fallaci gli chiese se fosse giusto aver sparato a una prostituta. “Se il tuo dito soffrisse di cancrena, cosa faresti?”, le rispose Khomeini. “Lasci che tutta la mano, e poi il corpo, si riempia di cancrena, o tagli il dito? Ciò che porta corruzione a un intero paese e alla sua gente va estirpato, come le zizzanie che infestano un campo di grano… Dobbiamo eliminare la corruzione”.
Ciascuno dei cinque grandi eventi (Thatcher, Wojtyla, Khomeini, i talebani e Deng) fu una reazione contro le grandi utopie che avevano dominato il XX secolo. Il 1979 aveva perforato le illusioni del progresso. Tutti si misero in viaggio per rovesciare, a modo loro, lo spirito dell’epoca e l’ordine laico e materialista che aveva dominato il panorama politico. Furono tutte controrivoluzioni, che fossero contro il comunismo sovietico, l’autoritarismo laicista dei Pahlevi, il maoismo in piena decadenza e il laburismo inglese, che aveva nazionalizzato le industrie e creato uno stato sociale dalla culla alla tomba, trascinando l’Inghilterra nel crollo della produttività e a un’inflazione alle stelle.
Non appena gli Stati Uniti avevano perso il loro cliente iraniano a favore di una forma insurrezionalista di islam sciita, si preparavano a facilitare la jihad contro i russi nell'Hindu Kush attraverso la sponsorizzazione dei mujaheddin afghani, con risultati che non potevano o non volevano prevedere. Sia Washington che Mosca non riuscirono a riconoscere le forze che l’invasione avrebbe scatenato. Nell’agosto del 2021 abbiamo pagato, di nuovo, questa cecità.
Per Israele, il 1979 è l’anno della pace egiziana, ma anche dell’attacco a Nahariya, quando dal Libano terroristi assaltarono un complesso residenziale e uccisero tre membri della stessa famiglia. Sarà l’inizio dello sconvolgimento che porterà all’invasione israeliana del Libano. Nel 1979 uno studente libanese tornava intanto dall’Iran per fare la jihad: Hassan Nasrallah.
Nel frattempo l’occidente si avviava verso quel pluralismo babelico che, nel famoso scritto del 1979 di Lyotard, apparirà come il tratto tipico della condizione post-moderna. Erano andati fuori sincrono i metaracconti, le narrazioni che hanno ispirato l’autointerpretazione della modernità: il racconto illuministico e positivistico, il racconto marxista dell’emancipazione del proletariato e la secolarizzazione della salvezza giudaico-cristiana. Si dissolsero tutte le appartenenze.
Il 1979 ha segnato la nascita del mondo in cui viviamo oggi, in cui nuove potenze usano i mercati per promuovere i propri interessi e la religione, lungi dallo scomparire come forza politica come si credeva nel 1968, si è riaffermata con veemenza. Fu nel 1979 che quelle forze, screditate, tornarono a vendicarsi. Sul fronte religioso, anche un generale pakistano, Muhammad Zia ul Haq, accelerò l’islamizzazione del suo paese. Nacque la “bomba di Allah”.
E oggi? La Cina è tornata indietro allo spirito maoista e antioccidentale. Una direttiva del Partito comunista cinese conosciuta sotto il nome di Documento Nove chiede il rifiuto di sette idee occidentali come “la democrazia costituzionale occidentale”, “i valori universali” dei diritti umani, e ancora, le nozioni di ispirazione occidentale per l’“indipendenza dei media”, la “partecipazione civica”, il “neoliberismo” favorevole a un mercato privo di regolamentazione e di autorità pubblica e le critiche “nichiliste” in merito al passato. Huang Kunming, capo della propaganda del Partito comunista cinese, attacca “alcuni paesi occidentali che utilizzano i loro vantaggi tecnologici e le posizioni mediatiche dominanti per spacciare i cosiddetti valori universali”. In discorsi e documenti ufficiali, il presidente Xi Jinping parla di una lotta tra il “socialismo con caratteristiche cinesi” e le “forze occidentali ostili alla Cina”, con le loro idee “estremamente malevole” di libertà, democrazia e diritti umani.
I talebani si sono ripresi il paese e dall’Iran i preti islamici hanno esportato la loro rivoluzione a Beirut, a Baghdad, a Sanaa, a Gaza. Il postmoderno invece si è estremizzato ed è diventato woke: gli studi postcoloniali, la teoria queer, il culto della social justice, nascono dall’idea di Lyotard per cui la verità oggettiva non esiste e la conoscenza è un costrutto sociale gestito da chi detiene il potere.
Intanto, Schengen è sospesa dalla Germania e il ritratto di Margaret Thatcher è stato sloggiato dal numero dieci di Downing Street, e dal Papa che parla di identità e radici siamo passati al Papa che parla di multiculturalismo e migrazioni. E qualcuno evoca ora un nuovo spirito del 1979 in occidente, con i progressisti che fanno lega con i rivoluzionari islamici. La nostra epoca deve molto alla controrivoluzione del 1979. E nessuno l’ha vista arrivare.
Trent’anni fa, sulla rivista Esprit, il filosofo Cornelius Castoriadis, che con Lyotard fondò la rivista Socialisme ou barbarie, pubblicava un saggio dal titolo “Le délabrement de l’occident”. “La maggior parte dei ‘filosofi’ griderebbe, a chiunque voglia ascoltarli, la propria dedizione alla democrazia, ai diritti umani, all’antirazzismo, ma in nome di cosa?”, scriveva Castoriadis con una certa preveggenza. “E perché dovremmo credergli quando in realtà professano un relativismo assoluto, e proclamano che tutto è solo un ‘racconto’, un pettegolezzo? Se tutte le ‘storie’ sono uguali, in nome di cosa condannare la ‘storia’ degli aztechi e dei loro sacrifici umani, o la ‘storia’ hitleriana e tutto ciò che essa implica? Ci sono momenti nella storia in cui tutto ciò che è immediatamente realizzabile è un lento e lungo processo di preparazione. Nessuno può dire se stiamo attraversando una breve fase di sonno sociale o se stiamo entrando in un lungo periodo di regressione storica. Ma non sono impaziente”.
Nel 1979 uscì nei cinema anche il primo “Alien” di Ridley Scott, con la creatura ostile che si adatta a tutti gli ambienti. La vediamo raramente, ma la sentiamo ovunque a bordo dell’astronave piena di stanze dimenticate e buie. E che nessuno ha fretta di aprire.
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