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Sui nostri schermi

Riflettere sulla parabola della Ferragni, che ha trasformato in lavoro i desideri

Stefano Pistolini

L'influencer più famosa d'Italia è protagonista di un processo di commercializzazione digitale dove lei stessa diventa merce, rimanendo individuo. Un modello idealizzato da chi acquista i suoi prodotti, destinato però a sprofondare nel momento di maggiore apice: è l'arte del successo

Nostalgia di Chiara Ferragni. Adesso che in poco più di sei mesi il disastro è consumato, la crisi è certificata, non tanto quella sempre dubitabile dei numeri, ma quella fondante della reputazione, è interessante riflettere sulla parabola della suprema influencer del mondo digitale italiano, dal suo avvento alla sua caduta, e sull’oceano di psicologismi nascosti sotto la superficie del fenomeno. Al tema contribuisce in modo stimolante un agile libretto, “Dalla parte di Chiara. Il caso Ferragni e la società incivile” (Krillbooks), firmato da due esperti di comunicazione, Paolo Landi e Marco Montanaro, che per quanto nel titolo non nascondano l’ammirata simpatia per la protagonista, poi nello svolgimento ne analizzano le traiettorie con uno spirito di acuto fatalismo: in sostanza, è difficile che andasse a finire diversamente


Gli autori partono da un tentativo di definizione della figura di Chiara, intesa come l’influencer da cucciola, e del suo processo di commercializzazione nell’universo delle piattaforme digitali che divengono casa & lavoro di quelli come lei, ultimi arrivati tra le attrazioni del mondo dello spettacolo:  “Lei è l’imprenditrice e l’operaia, lavoro e tempo libero per lei sono la stessa cosa, lavora sempre senza lavorare mai, è essa stessa merce senza smettere di essere individuo (…). I prodotti che pubblicizza hanno un valore tanto più alto se sembrano ‘scelti’, invece che frutto di un contratto”. Tutto va talmente bene nel progetto di Chiara da assumere lineamenti distopici e vagamente sinistri: in fondo lei vende, a buon mercato e 24/7, un modello di perfetta felicità rispetto al quale ci si illude di poter accorciare la distanza acquistando certi prodotti e, ancor di più, imitando quell’attitudine apparente, una leggerezza disconnessa dal fattore tempo e sospesa in uno spazio-ovunque, che risplende per la sua sola presenza, si tratti di una magnifica spiaggia o del salotto di casa. E poi la famiglia, i figli, le nuove idee, tutto rappresentato con un’idealità alla quale chi guarda si sottomette a credere, perché è divertente, e lei ha il misterioso potere di non disturbare, non farsi invidiare, nata apposta per fare proprio quello. 


A distruggerla, paradossalmente, non sarà una slavina di gelosie, ma la presa di posizione di alcuni strumenti del sociale, e nemmeno di quelli che godono di grande popolarità: l’associazione della difesa dei consumatori e poi un tribunale che s’incaricano di fermare Chiara quando è salita troppo in alto, abita nei sogni, immersa nella luce magica dei filtri degli smartphone. La sovversione dell’ordine costituito, ovvero dell’amore incondizionato per l’eroina in un odio che esplode con una virulenza che dei pandori rosa non meriterebbero, è l’epilogo tragico della vicenda, l’inizio dell’incubo che contiene lo sgretolamento della messinscena, la fine del matrimonio, la rinuncia a mostrare i bambini, le occhiaie, le lacrime, le mal riuscite apparizioni tv di ravvedimento e, peggio di tutto, il ritorno a una routine che non somiglia per niente allo smagliante splendore d’una volta, ne è soltanto la copia mal riuscita, intrisa di visibile depressione. Qui affiora la fragilità di Chiara e perciò la grandezza del piano originale di trasformare in lavoro i propri desideri e la sua immaginazione. E per noi si definisce la sua mancanza: faceva scintillare delle crocchette di pollo perché possedeva un innato, erotico tocco di fata, che ci siamo abituati a dare per scontato. Dopo di lei, il diluvio della normalità sommerge il mestiere dell’influencer. Chiara (“icona turboliberista”, la etichettano gli autori) aveva indicato una strada, prima d’inciampare su un Balocco. E’ ora di darle atto che è stata un’artista di un’arte nuovissima e molto antica. Quella del successo.