Giorgia Meloni con Elon Musk a New York per il Global Citizen Awards dinner (AP Photo/Michelle Farsi) 

Amici mai

L'amicizia uomo-donna non esiste

Ginevra Leganza

L’illusione platonica di un rapporto che non vada a parare sul sesso. Gli esperimenti e il riflesso condizionato davanti a Elon e Giorgia

Una cosa è certa, l’amicizia uomo-donna non esiste. Giacché messi accanto, lui e lei, son sempre paglia vicino al fuoco (se non a patto d’una leggera antipatia fisica). Ma ecco che adesso, un fatto inaspettato, non ancora accantonato, ci costringe a una riflessione. Avete presente, no? Giorgia Meloni a New York, la presidente del Consiglio, sul palco dello Ziegfeld Ballroom, che riceve il Global Citizen Award. A consegnarlo è Elon Musk, capo di Tesla e SpaceX, con tanto di baci, abbracci e complimenti – in un’aura di elettrica complicità – alla premier.

 
“Più bella dentro che fuori”, diceva Elon (in stile Cav. con Rosy Bindi ma al contrario); “Giorgia donna onesta”, le ripeteva (a metà tra il grillismo e lo stilnovismo); “Giorgia donna autentica” e “Giorgia riflessiva” e ci mancava solo “Giorgia segno del Capricorno” per un calcolo d’affinità zodiacale da buon esperto di astri. Sicché il giorno dopo, sui siti e sui giornali, dai chigisti alle poste del cuore, era già tutto un flirt, un idillio. Una love story da Cape Canaveral al Torrino. Ed ecco. Nessuno la settimana scorsa credeva più a un’amicizia – men che meno platonica, meno che mai politica – di Meloni con Musk. Novelli Harry e Sally. Nessuno ci credeva a riprova che uomo e donna, come canta Antonello Venditti, “amici mai”.

 

A tutti, nell’èra d’Elon Musk a portata di tweet, piace specchiare sé stessi nei capi di stato, nei ceo del mondo. A tutti emoziona se la carne cede

  
Mai amici, in testa nostra. E quindi nulla c’importa se i due – lo raccontava il direttore di questo giornale, Claudio Cerasa – si coccolavano lì per lì perché Starlink (e cioè Musk) ambisce a coprire l’Italia della banda larga limitata. Nulla c’interessa delle gigafactory che Tesla (sempre Musk) punta a insediare per produrre batterie elettriche. E nulla, ancora nulla, ci cale dei possibili investimenti di SpaceX (Musk) nel campo dell’aerospazio in Italia. Per noi era ed è solo amore. No business. E solo un tarlo, a ripensarli, ci tormenta. Insomma, i due si piacciono oppure no? Risposta: No. Ovvio che no. Eppure a noi piacerebbe. La loro è un’amicizia aristotelicamente fondata sull’utile (di SpaceX) e non sul piacere, eppure a noi piacerebbe stessero insieme. Perché a tutti, nell’èra d’Elon Musk a portata di tweet, piace specchiare sé stessi nei capi di stato e nei ceo del mondo. A tutti emoziona se il cuore scricchia e la carne cede. Se la terra dell’amicizia trema e si fa avanti quel senso di catarsi per cui tutto il mondo è paese, persino la Silicon Valley. 

 
Piace a tutti epperò adesso, venendo al punto, un’altra domanda cerca risposta. Perché, sempre a proposito di Marte, da quale pianeta viene insomma codesto inganno? Se nessuno sotto sotto ci crede, perché qualcuno s’illude? In altre parole: perché predichiamo amicizia se poi alla fine razzoliamo solo doppi sensi, cuori infranti, ambiguità?

 

Anatomia di un’utopia

La questione è ostica, si capisce. Ma ecco una possibile risposta.
 

Il primo a sciogliere l’enigma è William Deresiewicz, un professore di Yale e critico letterario del New York Times, che la prende alla lontana. Quasi alla lontanissima. Per Deresiewicz, infatti, una tale illusione non può che venire dal secolo delle illusioni. Dal Settecento dei lumi, non meno che degli abbagli, giacché fu in quel momento, spiega il critico, che si cominciò a perorare la causa dell’amicizia fra etero. Quando le più emancipate giovinette, chiaramente scrittrici, pensarono ai mariti in chiave di amici. Così Mary Wollstonecraft, madre di Mary Shelley nonché madrina del primissimo femminismo (salottiero e liberale che fa a pugni con lo sbraco di oggi) non aveva dubbi. Un matrimonio equo doveva incardinarsi in sentimento equo. E quindi in un’amicizia tra maschi e femmine (“il più sublime dei sentimenti”) che prevedesse meno viluppi di lenzuola e più chiacchiere da sofà. Pensiero elitista, il suo, sinché il secondo femminismo ripensò il rapporto fra lei e lui fuori dal matrimonio. In senso vieppiù paritario. Dal salotto del Settecento verso la piazza che nel Novecento mescolò i sessi. “L’amicizia tra maschi e femmine”, argomenta così Deresiewicz, “era sconosciuta nella società tradizionale perché i sessi occupavano sfere diverse”. All’incirca come scriveva Warren Farrell, autore del Mito del potere maschile e femminista pentito, lodando i tempi in cui il maschio faceva politica (o faceva il minatore) e la femmina stava in una casa – bella, costruita col sudore di lui – a crescere figli nel pieno comfort.

   

L’illusione non può che venire dal ’700, secolo dei lumi non meno che degli abbagli, quando si cominciò a perorare la causa dell’amicizia fra etero

  
E fu allora quindi, allorché le donne abbandonarono il comfort, che s’insinuò la possibilità d’un legame diverso. Ossia l’opportunità, per dirla con la femminista Luce Irigaray, di “ricostruire il mondo a partire dalla relazione uomo-donna”. Che più non fosse sessuata ma amicale e casta. Per evolvere in dirimpettai di scrivania. In parole povere, per passare dal talamo al desk e sentirci un po’ tutte – in parole difficili – Diotime di Mantinea. Filosofesse insubordinate al tinello e piuttosto avvezze, coi maschi, a simposi paritari (che nella realtà furono soprattutto classi, uffici misti o ministeri dove per tornare dal desk al talamo – quest’estate l’abbiamo capito – è bastato un attimo. A dispetto dell’amicizia o del “legame personale di tipo affettivo”, indimenticabile Sangiuliano). Comunque, si diceva, le radici dell’utopia sono lì. In quello snodo del pensiero – il femminismo di massa – che se da una parte poneva nel suffragio il suo futuro politico, dall’altra coglieva nell’amicizia fra etero il futuro personale delle donne. Ovvero “il termine centrale”, tornando al critico di Yale, “di un contratto sessuale rinegoziato”. 

   

Il dato fisico, in barba a Platone e Luce Irigaray, fa capolino allorché lui e lei vanno a cena, si parlano, si confidano, il mondo non esiste

  
Ancor oggi l’olandese Jens van Tricht, maschio attivista – ipso facto utopista – sostiene nel suo recente libro Why feminism is good for me la necessità di relazioni eterosessuali non fondate sul sesso e dunque “collaborative, eque, per la condivisione delle responsabilità e per ridurre la violenza organizzata e individuale”. Vasti programmi, magnifiche idee – quasi più facile passeggiare su Marte – e si capisce, ancora, che la storia dell’amicizia uomo-donna, intesa come casta, è soprattutto un’idea platonica. L’abbiamo già detto? Un’utopia. Femminista, progressista, moderna, ma pur sempre utopia incurante della realtà. Perché d’accordo, l’amicizia non è impossibile (a patto dell’elegante antipatia fisica), ma il problema, appunto, è qui. Ovvero nel dato fisico che in barba a Platone e Luce Irigaray fa capolino allorché lui e lei vanno a cena, si parlano, si confidano, il mondo non esiste e come una volta ci disse un amico, rifiutando un invito al platonismo, “io sono maschio, e non sono platonico”. 

 
Dopotutto, anche nel secolo di lumi gli amici più in vista erano Voltaire e Madame du Châtelet. Amici poi amanti o, come dicono gli inglesi, “amici con benefici” sino alle prevedibili pene d’amore. 

 

Lo dice la scienza 

Ma adesso, per tornare a monte, e dunque al fatto che all’amicizia fra etero non crediamo istintivamente – neppure davanti all’utile di SpaceX – l’utopia va smontata. E certo non lo faremo, noi, col luogo comune di Harry e Sally o con Lucio Battisti e la sua “donna per amico” (non si smonta un’utopia con la poesia). Non lo faremo con le canzoni o coi film anche perché, più lirica di Mogol, ne converrete, è la scienza. O, come si suol dire, “lo dice la scienza!”. 

   

Nel 2011 l’esperimento dei “dollari in amicizia”, da spendere in qualità che si apprezzano in amici del sesso opposto. Potete immaginare

  
E in effetti, in barba a Platone e Luce Irigaray, lo dice la scienza che il maschio e la femmina, reciprocamente orientati, non sono platonici. Lo dice la statistica e, su Evolutionary Psychology, lo dice ancora un esperimento, più lirico di Mogol, che nel 2011 coinvolse maschi e femmine fornendo loro un tot di “dollari in amicizia”. Valute virtuali, in budget limitato, da spendere in qualità che apprezzassero in amici del sesso opposto. Al che potete immaginare… Potete indovinare, a questo punto, come gli uni sperperarono in amiche avvenenti e le altre scialarono in amici abbienti. Sesso da un lato e soldi dall’altro che, come sempre, non sono esattamente il sale d’un’amicizia. E non sono il collante buono per rimanere inchiodati al desk e non finire, piuttosto, in camera da letto. Là dove Platone non mette piede e dove di “equo” resta solo una posa erotica molto di moda nel Sessantotto (benché si chiami sessantanove). Comunque, dicevamo, poiché la scienza non meno è poetica della canzone, un’altra ricerca ci spiega ancora che maschi e femmine, insieme, non ce la fanno. Come riporta Science.Mic, secondo uno studio condotto in Normandia, gli amici si fraintendono per natura in quanto lui scambia il più tenero affetto per avance e lei la più spinta avance per affetto. Regola universale al punto che su Social Psychological and Personality Science, nel 2021, si parlava ancora di “solida pipeline da amici ad amanti”. Tradotto: di un “oleodotto” che, per due terzi del campione, dall’ufficio porta al ristorante e dal ristorante in casa, in albergo, in macchina, talvolta in un vicolo cieco o magari non porta a niente. E se non porta a niente, si sa, porta poi a un cuore infranto. Perché non è detto che la foce naturale dell’amicizia sia l’amore. Ma invece è detto, stradetto, contraddetto, assicurato, che prima o poi uno dei due ci prova, o perlomeno ci pensa (salvo che nel caso dell’antipatia fisica, che pure si può superare). 

 
Ed ecco allora lo sguardo che ha fatto sognare i muskisti, i melonisti e i memisti occidentali perché, sempre in barba a Platone e Luce Irigaray, siamo piuttosto figli di Aristotele. Il filosofo che dell’amicizia uomo-donna dice da millenni che non è cosa. Ché o si fonda sul piacere (le famose “amicizie affettuose” dei rotocalchi, com’è stata definita quella tra Ferragni e Silvio Campara di Golden Goose) oppure diventa amore. O uomo e donna diventano “amici con benefici”, come dicono gli inglesi, o diventano muti selettivi (che non si parlano e non s’intendono più), oppure – si capisce – diventano fidanzati. Perché da Aristotele a oggi, non è cambiato niente. O meglio, è cambiato tanto ma questo no. 

 
L’amicizia tra etero, intesa come vincolo asessuato, non è cosa di questo mondo, sporco e cattivo. Dove prima o poi uno ci prova, una ci pensa, l’altro si lancia. Dove per quanto vogliamo fare i puri, in quanto umani, siamo sempre sporchi (lo dice la scienza). Ovvero incapaci di concepire rapporti uomo-donno a meno di non basarli sul sangue o sul sesso (le uniche cose che in quanto sporche, e dunque tangibili, ci sembrano vere). Del resto, a proposito di amicizia, era nelle Lettere alle amiche che Céline – medico e scrittore, scienziato e letterato – dava l’unica definizione possibile dell’amica femmina per un maschio. “Le voglio bene e la trovo molto attraente”. Definizione che a dispetto di Platone, del femminismo novecentesco, dell’utile di SpaceX e della gigafactory, sembra scritta oggi per Giorgia… Firmato Elon Musk.