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Questioni di età

Adulti o non più giovani? Catalogo incompleto dei segnali per riconoscersi

Ester Viola

Non c'è una diagnosi precisa, ma uno studio certifica che a trent'anni precipitiamo in una realtà dove si è il doppio più vecchi, si preferisce poltrire sul divano e l'amore si avvia alla sua incarnazione finale, il compromesso

I giovani (la Generazione Z) si sono radunati in congresso (c’è un sondaggio americano) e hanno finalmente stabilito quando si diventa vecchi. Non vecchi proprio. Adulti, dicono loro. Ma è la stessa cosa. I risultati dicono che in questo ventennio l’età appropriata per dirsi frutto pronto sui rami alti della maturità sarebbe il compimento dei trent’anni.


Quella, però, non si chiama età adulta. E’ solo identificabile per contrasto: perdita di gioventù. E’ qualcosa che arriva strisciando, questione di pochi mesi spalmati su molti anni, non c’è una diagnosi e non si può prevedere il momento preciso. Sono oggetti che spuntano, cose che tornano e che portano scritto “passato remoto, benvenuto”. Non si deve farla facile. Non si tratta soltanto di avere un mutuo, un figlio, passare un brutto guaio. Gli indicatori d’età adulta sono più cattivi, più piccoli, arrivano, s’accomodano e ti rosicchiano il sorriso. Un elenco incompleto.

 

Rinuncia alle glorie di carriera

E’ quando il te stesso che sognavi potente, rispettato, poliglotta scioltissimo in business class si trova seduto in un ufficetto, tutti i giorni, con lo stipendiuccio a fine mese e sommerso dalle carte.
Imperversa ormai da mesi il dibattito sul lavoro. E’ l’alba della nuova rivoluzione industriale, quella non mi va più di fare niente (come darci torto). Smart working, settimana corta, più corta, cambio delle priorità, eliminazione dei capi tossici, dei clienti tossici, dell’archivio tossico, della scadenza tossica, Grandi Dimissioni, Grande Sfastidio, Grande saltello da un’azienda all’altra. Tutto per provare a dirsi forse: magari faccio ancora in tempo a essere giovane, realizzato, poliglotta in business class.

 

Le relazioni coi simili

In età adulta la schiena – metaforicamente intesa come capacità di sopportazione della tempesta emotiva – è andata. Non ci sono più le forze per quel tetris diabolico di volersi e non volersi. I pianti, le scenate, le insonnie del tradimento. L’amore si avvia alla sua incarnazione finale, il compromesso, deve trasformarsi in un grande chi me lo fa fare, per sopravvivere. La coppia è la più fragile delle costruzioni: i due dovranno perdonarsi tutto, per tenerla in piedi.

 

La televisione in camera

Chiunque abbia la tivù in camera sa che l’unica cosa migliore di un buon film, di una bella serie, è un talk serio e monocorde. Quant’è bello non seguire, dormire, morire, allungarsi sul divano. Sei un Amleto che ha capito come si campa. C’è uno stato sublime della coscienza tra la veglia e il sonno, mentre qualcuno parla con proprietà di mezzi alla televisione e una bella voce cremosa.

 

Ipocrisia

Ricordi ancora quando l’ipocrisia era peccato capitale, e guardati oggi. Chi non è ipocrita almeno una volta al giorno? Non è disonestà, l’ipocrisia tra adulti, è autodifesa.


Signora

Signora. O il Lei per i maschi. Niente ha più potere affliggente di quell’unica parola. Nessun catcalling, mansplaining, nessuna riduzione di ruolo riesce a colpire più al centro dei “signora”. A ogni Lei, a ogni conferma che è ormai impossibile la confusione tra te e uno con tutta la vita davanti, dal tronchetto della tua felicità cade una foglia, e t’abbassi di un centimetro. Non riesci a pensare che i professori al liceo avevano più o meno la tua età. E tu, al liceo, vedevi i confini del mondo a vent’anni. Oltre non si andava, a trenta eri il morto che parla. Età adulta è quando ci si sente portati indietro e avanti nel tempo. Quell’impressione perenne di avere 26 anni, ed essere precipitati su un pianeta in cui le persone te ne danno il doppio insensatamente.


Dio solo sa dove si iscrivono le cose dell’infanzia. Quando sento di una catastrofe alla radio e scopro che le vittime sono sulla sessantina mi dico, occhéi, è triste, ma è gente che ha vissuto la propria vita. E poi penso, è l’età che hai tu caro mio, più o meno l’età che avete tu, Serge, Nana. Non lo sai? Da mia madre, sul suo comodino, c’era una foto di noi tre che ridevamo aggrovigliati l’uno con l’altro in una carriola. E’ come se fossimo stati spinti a una velocità vertiginosa e rovesciati nel tempo

(Yasmina Reza, “Serge”, Adelphi).

  
Siamo tutti di corsa su quella carriola, adulti.

 

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