Il paradosso gender. La nuova lingua, la negazione del corpo e del soggetto. Un libro di Giuseppe Savagnone
Dal riconoscimento di una relazione complessa tra sesso e genere, si è arrivati allo sviluppo di “una visione antropologica” che arriva a negare il corpo e il soggetto
Meritevole per quanto ardito il proposito del professor Giuseppe Savagnone: tentare una riflessione sul gender aperta al confronto critico, cosa non facile visto che come si sa e lui stesso riconosce “chi avanza dei dubbi sulla legittimità delle gender theories” è immediatamente messo all’indice come omotransfobico.
La premessa è nobile: non può che essere condiviso, dice Savagnone, l’auspicio iniziale di Judith Butler, massima esponente della gender philosophy: “Una vita vivibile per coloro che vivono ai margini della sessualità”. Ma il butlerismo realizzato oggi assume “forme di sessualità minoritarie come modello per interpretare la dimensione sessuale in generale”. In sintesi, ciò che era l’abietto pretende oggi di collocarsi al centro, il che sta creando molti problemi.
Il nuovo saggio di Savagnone, “La sfida del gender tra opportunità e rischi” (Cittadella Editrice Assisi), è un ottimo compendio per capire come dal rutilante jeu de langage della trentenne filosofa Judy, lesbica butch – oggi si definisce non-binaria – che negli anni Novanta del ’900 si divideva tra gli studi hegeliani di giorno e di notte i drag bar di San Francisco, siamo arrivati a somministrare ormoni ai bambini “gender creative” e a minacciare J.K. Rowling e le sue sorelle.
L’autore ripercorre la lunga strada, dalla rivoluzione sessuale dei Sessanta – ne stiamo vivendo una seconda, dice, “che non riguarda più il binomio uomo-donna ma lo rimette in discussione” – passando attraverso la distinzione tra sesso e genere e poi all’idea dell’insussistenza del sesso biologico inteso esso stesso come costruzione dell’eterosessismo normativo del linguaggio, per arrivare fino alla totale decostruzione del soggetto.
Il paradosso è che a quel linguaggio è subentrata una tassonomia non meno normativa, anzi di più, che classifica ossessivamente lungo uno spettro infinito tutte le possibili ricombinazioni di genere per produrre performativamente una nuova realtà umana. E che il posto del soggetto decostruito viene occupato da un individuo irrelato, titolare di ogni diritto, che intende come libertà assoluta potersi ridefinire a prescindere dal corpo che è per assemblarsi creativamente e ciberneticamente. Si vorrebbe insegnarlo da subito ai bambini, come si è visto anche in Italia negli opuscoli commissionati dall’Unar – e subito ritirati – per istruire gli insegnanti su un “modello educativo inclusivo fondato sul rispetto delle differenze”.
Il fatto è, sostiene Savagnone, che da premesse non prive di validità scientifica, come il riconoscimento di una relazione complessa tra sesso e genere, ha preso il via “un movimento di pensiero che ne ha tratto conclusioni di ordine filosofico dando luogo a delle ‘teorie del gender’ non necessariamente deducibili dalle gender theories” e sviluppando “una visione antropologica” che arriva a negare il corpo e il soggetto: “L’uomo è qualcosa che dev’essere superato”, aveva profetizzato Nietzsche.
Probabilmente è la maternità, quel corpo-anima che si sdoppia nel due della relazione primaria, la principale pietra d’inciampo lungo questo cammino, ed è proprio per questo che nel mirino ci sono soprattutto le donne.
Quella a cui stiamo assistendo, conclude Savagnone, è “una trasformazione culturale e sociale ancora in pieno svolgimento” e di cui non sono prevedibili gli esiti. Ma la faccenda riguarda tutti, mentre “manca, non solo nell’opinione pubblica, ma da parte di molti intellettuali, una chiara consapevolezza”. Il suo libro l’ha scritto per questo.
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