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il paragone tra gaza e Auschwitz

Commozione più che comprensione, e il Giorno della memoria perde di senso

Giovanni Belardelli

Scelta per commemorare le vittime della Shoah, il 27 gennaio è rimasta una data astratta, legata a un sentimento temporaneo e volatile subìto da molti come una perdita di tempo, se non addirittura controproducente al suo scopo. Porre al suo interno anche il ricordo del massacro del 7 ottobre potrebbe aiutare a invertire la rotta

Nella grande foto che il 7 ottobre illustrava la pagina di apertura di questo giornale colpiva una cosa. Non il cartello del manifestante in primo piano – “Oggi il genocidio a Auschwitz lo vedi in diretta tv a Gaza – in tutto simile agli slogan che da un anno si vanno ripetendo dappertutto. Bensì il fatto che chi lo portava doveva certamente essere passato anche lui per i tanti discorsi annuali che da vent’anni e più scandiscono ogni 27 gennaio, Giorno della memoria, la condanna dello sterminio degli ebrei. Ma ciò non lo aveva reso minimamente consapevole di cosa effettivamente sia stato Auschwitz, di ciò che rende la Shoah incomparabile con i bombardamenti israeliani e con le vittime che questi provocano tra migliaia di civili. Né lo aveva reso capace di riconoscere la verità dell’intenzione di un nuovo sterminio degli ebrei, proclamata ai quattro venti da Hamas e dai suoi protettori iraniani. 


Insomma, dobbiamo probabilmente concludere che il Giorno della memoria è stato inutile; ha rappresentato l’occasione per ricordare e condannare un fatto storico orribile, ma quel ricordo e quella condanna non ci hanno protetto dal ritorno in grande dell’antisemitismo. Ciò è probabilmente avvenuto perché il Giorno della memoria si è troppo spesso affidato, più che allo studio e alla comprensione, a un sentimento momentaneo e volatile come la commozione, suscitata dal racconto dei sopravvissuti o dalla proiezione di qualche film sulla Shoah. Né ha aiutato il fatto di aver scelto, sulla scia di altri paesi, una data (il 27 gennaio, giorno della liberazione di Auschwitz) che in fondo a noi non dice nulla, invece che date – come qualcuno provò inutilmente a proporre – che rimandano a momenti della nostra storia, come l’approvazione delle “leggi razziali” o la deportazione degli ebrei romani dell’ottobre 1943. Così quella data, e un po’ anche il fatto che avrebbe dovuto ricordare, è rimasta astratta, ufficiale, diciamolo pure: da molti è stata subìta come una perdita di tempo.


E’ perfino possibile che il Giorno della memoria sia stato controproducente. Ha finito infatti con l’attirare e fissare definitivamente la nostra attenzione sulla connessione tra il razzismo hitleriano e la soluzione finale, imputando in toto l’antisemitismo all’estrema destra. Oggi dobbiamo ammettere che, se non avevamo visto arrivare questa nuova ondata di livore antisraeliano-antiebraico, è anche perché guardavamo dalla parte sbagliata: frange di antisemitismo di estrema destra esistono ancora, in Italia o altrove, ma ormai tutti ammettono che il fenomeno a cui assistiamo viene da sinistra, si è sviluppato negli ambienti liberal delle università americane e prospera con un segno progressista, è parte integrante di quell’antiamericanismo e di quell’antioccidentalismo che accompagnano da decenni le democrazie euroatlantiche. Per provare a invertire la rotta, si potrebbe forse cominciare a usare diversamente il Giorno della memoria, includendo nel novero degli ebrei sterminati anche quelli uccisi nel pogrom del 7 ottobre. Qualcuno lo farà?

 

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