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L'Ateco ritrovato

Alla fine ha vinto Ferragni: la conquista fiscale degli influencer

Ester Viola

I content creator hanno ora un codice Ateco per identificare con precisione la propria attività economica e gestire con più chiarezza fiscale le proprie ricchezze. Assoinfluencer esulta, e i consumatori muti

Chi siamo? I cittadini online. E cosa vogliamo? Un mondo social più corretto. Per la precisione ci garberebbe la fine del sistema dei famosetti su internet. Basta con i televenditori trasformati in personaggi. Per capirci meglio: vorremmo l’azzeramento commerciale della stirpe di Chiara Ferragni. Che però si difende bene. A partire dal primo gennaio 2025 gli influencer avranno un codice Ateco specifico per la loro attività: il 73.11.03. Non si sa per farci cosa. Grande successo della “confindustria degli influencer”, Assoinfluencer. Che però si percepisce sindacato lavoratori, così si autoproclamano su Instagram. Lampante metafora e che quindi non stiamo qui a spiegare. 

Chiarezza fiscale prima di tutto. L’introduzione di un codice Ateco dedicato permette agli influencer di identificare con precisione la propria attività economica, facilitando la gestione fiscale e riducendo le incertezze legate all’inquadramento professionale. Le incertezze? Quali incertezze? Quelli già guadagnano come capitani d’azienda, hanno commercialisti più specializzati dei nostri, vanno sicurissimi e corsari a incassare in ogni dove, con alberghi e ristoranti a sbafo, invitati, supplied, mandati in vacanza come se ne avessero bisogno. Il più scarso porta a casa quattromila euro al mese.

Quella degli influencer è una delle più grosse sconfitte in comprensione del contemporaneo, gli intelligentini lo devono ammettere. Per la difesa: tutto si poteva pensare tranne che quel sistema avrebbe retto. Non c’erano le premesse per durare: “pochissimo lavoro” e “guadagni spropositati” è una combinazione poco presente nella natura economica delle cose. Ci si aspettava un crollo, un effetto domino-Ferragni, ci saremmo perfino accontentati di una minuscola flessione di mercato e invece niente. Non sta succedendo, per il momento. E’ solo stata registrata una variazione di vibe, come dicono quelli delle agenzie milanesi. Lentamente sta montando un’antipatia per il settore, ma la cosa richiede moltissimo tempo, come una nebbiolina che s’addensa, ci vorranno ancora anni per la rivoluzione francese dei social. 

Ogni tanto promettono divieti e regole, un sistema di sanzioni pesanti e immediate. Sono passati quasi vent’anni e stiamo più o meno come stavamo. Uno pensa: ma la pubblicità occulta è evidente, è chiarissimo l’uso senza pietà dei minori, che fanno audience tantissimo, come i cuccioli di cane. Almeno mettete un’indicazione chiara e grossa come in Germania che la pubblicità è pubblicità, e non adv scritto semipiccolo, in basso a destra, no? Macché. Sigarette elettroniche che sbucano qua e là? Eh pazienza.  Il consumatore dovrà farcela da solo. Superare il lavaggio del cervello delle continue proposte d’acquisto. Maturare, capire che dall’altra parte non c’è un amico tuo che ti fa entrare in casa gratis, c’è un agente immobiliare di se stesso. Non condivide, fa un cambio merce pure lui, io ti do la mia privacy tu mi dai la tua attenzione.


Curioso come l’industria culturale, paraculturale e pop sia diventata un grande “m’hai stufato pure tu”: si passa di moda, ci si affloscia alla velocità del basilico. Gli eroi dei social al momento sembrano indenni. Ma siamo nel periodo dopo-post, ci aspettano novità. Prima su internet eravamo solo cretini, ora sono in sensibilissimo aumento i nervosi.
 

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