L'intervista

Paola Mastrocola: "I dibattiti sul patriarcato sfociano spesso in un femminismo formato marketing"

Ginevra Leganza

"Il patriarcato è strutturale nella cultura islamica – dice la scrittrice ed ex docente torinese – non da noi, dove il femminismo ha preso la piega del conformismo"

“Discutere l’esistenza del patriarcato si può. A volte si deve. E poi sa cosa penso?” Cosa? “Penso che negare il patriarcato sia una cosa un po’ diversa dal negare la Shoah. Anzi, è molto diverso, a dispetto di chi reagisce come se i termini di paragone fossero equivalenti”. Parallelo imprudente, questo della scrittrice torinese Paola Mastrocola, eppure efficace. 
“La verità è che dietro questo mantra – dice Mastrocola al Foglio – e, cioè dietro il patriarcato, non ci sono padri violenti. Ma solo superficialità. Banalità. Indifferenza per i significati delle parole”. Parole che si ripetono? “Che si ripetono e che si scrivono. Perché il guaio, oltre le giovani in piazza, sono gli intellettuali gregari. I maschi, ridicoli, che fanno professione di virtù astratta”. 


Ed ecco. Secondo la scrittrice si scrive “femminismo”. Ma, poi, alla prova dei fatti, si legge “conformismo”. Romanziera Einaudi, saggista per La Nave di Teseo ed ex professoressa di lettere nei licei torinesi, Paola Mastrocola spiega che il patriarcato, semmai, è strutturale “altrove”. Ma di preciso, dove? “Direi che pertiene macroscopicamente all’Islam. Ossia alla forza che, come nei romanzi di Houellebecq, preme l’Europa dall’interno. Ma si sa che per le donne islamiche residenti in Italia non si scende in piazza”. 


A proposito di religioni, culture, etnie, la giornalista Rai Sara Mariani, intervistando lunedì scorso Gino Cecchettin, diceva che tocca lottare, piuttosto, acciocché di “maschi-bianchi” non ce ne siano più. “Quindi dovremmo migrare noi”, ironizza Mastrocola, e poi chiosa: “Siamo alle soglie di un auto-genocidio: ci vergogniamo della cristianità, della mascolinità, dell’eterosessualità. Di tutto questo la gaffe di Sara Mariani è solo un effetto”. 


Maschio-bianco a parte, davvero tutte le proteste non hanno ragion d’essere? “Ce l’hanno. Hanno senso se penso ai problemi che ancor oggi scontano le donne, legati soprattutto alla maternità. Detto questo, però, il 25 novembre è una brutta giornata”. Addirittura. “È un amalgama di antifascismo, pacifismo. È una protesta multitasking che, affermando la lotta al patriarcato, nega qualsiasi espressione individuale della donna. Ridotta a vittima”. Che non è. “Non esiste la violenza maschile di massa. Mi stupisco sempre di una cosa…”. Di cosa si stupisce? “Mi stupisco delle donne che, dotate di cospicua bellezza, se ne servono per ambizione professionale. Di queste ragazze il femminismo non parla. Eppure non mi paiono vittime. Né nobili”. Non paiono vittime ma forse neppure carnefici. Forse se ne servono, dell’avvenenza, per innocente ricerca di attenzioni. O magari, come si dice, per istinto a conservare la specie. Non trova? “Questo è vero. La negazione della biologia è un altro grande tema. Anche se io non ho mai pensato di ‘essere prima di tutto una donna’. Prima di tutto sono una persona”. 


Un’altra sfumatura del femminismo, oggi, è una certa vocazione per così dire ultrà. Laura Boldrini, da sinistra, “fa rumore” alla Camera dei deputati, fintanto che la premier Meloni, da destra, concede un’intervista sul tema a Donna Moderna. Sentendosi forse pungolata dalle chiavi agitate in piazza. “Che dire? È il femminismo formato derby”. Femminismo formato derby, in politica. Mentre nel mondo culturale siamo quasi nell’ambito del marketing. La scrittrice Chiara Valerio ha dedicato Più libri più liberi – fiera della media e piccola editoria – a Giulia Cecchettin. Una vittima che quasi-quasi diventa brand. “L’unico scopo della letteratura è agire in libertà. Senza piegarsi a scopi moralistici come accade nell’ambito di questi festival”. A tal proposito, decine di attori, registi, cantanti – da Paola Cortellesi ad Amadeus – hanno spiegato su Instagram l’importanza del consenso. Un tema che a cadenza variabile si pensa d’insegnare a scuola. “Non me ne parli”. Perché? “Perché da docente lo trovo ridicolo. Non si educa il maschio al rispetto della femmina insegnando l’accoppiamento ammodo”. E come si educa (se si educa)? “L’educazione è sempre indiretta. Confido nella lettura di Leopardi o di Goethe più che nell’ora di educazione sessuale”.