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Il fantasma del patriarcato. Più scompare, più sembra essere ovunque
Un nuovo goscismo erede del Sessantotto e dei suoi stanchi slogan, riadattati allo spirito woke dei tempi, presenta non soltanto tutta la società occidentale ancora come sotto il suo giogo, quando è uno scheletro. Lo evocano sul clima, in biologia, in matematica e perfino per Mozart
Il patriarcato non esiste solo negli occhi di chi ha il privilegio di non vederlo”, dice Elly Schlein in risposta al ministro Giuseppe Valditara. Frase che potrebbe essere ribaltata: “Il patriarcato esiste solo negli occhi di chi vuole vederlo ovunque”. Tutti sanno che viviamo nel tempo della “società senza padre”, da quando nel 1963 Alexander Mitscherlich lo annunciò in un libro, e in quella della “fine del dominio maschile”, dal titolo del libro per Gallimard di Marcel Gauchet, che racconta come il capitalismo liberale abbia creato una società ultra egualitaria in cui la differenza tra i sessi è offuscata e vige il “rapido liquefarsi della figura del padre”.
E in un recente saggio per Fayard che unisce sociologia ed economia, Laetitia Strauch-Bonart si chiede: “Les hommes sont-ils obsolètes?”. “In sovrannumero, inutili, obsoleti”. Questo è l’immagine implacabile del patriarcato occidentale che Strauch-Bonart elabora nel suo lavoro. La storia degli ultimi decenni è quella di un’incredibile emancipazione educativa e intellettuale delle ragazze che stanno surclassando i maschi. Senza contare il libro dell’intellettuale americano che ha plasmato i termini della critica culturale post-anni Sessanta, Christopher Lasch, che nel 1977 pubblicò “Rifugio in un mondo senza cuore. La famiglia in stato d’assedio” (in italiano per Neri Pozza). Esiste ormai dunque un’intera biblioteca che sul patriarcato ha scritto il de profundis.
Pierre-Henri Tavoillot, filosofo della Sorbona, questa settimana dice: “A volte raggiungiamo vette nella paura del patriarcato quando quest’ultimo non esiste più”. Perché mentre scompariva, il “patriarcato” diventava la parola buona a tutti gli usi. Un nuovo goscismo erede del Sessantotto e dei suoi stanchi slogan, riadattati allo spirito woke dei tempi, presenta non soltanto tutta la società occidentale ancora come sotto il giogo del patriarcato, quando è uno scheletro a cui si spezzano le fragili ossa. Ma il suo fantasma è buono a tutti gli usi e consumi culturali. Non soltanto il tinello domestico è ancora talmente patriarcale che il governo socialista spagnolo ha promosso persino un’app per “misurare” come sono distribuite le faccende domestiche in ciascuna famiglia e “combattere il patriarcato” (la donna in cucina, l’uomo sul divano). A essere patriarcali sono anche la geologia, la matematica, la musica classica, la biologia e la grande letteratura.
“La crisi climatica non riguarda solo l’ambiente. I sistemi di oppressione coloniale, razzista e patriarcale l’hanno creata e alimentata. Dobbiamo smantellarli tutti”. Così “Why we strike again” è il titolo del manifesto scritto da Greta Thunberg per spiegare l’ampio respiro ecologista (prima che indossasse la poco patriarcale kefiah palestinese). Kathryn Yusoff, professoressa alla prestigiosa Queen Mary University of London, in un libro ha appena descritto la geologia come segnata dalla “prassi patriarcale suprematista bianca”. Le persone non bianche hanno un rapporto più sano con la terra rispetto alle persone bianche. “Hanno un’intimità con la terra che è sconosciuta alla bianchezza”. Su La7, a “L’aria che tira”, Umberto Galimberti lamenta che la Madonna è solo uno “strumento” per far nascere Gesù, che parlerà solo col Padre e quindi è all’origine del patriarcato. Altro che costola di Adamo. La lotta al patriarcato arriva dal capo delle Nazioni Unite, António Guterres, che si scaglia contro “millenni di patriarcato” e un “mondo dominato dagli uomini con una cultura dominata dagli uomini”.
Pazienza che se c’è qualcosa di patriarcale quello è proprio l’Onu: non c’è mai stata una donna segretario dell’Onu. Il soffitto di cristallo del Palazzo di vetro. Assicurano i musicologi che anche “Mozart è un simbolo del patriarcato bianco”. E scopriamo da Repubblica che il “Don Giovanni” di Mozart è l’esaltazione della “natura predatoria del patriarcato”. Così è tempo di far uscire Mozart dalla sua turpe scatolina bianca, patriarcale e austriaca, e renderlo “inclusivo”. Lo hanno deciso i musicisti di Critical Classics. Hanno cominciato a riscrivere il “Flauto Magico”. Sono guidati da Julia Jones, direttrice d’orchestra inglese che ha lavorato anche al teatro di Cagliari. Il “Don Giovanni” è patriarcale, misogino, abusa di tutti e ricorre alla derisione razziale e Leporello tiene un registro delle sue conquiste sessuali. E il duetto tra Pamina e Papageno? Da maschio patriarcale. E se il patriarcato risuona nella “Traviata” di Giuseppe Verdi, persino “la confusa fantasia femminista di ‘Barbie’ si inchina al patriarcato”, assicura il Guardian, che più che da X dovrebbe uscire dalle proprie ossessioni ideologiche.
E se il colosso Nike arriva a produrre una pubblicità in cui la storia greca è liquidata come “patriarcale”, i contribuenti della città di Strasburgo devono rallegrarsi. I loro soldi sono ben spesi. Il municipio guidato dall’ecologista Jeanne Barseghian ha appena deciso di “degenderizzare” i cortili delle scuole per renderli meno patriarcali. Hanno installato sensori sui vestiti dei bambini per misurarne la posizione e i ruoli di genere che assumono. “Da sei mesi, 125 alunni delle scuole elementari di diverse scuole indossano gilet collegati”, si vanta l’eletta sul Parisien. Il direttore della scuola elementare Paul Langevin, che ha preso parte all’esperimento, sta conducendo una “lotta contro migliaia di anni di patriarcato”. Un po’ come la versione “depatriarcalizzata” del “Piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry rivisitata da Maria Virginia Siriu. Cosa aspettano a depatriarcalizzare la Cappella Sistina? Ma solo dopo il barbecue, “simbolo del patriarcato” secondo la leader dei Verdi francesi, l’ecofemminista pro hijab Sandrine Rousseau.
Nel 2025 uscirà nelle sale il film “Biancaneve”. L’attrice Rachel Zegler, di origini colombiane, ha assicurato che “non siamo più nel 1937” e che Biancaneve “non sarà più salvata dal principe e non sognerà più il vero amore”. Basta patriarcato. Sembra il passaggio di una trasmissione di Rai 3, in cui una giornalista chiede a Gino Cecchettin: “Cosa dobbiamo fare perché figli così, maschi e bianchi, ce ne siano di meno?”. Nelle aule universitarie di mezzo occidente, giù dal pantheon i Dwm, “Dead White Males”, gli autori maschi bianchi defunti patriarcali. Il Globe Theatre, che aveva William Shakespeare come autore, processa l’Amleto perché incarna il “patriarcato bianco”. Intanto, “Dio non è maschio, non è bianco e non è neanche definibile: è neutro, perciò serve mettere l’asterisco dopo il suo nome”. Questa la proposta, in pieno spirito woke, della Katholische Junge Gemeinde (Comunità cattolica giovanile) in Germania. L’ortografia corretta è quindi Dio*. “La domanda centrale è: cosa possiamo fare per riportare l’immagine di Dio, che è molto patriarcale, nella diversità che merita?”, ha affermato Rebekka Biesenbach, leader dei giovani cattolici tedeschi.
Per la Chiesa anglicana anche il Padre nostro - la più antica preghiera cristiana - “è troppo patriarcale” e la si vorrebbe “neutra” (non male per una chiesa nata sulle voglie divorziste di un re). La National Organization for Women considera coloro che si oppongono all’inclusione degli atleti trans negli sport femminili come sostenitori del “patriarcato suprematista bianco”, quando è proprio il patriarcato progressista che si forma con la presenza dei maschi negli sport femminili (e la trasformazione delle donne in “produttrici di ovociti”).
La professoressa del Brooklyn College Laurie Rubel dice che anche la matematica “puzza di patriarcato suprematista bianco”. Laura Helmuth, da direttrice di Scientific American, ha pubblicato un articolo sulla matematica che “si confronta con il suo passato patriarcale bianco”. Così alcuni stati americani hanno provato con la “matematica democratica”: però l’esperimento è fallito, così sono tornati ai numeri patriarcali. Ma il pericolo patriarcale è in agguato anche in biologia. Professore della Sorbona, il filosofo Jean-François Braunstein, in una intervista all’Express, ha detto: “Secondo pensatori come Anne Fausto-Sterling o Donna Haraway, la biologia è una falsa scienza, definita ‘patriarcale’”. “Gran parte della scienza occidentale è radicata nel patriarcato”, hanno scritto scienziati di Harvard, Princeton e dell’Università della California nella rivista accademica Trends in Ecology and Evolution. Così hanno stilato un elenco di “24 termini dannosi”. Includono uomo, donna, madre, padre… Al posto di femmina, si usi “produttrice di ovociti”. Questo sì è molto meno patriarcale.
Ogni tanto esce un po’ di dissenso. Come l’unico tutor di origine africana dell’Oriel College, in Inghilterra, Marie Kawthar Daouda, autrice di “L’Anti-Salomé”, che ha affermato che il patriarcato nella Gran Bretagna vittoriana è “ancora migliore delle condizioni che le ragazze e le donne subiscono attualmente in diversi paesi africani”. Ha spiegato sul Figaro lo studioso Emmanuel Todd: “Parlare di patriarcato in modo indifferenziato per discutere della situazione delle donne a Kabul e nella regione parigina non ha senso”. Peggio: del patriarcato di Kabul, spallucce; crociate dei bambini contro il patriarcato occidentale.
E pazienza se le ragazze israeliane stuprate e uccise in nome del patriarcato di Gaza, le ragazze iraniane velate e torturate in nome del patriarcato degli ayatollah, le ragazze come Saman Abbas infoibate in nome del patriarcato pakistano, le ragazze afghane strozzate in nome del patriarcato talebano e tante altre non sanno che farsene di tutta la nostra retorica sul “patriarcato bianco”. Perché se le colpe del maschio bianco e occidentale sono sempre collettivizzate, quelle dell’islamico sempre privatizzate, anche quando commette atti di terrorismo. Fatiha Agag-Boudjahlat sulla Revue des deux mondes ha parlato di “immunità del patriarcato orientale”. Al massimo si allarmano per il patriarcato di Mosca e di Costantinopoli, ma non certo per quello islamico.
E va da sé che anche la rielezione di Trump è conseguenza del “patriarcato americano”, come se il voto maggioritario delle donne americane per il reazionario repubblicano anziché per l’illuminata democratica fosse una vittoria patriarcale e non una sconfitta femminista. I neri che votano Trump? “Il patriarcato ha la meglio sulla razza”, scrive il New York Times. In “Le 8-octobre” per i tracts, la collana dei libretti di Gallimard, la sociologa franco-israeliana Eva Illouz spiega che “patriarcato” e “capitalismo” sono evocati ovunque, indipendentemente dal contesto storico o culturale. “Così che, ad esempio, la storia dei neri americani si sovrappone a quella dei palestinesi. E Israele viene descritto come uno stato coloniale, nonostante sia stato creato attraverso un atto di decolonizzazione. Questa visione paranoica, astorica e manichea del mondo rende Israele il male supremo, colpevole di colonialismo, ecocidio, capitalismo e patriarcato. Anche la tolleranza israeliana nei confronti della causa omosessuale viene descritta come pinkwashing, vale a dire un processo che maschera la realtà di un’impresa patriarcale”.
Jenn M. Jackson, docente alla Syracuse University, evoca il patriarcato anche sui tremila morti sotto le Torri Gemelle: “Dobbiamo essere più onesti su cosa è stato e cosa non è stato l’11 settembre. E’ stato un attacco ai sistemi capitalistici patriarcali”. E visto che il patriarcato è ovunque, serve una soluzione radicale. La femminista Mona Eltahawy ha ipotizzato di uccidere “un certo numero di uomini ogni settimana” per garantire la fine del patriarcato. “Chiedo alle persone di immaginare - sto usando questa parola immaginare e la sottolineo tre volte - uno scenario in cui uccidiamo un certo numero di uomini ogni settimana”, ha detto Eltahawy in un’intervista con l’emittente canadese Cbc. “Quanti uomini dobbiamo uccidere prima che il patriarcato si sieda di fronte a noi e dica: ‘Ok, basta’”. Sarebbe da trasmettere su Rai 3.
Anche la leader dei Verdi tedeschi, Ricarda Lang, con indosso un top a fiori e gli strass sugli occhi, ha cantato “Fanculo il patriarcato” al concerto di Taylor Swift a Monaco. Una settimana dopo un concerto di Swift è stato cancellato a Vienna, dove un altro tipo di patriarcato minacciava di far saltare per aria i fan della canzone “The man”. Un certo numero di uomini e di donne. Perché almeno agli occhi del patriarcato orientale, il sesso, per usare la definizione di Richard Dawkins, resta “dannatamente binario”.