Vietare i social ai giovani? Proteggere non significa consegnarsi alla paura del futuro

Marianna Madia

Non basta una legge; servono programmi, progetti, iniziative e presidi per una nuova e diffusa “educazione” su questi temi. Serve costruire un percorso di alleanza tra istituzioni, scuola, media, oratori e famiglie

Per una democrazia liberale l’accesso libero alla rete è parte integrante dei diritti di cittadinanza. Come ogni diritto ha bisogno di un quadro di regole perché la sua piena e consapevole fruizione possa realizzarsi nell’interesse dei singoli e della collettività.  L’uso delle tecnologie e delle loro applicazioni non può quindi non considerare l’urgenza di regole che tutelino i bambini e i preadolescenti nel loro contestuale diritto a uno sviluppo sano e consapevole. Oggi fin dalla prima infanzia c’è un utilizzo crescente degli smartphone e dei device. Questo uso prematuro ha una conseguenza: il peggioramento della salute fisica e mentale dei bambini e dei ragazzi. E’ la tesi avanzata dagli appelli ormai continui di pedagogisti e pediatri in tutto il mondo.

Credo che sia ormai evidente che non possiamo scaricare le “colpe” sui bambini e ragazzi lasciati preda, oggettivamente, di una forza, quella delle piattaforme, violenta, aggressiva e difficilmente padroneggiabile. Né possiamo lasciare sulle spalle dei genitori e degli insegnanti tutta la responsabilità, in totale assenza di un quadro regolatorio assicurato dalle Istituzioni. In questi mesi ho lavorato a una proposta di legge bipartisan. La  proposta, già in discussione in Senato con le prime firmatarie Mennuni (FdI)  e Malpezzi (Pd), è figlia di un lavoro istituzionale condiviso da esponenti  di diversi gruppi politici di maggioranza e opposizione ed è presente nelle conclusioni della prima indagine conoscitiva della commissione bicamerale Infanzia e Adolescenza. Cosa prevede? L’obbligo  in capo alle piattaforme di verificare l’età di chi naviga e sta sui social – che vorremmo portare a un’età minima di 15 anni; la verifica dell’età è anche necessaria per vietare in modo assoluto la profilazione da parte dell’algoritmo dei minorenni, così come già disposto dalla normativa europea. Nessuno si illude: non basta una legge; servono programmi, progetti, iniziative e presidi per una nuova e diffusa “educazione” su questi temi. Serve costruire un percorso di alleanza tra istituzioni, scuola, media, oratori e famiglie. Senza scegliere l’inerzia per l’idea sbagliata che proteggere significhi consegnarsi a una visione di paura del cambiamento e del futuro. Non è così.