Social vietati ai giovanissimi? Occorre ripartire da un nuovo alfabeto emotivo

Federico Freni

Vietare è davvero la soluzione migliore per la tutela dei nostri figli? La storia insegna: le restrizioni hanno generato effetti collaterali e comportamenti distorsivi legati proprio alla volontà dell’uomo di non limitare la propria autodeterminazione

“Papà, quando potrò avere anche io il cellulare?”. Quando un paio di giorni fa, mia figlia di dieci anni mi ha fatto questa domanda, le ho risposto in modo evasivo: “Non c’è nessuna fretta: non sarai la prima della tua classe e non sarai l’ultima”. La legge approvata dal Parlamento australiano che vieta ai ragazzi con meno di 16 anni di accedere a tutti i principali social media, mi pone però di fronte a un interrogativo nuovo: non sarà un’illusione rifugiarsi nella zona di comfort delimitata dalla logica binaria del giusto-sbagliato? Potevo dare a mia figlia una risposta più adeguata? Io sono cresciuto in un mondo in cui i social non c’erano, e da padre ho paura di ciò che i social potranno fare alla testa di mia figlia (dopo aver letto “La generazione ansiosa” di Haidt, ancor di più).

Ma vietare è davvero la soluzione migliore per la tutela dei nostri figli? La storia insegna: le restrizioni hanno generato effetti collaterali e comportamenti distorsivi legati proprio alla volontà dell’uomo di non limitare la propria autodeterminazione. I social network hanno amplificato questo fenomeno dato che la loro dimensione sociale e relazionale è di fatto una sommatoria di individualità caratterizzate sempre più spesso dalla ricerca dell’estremo. Sui social, si sa, vogliamo tutti apparire belli, intelligenti e performanti. Al contempo, la legittimità di interventi che possono limitare l’accesso ai social risiede proprio nella necessità di arginare questa tendenza. L’eccessiva individualizzazione, “il mito di sé” insomma, è anche veicolo di violenza e prevaricazione. Ecco, io credo che un giusto equilibrio debba guardare all’educazione ai sentimenti. Occorre ripartire da un alfabeto che possa aiutare a decifrare la complessità della vita emotiva, migliorando così la capacità di leggere le proprie emozioni e, di conseguenza, la qualità delle relazioni con gli altri. Solo con l’intelligenza emotiva, che è complemento irrinunciabile dello sviluppo cognitivo, i nostri figli diventeranno adulti capaci di fare scelte di vita consapevoli. Anche sui social. Forse a mia figlia devo un’altra risposta.