È davvero possibile, con i social, immaginare soluzioni che non siano solo quelle legali?
Sappiamo che, con il voto definitivo del Senato, l’Australia avrebbe vietato l’utilizzo dei principali social media per i minori di 16 anni. Non sappiamo però come avverrà la verifica dell’età degli utenti e tutti i dettagli tecnici dell’applicazione della normativa che sono rimandati a passaggi successivi. È prevista infatti una prima fase di sperimentazione prima della definitiva entrata in vigore della legge fra 12 mesi. Si tratta di un’iniziativa legislativa portata avanti con grande velocità che ha sollevato numerose critiche da parte di differenti esperti e portatori d’interessi. Alcuni hanno sottolineato l’assenza di evidenze scientifiche solide alla base dell’iniziativa australiana e, allo stesso tempo, come iniziative simili in altri Paesi siano poi naufragate e siano state bypassate mediante l’utilizzazione di tecnologia che consente di aggirare gli eventuali divieti. Come ormai sempre più spesso accade, il sistema politico ha usato l’unico strumento a sua disposizione in funzione simbolica per segnalare, in un anno elettorale, che “si stava facendo qualcosa”. Questo è poi particolarmente vero quando i sondaggi segnalano un’approvazione dell’iniziativa superiore al 70 per cento nell’elettorato australiano. Spesso l’approvazione di leggi manifesto è utile a mandare segnali all’elettorato ma, difficilmente, tale comunicazione arriva a proporre soluzioni tecniche efficienti. Il dibattito globale sulle limitazioni all’accesso dei social media, che sarà rinvigorito dall’iniziativa australiana, sembra essere l’ennesimo capitolo della saga relativa alla competizione fra la curva dell’innovazione tecnologica e quella della regolazione. In questa competizione la prima curva galoppa in maniera esponenziale mentre la seconda arranca. I politici però non possono che cavalcare la seconda utilizzando gli unici strumenti a loro disposizione, primo fra tutti quello della legge. Pensare che problemi complessi possano risolversi mediante una legge è del resto tipico di un approccio semplicistico a problemi complessi. Dovremmo forse cominciare ad interrogarci su quanto le tecnologie digitali stiano mutando la nostra stessa natura di essere umani per provare ad immaginare soluzioni che non siano solo quelle legali.
Pasquale Annicchino è docente di diritto e religione, etica e regolazione dell’intelligenza artificiale e dati religiosi e privacy