Altri divieti da introdurre: ai genitori che mettono in mano ai bambini il telefonino al ristorante
Se il sistema australiano funziona – e ci vorrà un po’ di tempo – sarà interessante per i sociologi del futuro comparare le generazioni che hanno avuto precocemente i social network e quelle che li avranno un po’ più in là
Vietare o non vietare i social network ai minori di 16 anni? Il tema è stato sollevato più volte ma l’Australia ha già agito, approvando l’Online Safety Amendment (Social Media Minimum Age) Bill 2024. La norma intende bloccare l’accesso dei minori di sedici anni ai social network; i gestori di piattaforme come Instagram, Facebook, Tik Tok o Snapchat avranno un anno per introdurre ragionevoli controlli al fine di impedire ai minori di 16 anni di avere un account. Ora, come si possano attuare tali “ragionevoli controlli” è tutto da scoprire, così come se i dibattiti sorti in altri paesi, tra cui l’Italia, daranno luogo ad analoghe norme. Quello che so – appartenendo alla categoria degli adulti e dei genitori – è che siamo la prima generazione a crescere figli immersi nei social network e forse un giorno saremo l’ultima generazione a ricordare un mondo senza i social (e senza smartphone). I pregi di questo mondo iperconnesso e artificiosamente sociale li conosciamo; i difetti pure, e non li enumero. Dal punto di vista di un genitore consapevole del suo ruolo, però, l’aspetto più dannoso è che è andata persa ogni forma di mediazione ed interpretazione della realtà da parte degli adulti: è sufficiente uno smartphone, un paio di social e c’è tutto un mondo dei tuoi figli che ti sfugge. Ben venga – dunque – il divieto per i paesi che lo adotteranno, almeno lì i genitori avranno qualcosa di superiore cui appellarsi per imporre un divieto: in fondo ad un dodicenne non faremmo guidare un’automobile (e il dodicenne, non essendo consentito, neanche te lo chiede…). Insomma, che sollievo una società che ti aiuta ad educare, che sta dalla parte di chi auspica che un bambino o un preadolescente possa crescere senza quella continua parata dell’ego, quel costante specchio deformante, quel vivere le proprie esperienze solo in funzione di come si pensa le vedranno gli altri. Se il sistema funziona – e ci vorrà un po’ di tempo – sarà interessante per i sociologi del futuro comparare le generazioni che hanno avuto precocemente i social network e quelle che li avranno un po’ più in là. Ed infine, propongo un divieto anche per i genitori che mettono in mano ai bambini di due anni il telefonino per intrattenerli al ristorante. Trattare anche il telefonino come un sigaro toscano, insomma. E qui mi fermo, altrimenti passo per luddista…
Elisabetta Cassese è fondatrice di educazioneglobale.com