Vietare i social ai ragazzi? Una legge folle: i responsabili siamo noi genitori, non lo stato

Oscar Giannino

Sono genitore di due ragazzi che utilizzano massicciamente la rete, e da YouTube finiscono a volte su contenuti per me molto discutibili. Ma di ogni contenuto improprio, della vigilanza, della verifica e del dialogo incessante coi miei figli voglio essere titolare io

La legge in corso di approvazione in Australia per bandire ai minori di 16 anni l’accesso ai social media è inapplicabile e inaccettabile. Come sin qui dimostrato da molti tentativi analoghi tentati in altri paesi avanzati. Vedi il sostanziale fallimento della norma simile introdotta l’anno scorso in Francia, o la bocciatura da parte della Corte Suprema degli Stati Uniti di un bando analogo adottato dallo Utah. Tutti questi tentativi, nati per evitare ai minori contenuti e influenze dannose derivanti dalla rete, non riescono mai a distinguere giuridicamente tre cose ben diverse: le piattaforme cioè i siti a contenuti dannosi, siano essi quelli sessuali o quelli violenti; i provider di Tlc attraverso cui si accede alle piattaforme; e infine i cosiddetti “social” cioè chat e siti di comunicazione pubblica. La legge australiana prevede multe draconiane fino all’equivalente 30 milioni di euro per le piattaforme che non rispettino il divieto, ma in realtà le sanzioni finirebbero non su di loro, ma su chi offre il servizio per l’accesso di rete, i provider, cioè in Italia ad esempio Tim e le altre tlc. E la verifica dell’età dell’utente, con ricorso a sistemi di controllo biometrici applicati ai ragazzi ma anche necessariamente ai titolari maggiorenni di abbonamento di connessione, è uno screening di massa di dati personali che non solo negli Stati Uniti è stato considerato incostituzionale, ma che nella nostra Europa e in Italia fa a pugni con quanto stabilito in materia di privacy dei dati sia dalla direttiva Gdpr europea, sia dal cosiddetto Codice Privacy italiano che ne è l’attuazione. Gli screening di massa dei dati personali non sono pericolosi solo in Cina, sono inaccettabili in primis da noi europei. Quanto infine ai social network, intesi come servizi di comunicazione a fini commerciali fondati sulla condivisione dei contenuti e sull’interazione pubblica degli utenti, il bando di stato inizia sempre con finalità etiche e diventa poi invariabilmente una censura politica sui contenuti. Indigeribile, per quanto mi riguarda. Sono genitore di due ragazzi che utilizzano massicciamente la rete, e da YouTube finiscono a volte su contenuti per me molto discutibili, visto che la sessualizzazione comincia da come si presentano in video le ragazzine mini influencer, e che le violenze psicologiche e fisiche a volte sono il canovaccio di molte “challenge” a cui i miei figli hanno accesso senza violare i filtri antiporno e anti Deep Internet posti dal genitore. Ma di ogni contenuto improprio, della vigilanza, della verifica e del dialogo incessante coi miei figli su tutto questo, sono e voglio essere titolare solo io come genitore. Rifiuto categoricamente che sia lo stato a decidere.