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La difficoltà di spegnerla

Guardare l'intolleranza nei confronti del fumo dall'alto dell'ultima sigaretta

Marco Archetti

Fumare quando si è tesi e nei momenti di relax, per celebrare ogni momento. Mattia Feltri ha smesso (per la terza volta), Tex Willer resiste. Un atto eroico e allo stesso tempo una banalità assoluta, ma chi non fuma non sa. Intervista

"Ho cinquantacinque anni, non mi sono mai limitato, ho smesso due volte e forse ricomincerò a settantacinque. Ma chiedo agli sceneggiatori di Tex di resistere”. Tiene il conto dei giorni d’astinenza: cinquantaquattro. Quasi due mesi da quando Mattia Feltri ha fumato l’ultima sigaretta, o meglio, le ultime cinque. E’ accaduto di domenica, precisamente il 20 ottobre. Ore 7.30: senso di nausea accendendo la prima, ne ha fumate altre quattro e poi ha detto basta. Erano le nove in punto. “E dire che quella mattina non avevo alcuna intenzione di smettere”. Incipit da romanzo. “Ma mi è già capitato: a trent’anni, ho smesso per tre anni. A quaranta, per due”. Gli si augura che il terzo tentativo non segua il trend che parrebbero promettere i precedenti, ma al momento vince la spericolatezza. “Non uso succedanei. No liquirizie e no cerotti, niente!”. Ma Tex? Che c’entra Tex?


Leggenda vuole che, qualche anno fa, Aquila della Notte fosse prossimo a una deplorevole morigeratezza. In realtà nessuno alla Bonelli editore ci pensò seriamente, però agli atti risulta una segnalazione del Codacons perché, sulla copertina di un albo, il ranger aveva la sigaretta in bocca. Ci sentiamo di rassicurare Mattia Feltri: Tex fumava, fuma e fumerà. Nel saloon sempre aperto del nostro immaginario non si svapa Pink lemonade monouso e il tabacco fa ancora parte della vita. “A Torino no. A Roma va meglio, ma chissà”. L’unità di misura della civiltà è, per Feltri, il metro dal tizzone. “A Torino, se passeggi e accendi una sigaretta, devi assicurarti che nessuno si trovi a meno di cinque metri da te o ti tocca spegnere. A Milano i metri diventano dieci. Ridicolo, no? Mamme coi passeggini tra i tubi di scappamento, ma se fumi vieni guardato con disprezzo. Il fumatore, ormai, è un reietto. Se camminassi per strada con uno scolpasta in testa e al primo che mi guardasse storto chiedessi “scusi, non ho forse il diritto di farlo?”, quello si incasserebbe nelle spalle e ammetterebbe che sì, in fondo che problema c’è? Ma prova ad accenderti una sigaretta! E’ la fine”. Anche di certe amicizie.


“Creta, l’estate scorsa. Eravamo in cinque, cena in un ristorante all’aperto. Ho fumato allontanandomi sempre dal tavolo. Finito di mangiare, me ne sono accesa una lì seduto. Un italiano viene lì e mi fa: “Grazie di aver fumato tutta la sera davanti ai miei figli!”. Poi mi ha dato del coglione,” aggiunge Feltri, che ancora non ci crede. Ignaro, in quel momento, che il dramma vero dovesse ancora cominciare. “I miei amici mi hanno detto che quel tizio in effetti era stato un gran cafone, ma aveva indubbiamente ragione. E io: “No, siamo in un luogo all’aperto, mi hanno portato un posacenere senza che io l’abbia chiesto, e le ho fumate tutte, tranne l’ultima, lontano dal tavolo”. Niente da fare: lui aveva indubbiamente ragione e io torto per forza”.


Linee d’ombra, linee di fumo. Finito per sempre quel tempo di nostra vita innocente in cui si accendeva una sigaretta con noncuranza, amandosi tra simili e dissimili, in lieta convivialità? “Ho una sorella tabagista e ho cominciato perché insisteva”, racconta Feltri. “Sia chiaro, se fossi uno in grado di regolarsi non mi sarebbe mai saltato in mente di smettere. Ma non so contenermi: sono uno che fuma quando è teso perché è teso, e quando è rilassato perché è rilassato. Io fumavo per celebrare ogni momento. E ormai ero rimasto l’unico, in casa. Le ultime le ho fumate alla finestra del terrazzo”. Eccolo in cornice: natura viva con tabagista triste, solitario y final. Muratti, Philip Morris, Camel blu pacchetto morbido – Feltri sciorina il passato e si concede una vena di lirismo. Poi ride: “Mi piacevano molto anche i toscani. Pensavo che mi avrebbero saziato. Risultato? Fumavo i due soliti pacchetti di sigarette, più due mezzi Toscani al giorno..”.


Anche smettere è pratica che cela le sue insidie, l’eccesso di sicurezza può essere fatale. “Quando decidi di dire basta sei portato a credere che quella sia una soddisfazione sufficiente a sé stessa. Ma ti sbagli. Dopo sei giorni ti tornerà la voglia. Qualcuno te ne offrirà una e tu accetterai, sei padrone, hai resistito sei giorni, potrai anche far quattro tiri e poi tornare a essere uno che ha smesso, no? Così ne arriverà un’altra. E un’altra ancora. Tre settimane dopo, rientri dal tabaccaio.” Tutto da rifare. “Sia chiaro, chi smette non merita ovazioni. Non sei stato sul fronte in Ucraina. E’ un atto eroico e, allo stesso tempo, di una banalità assoluta. Ma chi non fuma, non sa”. Ah, se non fumatore sapesse.


“Per un articolo, sei sigarette”, rievoca Feltri con la precisione malinconica di chi vive sul fronte di un’irrevocabilità cui vorrebbe credere di più. “Oppure a cena: certe sigarette, dopo il brasato… Adesso ti invitano e se metti la mano in tasca alla ricerca del pacchetto ti chiedono se puoi aspettare. In questi casi negare la sigaretta è come servire la pasta senza sale. Cosa che, se accadesse, figurati… si scuserebbero tutti, grandi inchini, ti porterebbero grano per grano il sale rosa. Perché l’ospite è sacro. Ma se non fuma”. Sennò è comunque una grande occasione, perché “il fumatore permette agli altri di sentirsi migliori”. E gli altri sono il pulpito. “Ma io sono un vile, non ho mai voglia di litigare”. A dargli ragione, almeno la letteratura. “Giulio Verne, L’isola misteriosa: cinque prigionieri naufragano in un’isola. Là costruiscono capanne, catturano animali. Uno di loro ha con sé una pipa, vuota da anni. I suoi amici gli fanno un regalo: hanno coltivato tabacco di nascosto e una sera gliene regalano un pacchetto. Lui, commosso, ricomincia a fumare. E la civilizzazione si compie”.


Affiora il ricordo di un treno. “Una donna mi ha detto che fumavo troppo. E io: ‘Ma siamo in una carrozza fumatori’. E la tizia: ‘Ma lei esagera!’”. Censori tabagisti, il massimo. Il finale è un endecasillabo: “Io resterò per sempre un fumatore.” Perché l’amore non finisce. E nei momenti bui, “we’ll always Tex Willer” – non diceva più o meno così, uno che fumava molto?
 

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