Napoleon in watercolour (Midjourney AI, prompted by Netha Hussain, via Wikimedia commons) 

Venerare il capo è storia vecchia, ma nel corso dei secoli ha cambiato forma

Alberto Galimberti

David A. Bell in "Culto dei capi. Carisma e potere nell’età delle rivoluzioni" indaga il carisma politico e come si è trasformato

Nel "Culto dei capi. Carisma e potere nell’età delle rivoluzioni" (Viella), David A. Bell, docente di Storia alla Princeton University, indaga il carisma politico, concentrandosi su cinque leader militari – Pasquale Paoli, George Washington, Napoleone Bonaparte, Toussaint Louverture e Simón Bolívar – capaci di suscitare l’entusiasmo del popolo e imporsi alla guida dei loro paesi.

 

Carattere straordinario, citando la definizione moderna coniata da Max Weber, il carisma è sempre esistito, cifra perenne della vita politica. Prima dell’età delle rivoluzioni, sfondo del saggio, il potere era “intensamente personale, concentrato nelle mani del sovrano; la cui legittimità originava dalla nascita reale o dalle benedizioni delle chiese”. Tra il 1775 e il 1815, nel mondo atlantico, interviene una rivoluzione intellettuale e culturale. La venerazione del capo muta in un tributo verso un essere umano che “svettava in virtù delle proprie straordinarie doti naturali, anziché per la discendenza da un sovrano o per l’unzione divina”. Secondo lo storico, infatti, il carisma “non è solo una qualità individuale, bensì anche una relazione”; nasce tanto dalle azioni del politico quanto dalle speranze dei sostenitori. Adamantina novità sopraggiunta nella civiltà occidentale e simboleggiata da un gesto: “I sovrani avrebbero considerato l’applauso una forma di impertinenza, perché associato al teatro e – a differenza dell’inchino – implicava una libera approvazione”. Di converso, “per il seguace di un politico carismatico non esisteva momento di maggior soddisfazione, così come per un capo politico non poteva sussistere situazione più appagante, di un libero e convinto applauso”. Detto altrimenti, un legame emotivo, intimo e intenso; che sfocia nell’acclamazione di guide improntate all’eroismo. Ammirate e amate, fatte sfilare sotto archi cerimoniali con la lusinga dell’alloro, celebrate da panegirici gonfi d’iperboli e lodi.

 

L’autore passa in rassegna continuità e contrasti delle cinque personalità politiche elette a paradigma. Districando vizi e virtù, sovrapponendo parabole individuali a processi collettivi, attingendo a copiose testimonianze pubbliche: giornali, opuscoli politici, poesie. Argomenta: “Tre qualità li accomunano. Erano eroi militari; famosi per vittorie, talento e coraggio. Furono acclamati per esser comparsi nel mezzo di crisi spaventose a salvare il popolo da una distruzione certa. Vennero considerati dei fondatori; descritti come ‘padri della patria’”. Durante il periodo rivoluzionario, giova ricordare, la circolazione della stampa conobbe un clamoroso successo, concorrendo alla creazione della loro celebrità.

 

Tuttavia, appunta Bell, tra i contemporanei di allora parimenti si sollevarono critiche e condanne. Invettive scagliate contro la fraudolenta reputazione di chi, nel novero dell’illustre cinquina, traendo profitto da conquiste e consenso, senza scrupolo alcuno rovesciò governi costituzionali in regimi dispotici; calpestando diritti e democrazia.