Degenerazioni
L'epoca riduzionista che considera ogni atto anomalo il gesto di un pazzo
Chiunque (se analizzato con i metodi odierni) può risultare in qualche modo affetto da una qualche forma di “problema psichico”: segno di una società che si pretende interamente patologizzata e vittimizzata. Ecco l'eccessiva e banalizzante psichiatrizzazione dell'umano
Qualche giorno fa un rifugiato afghano in Baviera ha accoltellato e ucciso una bambina di due anni e un uomo adulto di circa quaranta. Fatto piuttosto frequente, in particolare nei paesi del nord Europa, che ormai non fa più notizia. L’ordinarietà non è, infatti, stupefacente. Ciò che dovrebbe colpire, oltre al fatto che questi gesti siano divenuti appunto ordinari, è che non c’è praticamente volta in cui tali eventi, legati a soggetti quasi esclusivamente di fede islamica, siano attribuiti a persone con “problemi psichici”. Qui non si vuole discutere della questione dell’integrazione dei rifugiati, o delle seconde (o forse terze, ormai) generazioni di immigrati e cittadini di fede islamica in Europa, che pure è un tema fondamentale. Interessa invece notare che ormai la stragrande maggioranza degli eventi anomali (complessi, drammatici, tragici) legati a singoli individui devono trovare la loro comprensione all’interno di un qualche disturbo mentale. Si tratta di una drammatica reductio ad unum.
Negli ultimi decenni c’è stata una proliferazione infinita della codificazione di reali o presunti disturbi mentali. Tolte le malattie a più evidente tasso di “follia”, di squilibrio, di delirio e di violenza, le altre si pongono esclusivamente nel campo della pura interpretazione e sovrainterpretazione da parte di psicologi e psichiatri. La soglia tra “reale” e “presunto” è sempre infatti estremamente sottile visto che il disturbo mentale è frutto indiscutibile dell’interpretazione degli esperti, che sono a loro volta i codificatori/creatori dei disturbi. La soglia è sottile anche perché in quella separazione tra “normalità” e “anormalità” risiede tutta la ricchezza di quella peculiarità dell’umano che è l’individuo, anzi, la persona. Perché se tutti gli altri animali sono essenzialmente “specie”, l’idea e il fatto della persona è un evento squisitamente umano. E’ un crinale sottile quello che separa la totalità di una specie dall’individuazione dell’umano. Ma è in questo crinale che sta la responsabilità, l’autonomia, l’irriducibilità della persona.
Fin dagli anni Settanta, come è noto, un movimento culturale molto ampio ha denunciato come, in base all’interpretazione e alla necessità del momento, attraverso una perizia psichiatrica un “soggetto” può essere considerato anormale e inquadrato all’interno del dominio di una determinata patologia e così “curato” e governato. Questo discorso, però, andrebbe oggi invertito. Chiunque può essere compreso e ridotto a una qualche patologia psichiatrica attraverso cui va “compreso” e “giustificato” oppure squalificato. In questo senso è meraviglioso vedere come di recente, invece di analizzare politicamente e culturalmente il ruolo che nel bene o nel male sta svolgendo Musk, lo si definisca “pazzo” o si indaghi con una psicoanalisi da imbonitori la sua infanzia “problematica”.
Chiunque, se analizzato con i metodi odierni, può essere trovato in qualche modo affetto da una qualche forma di “problema psichico”. Il che, ovviamente, non significa nulla di nulla, se non appunto l’evidenza, quella sì estremamente significativa, di una società che si pretende interamente patologizzata e vittimizzata.
Basti pensare all’utilizzo assurdo che è stato fatto di un concetto come quello di Dpts – disturbo post-traumatico da stress – che, codificato sostanzialmente per i postumi sofferti da chi è stato in situazioni di guerra, viene oggi utilizzato per qualsiasi tipo di “stress”: dal rimprovero di un professore, al catcalling, dal mancato riconoscimento di una qualche identità di genere, ai discorsi su eventuali discriminazioni di qualsiasi natura, ecc...
In questa psichiatrizzazione della persona, Musk e l’afghano sono due lati della medesima medaglia interpretativa. In tale prospettiva ogni atto “anomalo” è sempre potenzialmente l’atto di un pazzo e mai un atto politico, o un atto religioso ad esempio – con tutta la complessità di analisi che ciò comporterebbe. Si può immaginare un riduzionismo interpretativo più svilente, in particolare se sbandierato dalle cosiddette chattering classes?