Note di ottimismo

Saranno pure canzonette, ma a Sanremo è sparita l'angoscia

Ester Viola

Amore, allegria, futuro. Al Festival la musica è cambiata e la preoccupazione che le cose precipitino è finalmente fuori gara. Da Antonella Clerici a Gerry Scotti, dai cantanti alle superstar, si è sentito il refolo di un’allegria che sembrava venire dall’altro secolo. Non è che il peggio è alle spalle e non ce ne siamo accorti?

C’era qualcosa di nuovo nell’aria l’altra sera, anzi di antico. Che non si vedeva più da troppo tempo. Sanremo, anno primo Carlocontiano, 2025. Attese e aspettative: sottozero. Nel caso migliore, ci si era detti, quel povero Carlo può solo pareggiare, andare qualche tacca sotto il grande rivoluzionario, Amadeus. E invece – contro le previsioni – ha sorpassato in traffico social e ascolti. Com’è potuto succedere? Prime impressioni, ore ventuno e venticinque. Una conduzione calma, controllata, senza annunziate sorprese. Alla mezz’ora entra in campo Antonella Clerici, vestita lamè, dice di avere un portafortuna, un corno. Dove? Nelle mutande.

  

Boccolosa di quei boccoli che non si vedono più, fatti col ferro. Poco dopo, altro attacco di vanzinite. Dalla platea dell’Ariston un urlo: “Si ’na preta” (sei una pietra, napoletano per solidità della struttura corporea, gioventù, massimi gradi di bellezza) per Rose Villain, capelli celesti e vestito rosso, meravigliosa. 

 

Seguono i cuoricini dei Coma_Cose, vestiti in maschera a colori, la canzone è cretina, stupenda e incolla. Altre canzoni d’amore, con una grande differenza rispetto al passato: 1) parole scandite piano, anche dai giovani 2) giacchette bianche al posto dei bomber di pelle nera dell’anno scorso. 

 
Compare Lorenzo Jovanotti che zompa sul palco vestito d’oro, suona i greatest hits e racconta che i dottori l’hanno fatto nuovo, con un pezzo di titanio in una gamba, ci avverte che è il 2025, siamo nel futuro del mondo migliore dei possibili e ultimamente ti curano (quasi) tutti i mali. Puoi zompare ancora fino a novant’anni, e vedere il mare, e innamorarti, ed essere felice o almeno provarci. Una signora del pubblico lo afferra di peso se lo vuole portare via, e io la capisco. Poi arriva Tamberi, altro grande infortunato, che aveva già preannunciato un mesto ritiro e invece ha cambiato idea: ci ho ripensato, non mi arrendo, ci vado ancora, alle Olimpiadi. Quello che conta è ricominciare, da un daccapo qualsiasi, là dentro sta la felicità.

  
La serata prosegue, altri miracoli. Le superstar vengono livellate da uno strano potere di spersonalizzazione dei megalomani, di appiattimento dei personalismi: uno valeva uno, Fedez pareva il vecchio Fedez, Tony Effe per l’occasione si è tolto i tatuaggi. I figli di Carlo Conti sono tutti uguali, da Marcella Bella a Elodie. Addio massimo della saturazione, addio caccia al picco emotivo, addio monologhi. Non si sente l’ansia di andare bene, andare trasversale, piacere a sette fette di pubblico, e-ora-chi-invitiamo-per-fare-gli-originali? Sono finiti gli esperimenti di metatesto, l’iper-modernità si è presa una pausa, perfino Guè e i trapper l’hanno capito.   

   

Così lo spettatore medio sul divano, che già avvertiva uno strano teporino perché va bene le canzoni, ma vuoi mettere la voce di Gerry Scotti, quel timbro anti nervoso, uno che se ce l’hai vicino non può succedere niente di male, comincia a chiedersi che anno è, che ora è. E questo sentirsi bene da dove arriva? Sarà mica ottimismo?


E qui arriva la grande sorpresa: la musica. Che è cambiata. È un pochino meno depressa. Brunori Sas canta una canzone d’amore da far fiorire le magnolie

  
Così quel piccolo ago sismico che è Sanremo ci ha dato una buona notizia. Si è sentito il refolo di un’allegria che sembrava venire dall’altro secolo, quando le cose succedevano piano anche nelle serie tv e credere a qualche mezzo sogno non era da imbecilli, ma da volenterosi.


Io me lo ricordo, quando il possibile era ancora possibile. E non è passato tantissimo tempo, forse si può ancora fare qualcosa per non passare alla storia come la società dell’angoscia. I senza-futuro. Quelli che avevano paura di tutto, e la preoccupazione che le cose precipitassero se li mangiava anche se poi le cose non precipitavano. Sono solo canzonette, sì, ma c’è un’aria nuova, sono sicura, tanto che m’è venuto un dubbio, un dubbio bellissimo. Non è che abbiamo rallentato? Non è che il peggio è alle spalle e non ce ne siamo accorti?  

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