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(Unsplash)
Perché la sostenibilità è diventata insostenibile per l'occidente
Come correggere errori ed esagerazion senza diventare nemici dell’ambiente. Ricordare che l'esigenza da cui si è partiti, ovvero evitare il degrado innarrestabile del mondo è ancora là e bisogna cercare di non perdere l'appoggio delle opinioni pubbliche
Qualcuno rammenta ancora l’Agenda 2030? Per gli smemorati ricorderò che si tratta di una gigantesca operazione politica che coinvolse tutto il mondo esattamente 10 anni fa. Furono fissati 17 obiettivi che tutti i paesi aderenti alle Nazioni Unite si impegnarono a raggiungere entro il 2030 per mettere il pianeta su una strada sicura di sviluppo sostenibile, sotto il triplice profilo ambientale, sociale, istituzionale. Fu il momento culminante di due decenni di discussioni, negoziati, accordi parziali, che avevano coinvolto moltissimi paesi. La molla principale era stata la crescente consapevolezza del disastro ecologico incombente sulla Terra, ma anche la volontà di molti di sradicare il fenomeno della povertà estrema che affliggeva tante popolazioni.
La nuova amministrazione politica americana scaturita dalle scorse elezioni presidenziali ha gettato secchiate d’acqua fredda su quell’Agenda. Dal personale punto di vista del nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, stando alle sue reiterate dichiarazioni in campagna elettorale e anche nei primi tempi del suo ufficio, quel documento è carta straccia. In particolare, gli impegni di tutela ambientale che esso prevede sono da lui considerati inutili e anzi dannosi. Inutili perché il pericolo di un’apocalisse ecologica planetaria sarebbe sostanzialmente inesistente. Dannosi per il suo paese perché ne mortificherebbero il patrimonio petrolifero, rallenterebbero l’economia, colpirebbero l’occupazione.
Ma ancor prima che si profilasse l’elezione di Trump l’Agenda 2030 non se la passava bene. Secondo l’ultimo rapporto annuale dell’Associazione italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis), che esamina lo stato di attuazione dell’Agenda nel mondo e in Italia, si sta andando indietro, anziché avanti, per un terzo degli obiettivi. Il fatto è che la determinazione di dieci anni fa si sta comunque affievolendo in molti paesi, Trump o non Trump. Perché? Negli anni precedenti l’approvazione dell’Agenda era andata crescendo la consapevolezza che la sopravvivenza del pianeta terra e del genere umano fosse legata a un cambiamento radicale di obiettivi, di prospettive, di stili di vita, di politiche pubbliche rispetto quanto prevalso fin dall’inizio dei tempi; che il necessario cambiamento dovesse coinvolgere tutti, il free riding di qualcuno avrebbe annullato gli sforzi virtuosi di qualcun altro; ma che il cambiamento simultaneo di tutto il mondo fosse tremendamente difficile, al punto da richiedere un intensissimo coordinamento internazionale che poggiasse sull’impegno solenne di ciascun paese a fare la propria parte. Per imprimere una spinta di questa intensità ci voleva uno sforzo, anche propagandistico, gigantesco.
Alla fine si è messa in moto un valanga. Il mondo si è effettivamente mosso nella direzione di apprestare maggiori presidi a tutela della sostenibilità dello sviluppo, soprattutto in materia ambientale. Perfino la Cina, il paese più inquinato e inquinante del mondo, ha cominciato a correre ai ripari, ad esempio spingendo per elettrificare tutti i trasporti. Tuttavia, hanno a quel punto acquistato voce nelle opinioni pubbliche di molti paesi, una voce sempre più squillante e sonora, alcuni sacerdoti intransigenti dell’ambientalismo, che hanno premuto per obiettivi assai ambiziosi di riduzione dell’inquinamento e delle emissioni nell’atmosfera di anidride carbonica.
Questo è accaduto soprattutto in Europa. L’Unione europea è diventata l’avanguardia del mondo nella marcia verso gli obiettivi dell’Agenda 2030. Ma l’Unione è intrinsecamente basata sulle regole e sulla burocrazia incaricata di idearle e farle applicare, molto più di uno stato federale come gli Stati Uniti. Direttive, regolamenti, norme di ogni genere e rango si sono affastellate le une sulle altre. In questo momento i complessi di norme che disciplinano gli sforzi per la sostenibilità di governi e imprese e gli obblighi di “rendicontazione” a carico delle imprese sono ben tre, complessi ai limiti dell’inintelligibilità, e in parte incoerenti fra loro. Molti paesi europei, fra cui la Germania, non li hanno recepiti nei loro ordinamenti nazionali e questo ha già creato confusione e asimmetrie competitive. La Commissione europea ha infine comunicato alla fine dell’anno scorso che intende rivedere tutto l’insieme delle norme per semplificarle e renderle più comprensibili e coerenti. Ma non si sa né quando né come. La confusione è divenuta massima. E’ iniziata una reazione dei soggetti coinvolti, rappresentanti tutta l’economia del continente. In Italia è recentissima l’iniziativa di Confindustria e Assonime.
Il mondo sta vivendo una pericolosa fase di riflusso, in cui alcuni governanti, anche di paesi grandi e potenti, soffiano sul fuoco e alimentano i dubbi serpeggianti nelle opinioni pubbliche, che si stia esagerando, che i costi della marcia verso la sostenibilità siano, a loro volta, insostenibili. In qualche caso, come negli Stati Uniti, si giunge fino al rabbioso rovesciamento di alcuni degli obiettivi dell’Agenda 2030. I populismi di ogni risma sono ardui da contrastare con le armi della ragione, degli argomenti documentati, della verità, perché prediligono la semplicità e la nettezza, facilmente ottenibili con le falsità, mentre chi si erge a ribattere deve ricorrere, se vuole aderire alla verità, a ragionamenti anche complessi, a volte ad avanzare e a discutere dubbi. Bisogna allora affrettarsi a correggere errori ed esagerazioni nella corsa verso la sostenibilità, soprattutto in Europa. Ma l’esigenza da cui si è partiti, evitare il degrado inarrestabile del mondo, è vera e sta ancora là. Le persone di buona volontà convinte di questo devono cambiare stile di narrazione, se non vogliono perdere definitivamente l’appoggio delle opinioni pubbliche.
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