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Il bestiario

Chi sono gli umarèll della catastrofe trumpiana

Ester Viola

Da chi si abbuffa di telegiornali e articoli a chi ignora tutto per strategia di sopravvivenza. Fra vago cinismo, ottusa indifferenza e fedeltà al tycoon. Caratteri e volti di un presente sempre più esagerato

Si vive male, si vive in tempi crudi, si sente da almeno vent’anni, stavolta però è vero. La complessità si aggiorna sempre al peggio, mai come adesso: guerra, crisi economica, corto circuito politico con tendenza alla deriva spinta, emergenze climatiche. Il mondo si reggeva su equilibri fragili, ora si regge appeso a un filo. Non si sa come smettere di informarsi, siamo un indirizzario di sciagure. Chi si abbuffa di telegiornali e articoli, chi ignora tutto per strategia di sopravvivenza, chi posta sui social il piatto del ristorante come niente fosse, chi scende in piazza, chi litiga sui social, chi si stupisce di Salvini, chi reclama il messaggio di sostegno a Zelensky dalla Meloni, chi fa i meme e se la ride anche quando non c’è niente da ridere (bravi), chi non dorme la notte. Si capisce che la domanda: “E adesso che facciamo?” ognuno la prende come viene meglio.


L’indifferente acuto 

Minimizzare senza accorgersene. Il disastro non esiste, è tutto un’esagerazione. La storia è un susseguirsi di crisi, eppure siamo qua. “Ti ricordi Lehman’s nel 2008? Ti ricordi la pandemia? Ti ricordi il terrorismo, la guerra fredda, gli anni di piombo? Quante apocalissi dovevano venire?”.
Vago cinismo con disinteresse attivo. Il mondo sì è in equilibrio precario, ma è una precarietà maritata e sempre fedele a un ciclo storico. Il collasso imminente quindi non lo convince. La prepotenza di Trump? La fermeranno. Le eminenze di Blackrock hanno in mano le pensioni degli americani e troppi tentacoli affondati in Europa. Saranno presto di malumore, con questo andazzo.

Mi piace molto stare con l’indifferente acuto. Certi caratteri potrebbero domare col ragionamento pure le furie. E’ negazionista nella variante che vorrebbero tutti, perché con quella disposizione d’animo si campa meglio in generale: è negazionista del problema. Ogni crisi è un fenomeno normale, la gaussiana sale e scende e gli esiti non si discosteranno mai troppo dalla traiettoria virtuosa. E’ l’ottimista della stabilità. Cita Steven Pinker, Il declino della violenza: alla fine qualcosa di buono l’abbiamo fatto, la storia dell’umanità mostra una progressiva riduzione dei conflitti. Si tende, noi contemporanei, a star tranquilli. Speriamo.

 

L’indifferente ottuso

Il tipo disarmante di persona che non sa cosa succede nel mondo o non approfondisce nemmeno quando gli cadono le tegole della storia in testa. Esistono ancora. Prenotano la vacanza di agosto, si lamentano dei figli, del lavoro e dell’insonnia. Ha l’orticello suo e basta che non finisca sotto la grandine quello, dell’esistenza di problemi più alti dei papaveri non sospetta l’esistenza.


Il guardiano della fine del mondo  

E’ la reazione emotiva opposta e simmetrica all’indifferente ottuso, quella di chi ha deciso che da dopodomani l’Europa è all’obitorio, Putin ci sbrana, impoveriremo tutti per dazi, diventeremo dipendenti noi dalla Cina e sarà inevitabile finire nell’imbuto di una guerra totale. Forse nucleare.

Vede segni di cedimento ovunque, non capisce come gli altri facciano a restare in piedi durante il terremoto. Il poverocristo ha un senso innato del catastrofismo, e la maledizione è che si sente invece solo un realista lucidissimo. Strologa di ripetizioni della storia identiche, sovrapposizioni col periodo nazista, coincidenze sinistre, coincidenze destre. 

 

Il trumpiano

Ancora è convinto che Donald Trump sia sano di mente. Scambi epistolari fortissimi sul social X anche a notte fonda. Amano il Donald come se fosse il presidente loro.

 

L’ideatore di meme

Produce foto e video di parodia. Si ride senza volere, inutile resistere: Trump preso a cazzotti, Trump che striscia al guinzaglio di Putin. Cretinaggine social oppure l’unica opposizione che funziona, perché le immagini hanno sostituito i ragionamenti e le idee e viaggiano più veloci al bersaglio? D’altra parte siamo nella seconda rivoluzione individualista, scrive Fontcuberta. L’estetizzazione della quotidianità prevede pure questo.

 

L’esteta della crisi

La catastrofe come schema culturale. La crisi è affascinante, la contempla come sistema. Ama il suo ruolo social come divulgatore in tempi di emergenza: “E’ una questione mai vista prima dal punto di vista della comunicazione politica”. Tensione globale anche come performance. Le sue osservazioni appartengono spesso alla categoria delle sottigliezze essenziali. Più la cosa è sottile, più sarebbe stato fondamentale agire diversamente secondo un piano teorico meglio collaudato. “Perché tenere l’incontro diplomatico decisivo a telecamere accese?” (forse perché le hanno volute i prepotenti nella stanza?) e “Zelensky avrebbe dovuto avere un interprete, certi accorgimenti sintattici sarebbero stati importanti” (pure ammesso, ma l’accorgimento sintattico contro il palazzinaro pazzo cosa può fare? E’ la stampella lanciata contro i cannoni del nemico). Riflette con toni gravi sulla fine di un’epoca. Certe volte pare che il profumo di declino gli piaccia.  
 

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