Il Foglio Weekend

La rivoluzione viaggia in Tesla

Michele Masneri

Il boicottaggio globale a Musk e l'equivoco fondamentale: non è mai stata un'auto di sinistra 

Con queste batterie  non vinceremo mai. Il grido di battaglia “Boicottiamo la Tesla” scorre di bocca in bocca, di sezione in sezione, si sarebbe detto un tempo. Il grido di battaglia passa dall’Alpi alle piramidi, dagli Stati Uniti all’Italia, dal Canada alla Svezia. In Inghilterra il gruppo “Tesla Takedown” ha fatto già varie dimostrazioni, sono attese altre per oggi a Londra e Manchester.  In America il presidente Trump, trasformato in “concessionario in chief”, sullo sfondo di due macchinone fatte arrivare in fretta e furia nel giardini della Casa Bianca, ha chiamato all’acquisto dell’Elettrica Maga e minacciato che qualunque atto contro le auto del sodale Musk sarà considerato “terrorismo interno”. La cantante Sheryl Crow, sveltissima, si è fatta riprendere mentre la sua Tesla viene portata via da un carro attrezzi non perché in sosta vietata ma in quanto simbolo del male (sottofondo “Time to say goodbye”, “tempo di dirsi addio”, cantata da Bocelli), e il ricavato andrà alla Npr, la radio pubblica americana, uno degli ultimi bastioni ancora di sinistra rimasti. In Italia la deputata di sinistra-sinistra Elisabetta Piccolotti, intervistata qui sul Foglio, ha dichiarato che venderà la sua Tesla (con l’attenuante che è “in leasing”). Subito Italo Bocchino si è fatto riprendere sulla Tesla in un cortile, fiero che sia un simbolo “della destra conservatrice”. Dal Maga alla maghina, nessuno per ora la vende, tantomeno  donando i ricavi a Radio 3. 

  

Già, ma poi la Tesla è di destra o di sinistra? Mica facile dirlo. Perché sì, stiamo parlando di una macchina elettrica concepita in quel (ex) covo di pericolosi fricchettoni che era la Silicon Valley fino a poco fa, prima del grande voltafaccia che li ha visti diventare tutti trumpiani.  Dove ora il movimento “Tesla Takedown” nasce e lotta. Ma quella era pure la patria  delle rivolte per i diritti, delle proteste per il Vietnam. Lì attorno a metà febbraio le prime manifestazioni anti Musk. 


Quello della Tesla è il più significativo boicottaggio che si sia visto negli ultimi anni, anche il più legato a uno specifico personaggio: sì, certo, negli anni 70, in pieno conflitto israelo-palestinese, i pompelmi Jaffa  divennero un simbolo politico. Boicottarli significava opporsi alla politica israeliana nei territori occupati. Un altro obiettivo era la banana Chiquita simbolo dell’imperialismo Usa. Da cui anche alcuni giochi che si facevano da piccoli, “pompelmi Jaffa? Banana Chiquita!”. Sempre sul filone imperialismo, vittima abituale dei boicottaggi (del resto se uno volesse boicottare qualche bene o servizio mettiamo iraniano o nordcoreano o russo o palestinese sarebbe più difficile. Non c’è la filiera) un altro obiettivo era la Nestlé, accusata di promuovere l’uso del latte artificiale nei paesi in via di sviluppo, con conseguenze disastrose per la salute infantile.  E poi la classica Coca-Cola: simbolo di un mondo consumistico e oppressivo, per non parlare della Monsanto accusata di uccidere i nostri sacri grani antichi, e la Shell: negli anni 90, celebri le campagne di Greenpeace. 

 

Però in tutti questi casi non c’era un signor Jaffa, un signor Nestlé, un signor Shell o Monsanto. Invece adesso Elon Musk è il simbolo perfetto da odiare, il superbone presuntuoso dal saluto romano: l’inventore pazzoide, il moderno Howard Hughes:  cosa ci sarebbe di meglio che non comprare i suoi prodotti? E magari ridurlo in miseria? E schiacciare così anche la hybris statunitense, in un sussulto di antiamericanismo mai sopito e rinato oggi a sempiterna gloria? Quello contro  Musk inconsciamente richiama alla memoria un altro boicottaggio top di gamma, quello contro l’apartheid sudafricano, e dunque colpendo Musk, bianco cresciuto nel Sudafrica più segregazionista, si torna un po’ alle origini di questo tipo di proteste. Il “frisson”, il brivido della chiamata alla rivoluzione è sempre lì, un po’ come quando col Covid quello zio vetero-Rifondazione che tutti abbiamo in famiglia si sentiva tornato gli anni belli dei picchetti, vagheggiando di farsi iniettare un vaccino nientemeno che cubano! Poi non se ne fece più niente e si chinò il capo alla imperialista Pfizer. E i sovietici che marciavano in Lombardia  in versione “Dalla Russia con amore” per aiutarci? Andata male pure quella. Oggi, boicottare Musk, l’anarco capitalista   dalla motosega cara anche a Milei, con tutti gli yankee del mondo, rivitalizza la sinistra morente in ogni angolo del globo. Facendole superare anche molte contraddizioni tipiche di quest’epoca, le stramberie di questa gintoneria di Guerre Stellari che è il nuovo ordine mondiale (ma del resto, Trump solo quest’estate disse che “dal giorno uno del mio mandato eliminerò l’auto elettrica”, ma a destra spaccano meno il capello in quattro, si sa).

 

In un mondo capovolto, in un mondo in cui La Russa difende Pina Picierno da Putin, in cui il nuovo format di famiglia della destra tradizionalista è l’harem (qualcuno ha calcolato che Trump e Musk hanno in totale 18 figli da 6 donne diverse, ma forse quando questo articolo andrà in stampa Musk ne avrà avuti altri con qualche nuova tecnologia), se Trump ricompatta l’Europa, il boicottaggio della Tesla potrebbe portare  a una rinascita del settore automobilistico europeo. Bisognerà però stabilire alcuni paletti. La sinistra riparta dal petrolio e dal motore a scoppio? Di nuovo, l’elettrico è di destra o di sinistra? Chi detta la linea? La compagna Piccolotti? Il compagno Elkann? Dopo gli anni buttati sui diritti, è ora di tornare alla lotta di classe e alla catena di montaggio? Calenda e Michele Serra indicano subito una manifestazione nella Motor Valley emiliana (a tradizionale guida rossa)!  Meno Gay Pride, più Magneti Marelli! Meno Schlein, più Bersani? 


Intanto per i nostalgici degli anni Settanta che volessero rivivere le emozioni della giovinezza barricadera  le case automobilistiche europee hanno in listino modelli vintage ancorché elettrici che potranno soddisfare l’effetto nostalgia. La Renault per esempio ha appena presentato la nuova R4 elettrica, 150 cavalli, 400 km di autonomia, disponibile anche in tonalità rossa-Aldo Moro, e non verrete neanche fermati ogni volta dalla Polizia! A partire da trentamila euro.

 

La Volkswagen invece è orgogliosa di presentare il pullmino ID Buzz, riproposizione a emissioni zero del vecchio Transporter, detto anche “Samba” ma per tutti il “pullmino Volkswagen” igonigo camperino amato dalle rock band a partire dagli Who, o carico di tavole da surf nelle Summer of Love più scapestrate.  Listino da sessantamila euro. Già, perché i prezzi sono questi. I compagni titubano. La base tentenna. Senza incentivi, la rivoluzione è rimandata.  

 

Perché lo zio comunista poteva certo privarsi del pompelmo Jaffa o del Nescafé e scegliere di far benzina alla Ip, ma chi mai oggi si può permettere una Tesla? Nemmeno comprare e vendere le azioni, carissime, del gruppo di Musk, per il gusto di vederlo cadere in miseria. Sono scese molto, ma  costano ancora 240 dollari ciascuna. Si potrebbero comprare tutti insieme come i GAS, gruppi di acquisto solidale, e poi rivenderle all’unisono, per far crollare il titolo, in una “Wall Street” al contrario, in una “Big Short” collettiva. Make Tesla Parmalat Again!

 

Sì, ma chi li caccia i soldi? E’ chiaro che rimarremo sul piano della protesta simbolica. E sempre sul simbolico, se non c’è mai stato  un signor Shell o Jaffa o Nestlé, e adesso abbiamo invece questa straordinario soggettone quasi sordiano, il ragazzone col trapianto di capelli che fa le facce, coi suoi ambasciatori bizzarri in ogni paese, la mamma un po’ Crudelia de Mon, insomma un vero cattivo della Marvel, si entra in un sottotipo del boicottaggio, quello ad personam più alla portata di tutti. Senza bisogno di sborsare 40 mila euro, “entry level” per una Model 3, la macchina più economica dell’universo muskiano, o appunto i 240 dollari delle azioni. 

 

Siamo  più dalle parti dei libri di JK Rowling instancabile paladina “terf” come dicono i detrattori, cioè femminista radicale molto nemica dei pòri trans (ma adesso che il trans-movimento è chiaramente finito, come occuperà le giornate? Con chi se la prenderà? Arriveranno altri capitoli della saga di Harry Potter?). O dei  film di Roman Polanski accusato di antichi stupri, o di Dolce & Gabbana che all’epoca della prima presidenza Trump furono gli unici a vestire la first lady Melania nella disapprovazione generale (però oggi che tutti sono chini alla nuova Casa Bianca, D&G non  sembra che abbiano capitalizzato l’investimento, la first lady non avendo infatti ancora indossato un capetto del duo milanese nelle prime apparizioni. Vedi tu cosa si ricava a far del bene!).

 

E poi il primo boicottaggio, eponimo; quello di Charles Boycott, amministratore terriero ottocentesco in Irlanda, una specie di don Calogero Sedara che amministrava grandi latifondi per i Gattopardi irlandesi dell’epoca, e si rifiutò di ridurre gli affitti ai contadini in difficoltà. In risposta, nessuno lavorò più per lui, nessuno gli vendeva cibo, nessuno gli parlava. Il boicottaggio divenne così famoso che il suo nome è entrato nel vocabolario. 

 

Sì però adesso poche ciance, con queste Tesla che ci dobbiamo fare? Trovandomi in questi giorni a Londra, prendendo Uber, mi capitano solo autisti con delle Tesla che mi dicono “va benissimo, ha un ottimo prezzo per quello che offre”, e un altro: “non ho abbastanza soldi per boicottarla prendendo un altro modello di un altro marchio”. Di nuovo, per boicottare bisogna avere il cash. O l’incentivo statale. In linea col nuovo ordine mondiale molte case automobilistiche europee si stanno facendo avanti: la Volvo col suo marchio Polestar offre 5.000 dollari ai proprietari di Tesla che decidano di fare il salto. La Polestar potrebbe diventare un vero successo, perché, non si offendano i compagni svedesi, è bruttina, ha l’aria sommessa, come, diciamolo, dovrebbe essere una vera auto elettrica. Il motivo per cui la Tesla non è mai stata davvero amata a sinistra è infatti che per definizione tutto ciò che è di sinistra deve essere un po’ punitivo. Ancor di più un’auto che come l’elettrica si proponeva di salvare il mondo: dunque lenta, esteticamente svantaggiata, possibilmente ad autonomia ridotta, in modo che l’elettore di sinistra-autista elettrico si trovasse molte volte a cercare l’agognata colonnina, e nelle colossali attese delle ricariche avesse modo di meditare sulle sue colpe, in un’ennesima variazione della  fatica di Sisifo di essere progressista. 

 

Indimenticabili per esempio le prime Panda Elettra del 1990. Sembrava una lavatrice, aveva un’autonomia di 100 km, neanche da Roma a Capalbio. La massima era di 70. Il muro di Berlino stava crollando,  in Italia si tenevano i campionati del mondo, e la Fiat presentò la prima vettura elettrica del mondo in larga scala! A Elon, scansate!  

 

La Tesla di oggi è invece l’equivalente della Lancia Thema 8:32 dell’epoca: vi ricordate quelle macchinone che nella provincia italiana aveva il ricco del paese, la berlina Lancia col motore Ferrari sotto? La Tesla, anche in modelli con sportelli ad ali di gabbiano, con la sua bruciante ripresa, le linee aggressive, l’enorme schermo alla guida, le maniglie che scompaiono, è così, è l’auto di un maranza riflessivo globale che non è molto interessato ai destini globali del pianeta, semmai a far bella figura con le tipe e a scattare ai semafori. Anche le novità tecnologiche non sono veramente novità, la tanto strombazzata guida autonoma si sa che è più avanzata in auto ancora una volta europee (Mercedes, Volvo, ecc).  Però sei il re del bar, sei l’Elon Musk della compagnia, e nessuno può nemmeno darti del gradasso perché tu bruciando tutti al semaforo salvi pure il pianeta! Un ricatto morale bello e buono. E un’aria di successo intollerabile a sinistra.

 

Infatti anche in tempi recenti la vera auto elettrica nella percezione generale  non è mai stata la Tesla.  La vera auto elettrica, l’auto che i buoni guidavano a partire dalla California, dove è nato l’ecologismo,  era paradossalmente la Toyota Prius ibrida: un’auto brutta, paciosa, ma rassicurante e affidabile come un congresso del Pd. Interni rigorosamente in stoffa, ruote piccole, ma tanta tanta consapevolezza. 

 

La fondamentale ambiguità della Tesla, sborona ma salva-pianeta senza crederci veramente, adesso però è esplosa, e si era vista del resto con le prime reazioni dei guidatori alla progressiva ascesa politica di Musk. Qualche tempo fa intervistammo il presidente dei proprietari di Tesla italiani, e ci raccontò di un forte dibattito interno alla comunità, tra i supporter e i contrari all’imprenditore (lo stesso presidente si diceva preoccupato in quanto “su posizioni liberali”), ma subito era giunta una rettifica da altri tesliani italiani, insomma subito spaccature, scissioni, non dell’atomo ma della sinistra. Questa ambiguità, questa confusione comunque sembra per ora destinata a durare. Ad affiancare il boicottaggio della Tesla in questi giorni è molto agguerrito il movimento “Just Stop Oil”, “fermiamo il petrolio e basta”, che getta vernice rossa nelle concessionarie delle Tesla elettriche.  Grande è la confusione sotto il cielo, diceva Mao (ma le elettriche cinesi, più a buon mercato, andranno finalmente bene per la nostra tormentata coscienza sinistra, ancorché autocratiche? Alcune sono veramente brutte: e sembra un ottimo punto di partenza, vabbè).

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).