Un piccolo libro

Cosa può insegnare il Topolino nell'Inferno di Dante alle nostre “masse”

Maurizio Crippa

Fausto Colombo nel suo ultimo lavoro, dal titolo "Lezione. Sulla cultura popolare", esplora come l'intrattenimento abbia storicamente trasmesso un pezzo del nostro patrimonio culturale a lettori e spettatori non colti

Che fine hanno fatto “le masse”, chi le argina più? E’ la domanda che si fanno in tanti – non diremo “le élite”, ma le persone formate a una educazione “alta” se non accademica – ogni mattina appena accedono allo smartphone. Chi le tiene più, quelle ondate di hate speech e di fake news, di interpretazioni culturali e storiche sballate? Film che diventano teoremi “politici”, il complottismo da deep state di Matrix, un mondo di “redpilled” che hanno ingoiato la pillola giusta per “vedere”, o saghe fantasy che diventano testi di storia. Sono le domande quotidiane anche per chi si occupa di “cultura popolare”, pur con mille distinzioni teoriche e persino politiche. Qualcosa a metà strada tra cultura alta e bassa (fumetti, tv, canzonette) e le mille “contruculture”, “subculture”, culture folk o etniche che grazie alle piattaforme sono esplose ovunque. Fino a pochi anni fa si poteva vivere convinti che qualcosa del “modo di vedere il mondo” delle classi colte potesse essere trasmesso, sminuzzato, per il “popolo”. Oppure si poteva combattere questa imposizione “classista”:  lo hanno fatto tutte le “alternative culture” del ’900. Ora che l’orizzontalità di saperi e canali di trasmissione si è frantumata in un labirinto di rizomi – basta guardare le difficoltà della scuola a trasmettere non solo modelli ma anche banali contenuti – quelle domande sembrano senza risposta.


Ma c’è chi questi fenomeni li ha studiati, ha costruito modelli teorici e di analisi per tentare di comprenderli. Un lavoro che, anche quando sembra guardare al passato, pensa invece al nostro futuro culturale e sociale. Così prendere in mano un piccolo libro che di intitola semplicemente Lezione e nel sottotitolo “Sulla cultura popolare” (Vita e Pensiero) può schiarire le idee. Perché l’autore è stato uno studioso di questi mondi, un sociologo della cultura, Fausto Colombo. E’ stato, perché è morto qualche mese fa, appena diventato “emerito”, era nato nel 1955, dopo avere insegnato tutta la vita all’Università Cattolica del Sacro Cuore, oltre ad avere ricoperto altri incarichi. E questa sua Lezione tenuta pochi mesi prima di lasciarci – ma si era tenuto il tempo necessario per rivedere testo e bibliografia, da bravo docente – è appunto la sua ultima, una lectio magistralis che i suoi colleghi e allievi organizzarono per lui nell’Aula magna gremita.  Fausto Colombo è stato con acutezza e mitezza un studioso, ma anche un intellettuale appassionato, capace di far interagire il suo universo di saperi con l’universo morale della sua e delle nostre vite. Qualche hanno abbiamo avuto la fortuna di occuparci di un suo bellissimo libro, Imago Pietatis. Indagine su fotografia e compassione che partendo dal celebre scatto di Alan Kurdi, il bambino morto su una spiaggia turca, ricostruiva tutta la diffusione mediatica e digitale di quella foto, la sua trasformazione in simbolo, fino a interrogarsi sul valore della testimonianza giornalistica. In questa Lezione, si occupava di altro. Dopo una rapida introduzione teorica si concentra su vari esempi e soprattutto su uno, raffinato e delizioso: l’analisi di L’inferno di Topolino, una rivisitazione dell’Inferno di Dante fatta dalla Disney italiana nel 1949, con tanto di riscrittura in rima delle terzine. Un’operazione di cultura pop che, come tante altre di quei decenni,  ha contribuito a trasmettere a lettori non colti, soprattutto giovanissimi, una parte del nostro patrimonio culturale, della nostra storia. Con esiti sorprendenti, e che oggi palesemente mancano nell’industria culturale. Tra parodia, divertimento, divulgazione, attivazione di percorsi – fiabe, letteratura alta e d’appendice – c’è stato un lungo periodo in cui produrre cultura popolare attraverso le forme dell’intrattenimento ha significato anche costruire saperi. Fausto Colombo nella sua ultima lezione non ne aveva inutile nostalgia. Guardava a un presente in cui cultura alta e “bassa” sembrano destinate a incontrasi solo in un inferno, ma non dantesco.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"