SoundCheck
La verità, vi prego, sugli stranieri
I numeri, i dati, le alternative possibili per smontare la fuffa che circola sui social e le narrazioni meno aderenti alla realtà che inquinano la politica. Partiamo dall'immigrazione. Una nuova rubrica di fact-checking
La politica non è nuova all’uso di narrazioni per spiegare la realtà e le proposte di cambiamento. Lo sottolineano i manuali di comunicazione politica: servono semplicità, rilevanza e ripetizione. E’ così che l’attuale maggioranza è arrivata al governo: i Cinque Stelle con i temi della corruzione e della lotta alla povertà, la Lega con l’abolizione della Legge Fornero e contro l’immigrazione. Ma non sono i primi, Renzi aveva insistito con la rottamazione, mentre Berlusconi annunciava la rivoluzione liberale. Intenti che partono sempre da una descrizione dello status quo che si vuole cambiare: ne esce un’Italia “in ginocchio”, “invasa dai clandestini”, “bloccata” o “in pericolo”, a seconda del vento che tira. Narrazioni che talvolta nulla hanno a che fare con la realtà ma con la percezione, cioè la condizione avvertita dagli elettori. Questi racconti contribuiscono a costruire frame, cornici, in cui il dibattito pubblico si sviluppa e che rafforzano gli autori politici, liberi di dettare l’agenda politica. Ma oggi la rete ha scoperchiato un vaso di Pandora rendendo più semplice veicolare messaggi falsi e così anche per i politici diffondere la propria narrazione. In un paese come l’Italia, che secondo alcune ricerche è uno dei più a rischio per la differenza tra percezione e realtà, questo fenomeno è ancora più rischioso. Gli italiani sovrastimano il numero degli immigrati, dei furti in casa e perfino delle adolescenti incinte (se vi sembra una pazzia, andate oltre al tasto 7 del telecomando). A questo serve SoundCheck. Una rubrica di fact-checking sulle narrazioni meno aderenti alla verità, per smontarle pezzo per pezzo e per proporne un’alternativa. Perché i numeri da soli sono inefficaci se non legati a una visione di futuro. Per distinguere il vero dal falso, la realtà dalla fuffa, proprio come – prima di un concerto – si distingue la melodia dal rumore.
Matteo Salvini si appresta a diventare il personaggio politico del 2018 e la sua battaglia contro l’immigrazione dall’Africa lo ha portato prima al governo e poi in vetta ai sondaggi. I migranti ruberebbero il lavoro agli italiani e commetterebbero reati. Ogni invasione ha però bisogno anche di un aggressore: non sono i migranti, che la Lega ritiene siano una semplice arma, bensì non meglio specificati elementi esterni che tenterebbero di sovvertire l’ordine culturale e sociale dell’Europa. Un progetto di pulizia etnica, guidata da poco chiari motivi economici e da fumosi complotti internazionali.
“E’ in atto un’invasione”
Sommando gli stranieri residenti, i rifugiati e i richiedenti asilo – senza contare gli irregolari – in Italia c’è uno straniero ogni 10 cittadini italiani. Per fare un confronto, in Germania c’è uno straniero ogni 5 tedeschi, in Gran Bretagna uno ogni quasi 6, in Francia e in Spagna uno ogni 7
Partiamo dai numeri. Secondo Istat gli stranieri residenti nel 2018 sono circa 5 milioni e 100 mila – di cui 1,5 milioni da altri paesi europei – su un totale di 60 milioni e mezzo di residenti. I rifugiati sono stati nel 2017, secondo Unhcr, poco più di 167 mila. I richiedenti asilo circa 187 mila. E i “clandestini”? Per gli stranieri irregolari non esistono statistiche ufficiali ma solo delle stime, come quella della Fondazione Ismu che li stima in 490 mila. Tanti o pochi? Difficile affermarlo, ma possiamo tentare un confronto con gli altri paesi europei. Osservando quanti immigrati irregolari sono stati individuati dalle autorità nei vari paesi europei, un valore che potrebbe essere un proxy approssimativo del numero totale di irregolari. L’anno scorso secondo Eurostat in Italia sono stati poco più di 36 mila, dato inferiore rispetto a Germania (157 mila), Francia (115 mila), Gran Bretagna (55 mila) e Spagna (45 mila).
Sommando dunque gli stranieri residenti, i rifugiati e i richiedenti asilo – senza contare gli irregolari – in Italia c’è uno straniero ogni 10 cittadini italiani. Per fare un confronto, in Germania c’è uno straniero ogni 5 tedeschi, in Gran Bretagna uno ogni quasi 6, in Francia e in Spagna uno ogni 7. Ma il peso dell’immigrazione va calcolato non solo sulla base dei numeri totali, ma in particolare sul grado di integrazione: come ha rilevato la Fondazione Hume il tasso di criminalità degli stranieri regolari è 3 volte più alto rispetto a quello degli italiani, mentre quello degli stranieri irregolari è addirittura 34 volte superiore alla criminalità italiana. Il vero tema per la sicurezza dunque sembrano essere gli irregolari, anche se gli elementi che abbiamo a disposizione mostrerebbero che non siamo in una condizione d’emergenza rispetto al resto d’Europa, anzi.
“Ci rubano il lavoro”
Secondo Salvini gli immigrati sottrarrebbero il lavoro agli italiani grazie ai salari più bassi che sono disposti ad accettare. Il ministro dell’Interno afferma che è in atto un fenomeno di sostituzione etnica (se ve lo state chiedendo, ha usato queste esatte parole). In realtà gli immigrati tendono a concentrarsi su occupazioni a cui i lavoratori italiani non sembrano più interessati. Una tesi supportata da diversi studi, secondo i quali gli stranieri meno integrati guardano al lavoro solo come fonte di reddito e non alle sue implicazioni sociali e sono disposti a lavorare per più ore lavorative. Per questo sono disponibili a concentrarsi in occupazioni ritenute socialmente meno desiderabili, come la cura di anziani e bambini, le attività agricole e l’edilizia. Ecco perché spesso non sono in competizione con i lavoratori italiani: la presenza degli immigrati non sembra influenzare il livello generale dei salari, né il rischio di disoccupazione. Effetti negativi potrebbero esserci invece per i lavoratori giovani e per occupati in attività scarsamente qualificate. Tuttavia, secondo la Fondazione Moressa gli immigrati versano ogni anno 11,5 miliardi di euro di contributi sociali e poco più di 7 miliardi di imposte e tasse, mentre per loro viene speso – per sanità, istruzione e gli altri servizi – poco meno di 17 miliardi, con un risultato netto a favore del bilancio pubblico. E’ dunque senza fondamento il timore diffuso tra gli elettori di una diseguaglianza di spesa a favore degli stranieri, timore che ci rende più avversi nei confronti dello stato sociale, come rilevato da una ricerca di Alesina, Miano e Stantcheva.
“Prima gli italiani”
La presenza degli immigrati non sembra influenzare il livello generale dei salari, né il rischio di disoccupazione. Versano ogni anno 11,5 miliardi di euro di contributi sociali e poco più di 7 miliardi di imposte e tasse, mentre per loro, per sanità, istruzione e servizi, viene speso poco meno di 17 miliardi
Altra argomentazione della narrazione anti-immigrazione è che, con l’emergenza povertà che viviamo in Italia, non possiamo permetterci di spendere soldi pubblici per gli stranieri. Vengono “prima gli italiani”. Manca però un dettaglio: secondo Istat circa un terzo di questi poveri sono proprio stranieri. Se nel 2017 il 5,1 per cento delle famiglie di soli italiani era povera, l’incidenza aumenta fino al 30 per cento per le famiglie di soli stranieri. Una su tre.
Combattere la narrazione dell’invasione armati di soli numeri non è efficace, poiché la scelta della preferenza politica non è quasi mai determinata dalla razionalità. Serve una contro-narrazione, un’alternativa basata su fatti di realtà. Molti fra quelli che si oppongono alle idee di Matteo Salvini oggi lo fanno con gli strumenti sbagliati. Sono gli estremisti dell’accoglienza, per cui gli arrivi dall’Africa non rappresentano un problema ma anzi un’opportunità per lo scambio culturale ed etnico. Un racconto perdente. Non si può rispondere a Salvini affermando che i flussi migratori non sono un problema, che gli stranieri commettono meno reati degli italiani, che non c’è un’emergenza degrado in alcune zone urbane, che tutti i migranti scappano dalle guerre. Semplicemente perché non è vero. Il problema esiste, ma – e qui sta una nuova possibile narrazione – è causato dalla stessa gestione dei migranti. Dalle nostre scelte su come gestire gli eventi, e non dagli eventi in sé.
Il nostro paese ha deciso, con la legge Bossi-Fini e con l’azzeramento sostanziale dei decreti-flussi, di chiudere le vie di immigrazione legale nel nostro paese. Così chi intende entrare in Italia per motivi economici (circa la metà dei migranti) ha la via obbligata della richiesta d’asilo e dell’arrivo in Italia tramite i trafficanti di esseri umani. E’ una soluzione pericolosa per i migranti e che presenta forti problematiche di gestione e sicurezza per le autorità italiane. Obbliga i migranti ad attendere l’esito delle loro richieste d’asilo per mesi, senza la possibilità di lavorare: un’attesa che peggiora le loro possibilità di inserimento lavorativo (il tasso di occupazione dei migranti umanitari in Europa è del 26 per cento, mentre il 79 per cento dei migranti economici ha già trovato un lavoro) e li spinge talvolta verso attività illegali. Un’attesa a spese delle casse pubbliche che molti elettori non accettano. La gestione dei flussi migratori è basata sull’“accoglienza” e questo può amplificare la tensione sociale: la permanenza degli immigrati in Italia è letta come carico altruistico, un gesto di carità umanitaria, che dunque richiederebbe ai migranti un comportamento riconoscente. Così ogni occasione di comportamento scorretto individuale diventa motivo di indignazione dei locali.
La spesa media dei 35 euro al giorno (un altro falso, secondo la Corte dei conti la spesa media è minore) è un altro esempio, soprattutto se confrontata con l’iniqua spesa assistenziale del welfare. Per di più per migranti che in almeno la metà dei casi si rivelano, dopo anni, senza diritto di rimanere sul nostro territorio. Se invece ponessimo la permanenza dei migranti su uno scambio più evidente tra la cittadinanza ospitante e i nuovi arrivati la narrazione potrebbe essere ribaltata. Se i processi di integrazione dei migranti umanitari – che continuerebbero a seguire il percorso attuale – e di quelli economici fossero differenziati, i secondi potrebbero inserirsi fin da subito in modo legale nel mercato del lavoro, integrarsi e contribuire attraverso le imposte al benessere della società ospitante. Attraverso le procedure di ingresso legali potremmo anche selezionare chi arriva sul nostro territorio, in base alle sue competenze e alle necessità del mercato del lavoro italiano, e anche alla sua fedina penale. Non ripensare il modello di accoglienza attuale è una precisa scelta politica. Che forse conviene a Salvini, ma di certo non a chi cerca un’alternativa.