Falsi sudamericani sulla Banca d'Italia
Alessandro Di Battista accusa la Banca centrale di essere collusa con le banche private: il controllore sarebbe controllato dagli stessi su cui dovrebbe vigilare. E ripete una bufala sulla distribuzione delle risorse
Alessandro Di Battista ultimamente parla poco, ma quando lo fa parla chiaro. Anche troppo: più viaggia in Sud America più i suoi post e video su Facebook assumono toni venezuelani. L’ultimo messaggio è stato per l’audizione di Banca d’Italia sull’aggiornamento del Documento di economia e finanza: un insieme di accuse molto pesanti per mancanza di indipendenza e imparzialità della Banca centrale, che per alcuni giorni hanno contraddistinto le dichiarazioni di molti membri della maggioranza e del governo.
Nel 2017 gli interventi per consolidare il sistema bancario hanno avuto un effetto di 0,4 punti percentuali sul deficit, facendolo arrivare fino a 2,3. Si tratta di circa 6 miliardi e mezzo di euro, che rappresentano negli ultimi anni un misero 4 per cento di deficit complessivo. Questi sono stati i “regali alle banche”
La Banca d’Italia sarebbe collusa con le banche private, da cui sarebbe addirittura “di fatto controllata”. Il controllore sarebbe quindi controllato a sua volta da chi dovrebbe vigilare. E’ davvero così? La polemica di Di Battista non è nuova: per anni da deputato aveva denunciato il fatto che secondo lo statuto di Banca d’Italia le 119 quote di partecipazione del capitale – 7 miliardi e mezzo totale – sono distribuite in particolare tra banche e assicurazioni (capofila Intesa Sanpaolo e Unicredit). Ma qui iniziano i problemi, come ha sottolineato Mariasole Lisciandro su Lavoce.info: nello statuto si legge che l’assemblea non ha alcuna ingerenza nell’esercizio delle funzioni pubbliche della Banca e del governatore. L’assemblea invece approva il bilancio di Banca d’Italia, decide sulla ripartizione dell’utile netto e nomina il comitato del consiglio superiore che ha compiti di amministrazione e vigilanza interni alla banca (per esempio l’articolazione territoriale e l’assetto organizzativo generale) ma che non ha alcuna voce in capitolo nell’esercizio delle funzioni pubbliche esterne di Banca d’Italia. Inoltre, come si legge sul sito dell’istituto, le quote superiori al 3 per cento del capitale totale non detengono potere di voto né relativi dividendi. Un limite non rispettato dalle grandi banche a cui Di Battista sembra riferirsi. Per rispondere all’ex deputato cinque stelle potrebbe bastare leggere il primo comma del primo articolo dello statuto della Banca centrale: “la Banca d’Italia è un istituto di diritto pubblico”. Lo statuto continua e al secondo comma troviamo un chiarimento inequivocabile: “Nell’esercizio delle proprie funzioni e nella gestione delle proprie finanze, la Banca e i componenti dei suoi organi operanocon autonomia e indipendenza nel rispetto del principio di trasparenza e non possono sollecitare o accettare istruzioni da altri soggetti pubblici e privati”. Per le funzioni di vigilanza sulle banche e sugli intermediari finanziari italiani e di controllo della stabilità del sistema finanziario dunque i partecipanti al capitale di Banca d’Italia non hanno voce in capitolo. Tanto che la nomina del governatore, ruolo ricoperto oggi da Ignazio Visco, è di nomina del presidente della Repubblica, su proposta del presidente del Consiglio. Il governatore nomina di fatto poi il consiglio direttorio, proponendone i membri al consiglio superiore.
Di Battista purtroppo non fornisce alcuna prova del conflitto di interessi, né indizi. La storia recente del paese tuttavia ci insegna che se c’è un conflitto di interessi nel sistema bancario italiano questo è tra istituti di credito e politica, tra fondazioni bancarie e amministratori locali. L’idea del Movimento 5 stelle di rendere meno indipendente Banca d’Italia e formare una banca pubblica per lo sviluppo non sembra andare nella giusta direzione per trovare soluzione a questa commistione. Anzi.
Ma la narrazione di Alessandro Di Battista non si ferma qui: l’afflato anti establishment colpisce ancora il sistema finanziario quando ripete la bufala secondo cui – addirittura per la prima volta – dal 2019 si distribuiranno risorse alla povera gente piuttosto che al sistema finanziario. Si tratta di un’invenzione già sbugiardata dal Foglio in una precedente verifica di SoundCheck: in realtà negli ultimi cinque anni il Parlamento italiano ha deciso di indebitarsi per quasi 200 miliardi di euro, in gran parte destinati al finanziamento dei provvedimenti dei diversi governi. Decontribuzione sui contratti a tempo indeterminato, taglio dell’imposta sulla casa, reddito di inclusione e tanti altri provvedimenti – criticabili – che sono stati decisi e finanziati. E i soldi alle banche? Nel 2017 gli interventi per consolidare il sistema bancario hanno avuto un effetto di 0,4 punti percentuali sul deficit, facendolo arrivare fino a 2,3. Si tratta di circa 6 miliardi e mezzo di euro, che rappresentano negli ultimi anni un misero 4 per cento di deficit complessivo. Questi sono stati i “regali alle banche”. Ma oltre al dato numerico, c’è un’altra grande contraddizione nella narrazione cinque stelle sulle banche: sono contrari alle operazioni di bail-in, salvataggio interno, perché mettono a repentaglio i risparmi degli obbligazionisti e dei correntisti ma d’altra parte sono contrari anche a interventi finanziari dello stato per la salvaguardia del risparmio e degli istituti bancari. Una contraddizione in termini. Non è un caso che Di Maio non si sia detto preoccupato per l’eventuale crisi delle banche italiane dovuta all’aumento dello spread mentre nel frattempo stanzia 1,5 miliardi di euro per risparmiatori truffati che hanno perso il capitale investito proprio per via di crisi simili.
Il resto del post di Di Battista è una gran confusione. Continua – con toni da meme: “e allora il Pd?” – con una critica all’aumento del debito pubblico nominale sotto i governi Letta, Renzi e Gentiloni, che non sarebbe stato mai denunciato dalla Banca d’Italia. In realtà l’istituto ha sempre sottolineato l’importanza della sua riduzione e già in passato aveva giudicato rischiose alcune previsione nelle note di aggiornamento del Def, troppo ottimistiche: in particolare nel 2016, 2015 e 2014. Inoltre, in realtà, il dato da tenere d’occhio – come sanno tutti – è il rapporto debito/pil. Un indice che è sostanzialmente rimasto fermo poco sopra il 131 per cento dal 2014 in poi. D’altronde se dovessimo osservare il valore nominale per i Cinque stelle sarebbero dolori: l’indebitamento che hanno deciso nell’aggiornamento del Def prevede che il debito aumenti di almeno circa 120 miliardi in tre anni.
Di Battista ci vuole convincere che gli interessi del mercato finanziario sono sempre in contrasto con gli interessi dell’economia reale, anche se di ragioni ne fornisce ben poche. E’ la teoria del complotto, secondo la quale all’alta finanza internazionale non sarebbe gradito questo governo
Il battagliero ex deputato torna poi su un altro argomento caro: il decreto Imu-Bankitalia, che ha rappresentato un punto di svolta nella carriera di Di Battista divenuto celebre per le vigorose proteste contro la gestione dell’aula di Laura Boldrini. Come riportato da Tortuga sul Foglio, il decreto aveva rivisto il capitale della Banca centrale italiana rivalutandolo da 156 mila a 7,5 miliardi di euro. Si trattò tuttavia di una misura prettamente contabile, tramite la trasformazione di parte delle riserve dell’istituto detenute dalle banche partecipanti. Effettivamente ci sono stati dei benefici per questi istituti di credito, per le assicurazioni e le casse previdenziali: prima di tutto hanno goduto di un’accresciuta stabilità di bilancio e in secondo luogo anche dei dividendi pagati da Banca d’Italia. Questo non significa però che lo stato ci abbia perso. Infatti il decreto prevedeva di tassare le plusvalenze prodotte dall’operazione per un importo di 1,5 miliardi nel 2013 e di 2 miliardi nel 2014, risorse incassate una tantum per abolire la seconda rata dell’Imu di quell’anno e coprire parte del bonus 80 euro. Per i dividendi inoltre stiamo comunque parlando di cifre ben diverse rispetto a quelle destinate allo Stato italiano da Banca d’Italia: secondo il bilancio sono stati nel 2017 218 milioni versus 3,36 miliardi di euro, rispettivamente.
Il punto principale della narrazione di Alessandro Di Battista si coglie nel modo più chiaro possibile alla fine del suo post: le banche, non si comprende se Banca d’Italia compresa, sarebbero i “nuovi avvoltoi del secolo”. Di Battista ci vuole convincere che gli interessi del mercato finanziario sono sempre in contrasto con gli interessi dell’economia reale, anche se di ragioni ne fornisce ben poche. E’ la teoria del complotto, secondo la quale all’alta finanza internazionale non sarebbe gradito questo governo. In realtà è molto probabile che l’alta finanza internazionale non lo conosca il governo italiano (Giuseppe Conte è una figura indecifrabile perfino in patria). Ciò che invece probabilmente agita i mercati finanziari è la mancanza di credibilità dell’esecutivo. Alla prima esperienza di governo sono rimaste incerte per mesi le intenzioni sul deficit: ogni giorno un terno al lotto di cifre, tra l’uno e sei e il tre per cento. Poi, quando si è festeggiato dal balcone, si è capito che le idee erano ancora confuse: da una parte si è promesso di ridurre il deficit fino all’1,8 per cento entro il 2021, dall’altra le spese per il reddito di cittadinanza e per quota 100 sono lì per restare, strutturali, e nei prossimi anni la Lega vorrà probabilmente intervenire anche sulle famiglie dal punto di vista fiscale. Il percorso di riduzione del deficit e del debito pubblico non è così credibile come Di Maio e Salvini ritengono, perché le “promesse vanno rispettate”, come ripetono. Ecco il motivo per cui lo spread sale ed ecco perché – in una situazione precaria come questa – sarebbe un disastro una nuova crisi bancaria. In particolare per i cittadini più deboli, il popolo, tanto cari al conquistador Alessandro Di Battista.