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Che fine ha fatto il pericolo fascista?

Lorenzo Borga

Secondo giornali, opinionisti e partiti politici è ancora ben radicato nel nostro paese. Ma dopo il flop alle Europee l'impressione è che si tratti di una scusa di fronte al dilagare di Matteo Salvini, più che di una reale minaccia

Sono passati ormai 74 anni dal suo epilogo storico ma il fascismo sembra ancora ben radicato nel nostro paese, stando a quanto descritto nelle ultime settimane da certi giornali, opinionisti e partiti politici. Alcuni casi hanno contribuito a riaccendere un dibattito mai veramente sopito: prima la possibilità che la casa editrice Altaforte fosse presente al Salone del libro di Torino, poi le proteste da parte degli attivisti di CasaPound per l’assegnazione di una casa popolare a una famiglia di etnia rom, a Casal Bruciato (Roma). “Non rischiamo una deriva fascista, siamo in una deriva fascista”, ha affermato alcuni mesi fa la scrittrice Michela Murgia. Anche secondo alcuni sondaggi l’opposizione al possibile ritorno del fascismo e a chi lo inneggia appare un tema di crescente rilevanza per la maggior parte dell’opinione pubblica. Eppure, a uno sguardo più attento, il fascismo rimane in vita più grazie agli allarmismi di una certa sinistra che non per un reale peso politico e sociale. Era già un sospetto di molti, ma i risultati delle elezioni europee per le due liste dichiaratamente fasciste – CasaPound e Forza Nuova – hanno rafforzato l’ipotesi: l’allarme nero sembra infondato. La prima ha ottenuto 88.724 voti, lo 0,33 per cento, meno del Popolo della famiglia e del Partito animalista, e poco più di un terzo dei consensi del Partito comunista di Marco Rizzo. Forza Nuova addirittura ha preso solo la metà della lista guidata da Simone Di Stefano, poco meno di 41mila voti e lo 0,15 per cento. Peraltro dalle liste neofasciste ci si poteva aspettare un risultato più alto, in occasione delle elezioni europee: l’Unione europea è da anni l’obiettivo principale contro cui scagliarsi, proponendo esplicitamente l’uscita dalla moneta unica e dalle istituzioni comunitarie. Per questo motivo le consultazioni per l’elezione del Parlamento europeo avrebbero potuto essere un catalizzare di mobilitazione per l’elettorato di queste forze politiche. Così non è stato.

 

I risultati appaiono ancora più desolanti se confrontati con i voti ottenuti solo poco più di un anno fa, alle elezioni politiche del 4 marzo 2018. CasaPound ha perso in 14 mesi più di 220mila voti, tantissimi anche tenendo conto del calo dell’affluenza. Forza Nuova, che l’anno scorso si era presentata con la lista “Italia agli italiani” insieme a Fiamma Tricolore, ha raggiunto solo un terzo dei voti. Un tracollo che mal si accompagna con le preoccupazioni che abbiamo ascoltato nelle ultime settimane di campagna elettorale. D’altronde, se è impossibile dimostrare che il ritorno al clima del Ventennio sia reale, è anche complicato smentirlo. Certo è che – per districarsi nella questione – possono essere d’aiuto numeri e dati fino ad ora emersi solo disordinatamente nel dibattito. Informazioni che possono rappresentare non più che indizi – per riconoscere nessi causali servirebbero ben altri strumenti statistici – ma che legati insieme possono fornire importanti nuove evidenze.

 

Dati reali: i voti

Prima di tutto, i dati reali. Il tracollo di voti di CasaPound e Forza Nuova tra il 2018 e il 2019 è ancora più significativo se analizzato a livello locale. Secondo i dati del ministero dell’interno ricostruiti da Il Foglio, la prima è arretrata rispetto all’anno precedente in quasi il 90 per cento dei comuni italiani, lasciando sul terreno in media 0,60 punti percentuali. Il crollo è generalizzato, con sfumature differenti, in tutte le grandi città e anche le roccaforti si sgonfiano: Lamezia Terme (da 658 voti a 61 voti), Latina (da 2028 a 619), Viterbo (da 1497 a 361), Lucca (da 1951 a 348), Bolzano (da 2964 a 666). Stesso destino è spettato a Forza Nuova, che ha visto diminuire i consensi in quasi il 90 per cento dei comuni, per una riduzione media di 4 punti decimali. Bastano questi numeri per affermare che l’allarme fascismo era una narrazione infondata? No. Sono dei sospetti ragionevoli per pensarlo? Sì.

 

Fascisti e “voto utile”

D’altra parte, si potrebbe pensare che il crollo elettorale delle due liste neofasciste possa essere dovuto ad altre ragioni, e non all’assenza del rigurgito fascista in parte dell’opinione pubblica. In effetti si potrebbe argomentare che gli elettori dei partiti neofascisti non hanno cambiato idea, né sono rimasti a casa il giorno delle elezioni: hanno solo cambiato cavallo, prediligendo il voto utile e scegliendo dunque la Lega di Matteo Salvini, oggi al governo. In effetti non sono mancati negli ultimi mesi gli ammiccamenti da parte del vicepremier all’oratoria di Benito Mussolini, e si possono contare sulle dita di una mano le volte in cui il leader della Lega si è dichiarato apertamente “antifascista”.

Può essere che il voto si sia spostato sulla Lega, ma per dimostrare questa ipotesi servirebbe analizzare i flussi elettorali delle ultime elezioni, che non sono stati prodotti per le liste elettorali minori. Qualcosa però lo possiamo dire. Secondo l’istituto di sondaggi Sgw, in occasione delle elezioni europee gli elettori della Lega provenienti da CasaPound e Forza Nuova sono probabilmente aumentati di numero, ma rispetto al totale dell’elettorato leghista hanno perso peso specifico. Infatti, se fino all’anno scorso gli elettori della Lega dichiaratamente di destra rappresentavano più della metà della base del Carroccio, dopo le elezioni raggiungono solo il 27 per cento. A rigor di logica dunque, il leader leghista dovrebbe risultare meno sensibile all’ala estrema della base del partito, se questa ha dimezzato il suo peso relativo. Se quindi una parte dell’elettorato vicino alle tesi neofasciste fosse anche transitato sul cavallo vincente di Salvini, questo non dovrebbe essere più sensibile che in passato alle loro posizioni. Per di più, sono lontani i tempi in cui tra Salvini e CasaPound fu stabilita un’alleanza. Come ha raccontato Davide Maria De Luca su Il Post, in occasione delle precedenti elezioni per il Parlamento europeo Salvini aveva organizzato per la prima volta un’alleanza organica con i movimenti neofascisti, per l’elezione di Mario Borghezio a Bruxelles nel collegio del centro-Italia (e non in Piemonte, dove è nato), e poi per l’organizzazione di alcune manifestazioni nazionali a Roma e un paio di elezioni regionali. Successivamente tuttavia l’accordo naufragò e le due parti tagliarono i contatti.

 

Voglia di autoritarismo

Per delineare con ancora maggiore cura la possibile presenza - o meno - dell’allarme-fascismo, ci vengono in aiuto altri sondaggi, questa volta dell’istituto Demos. L’istituto di Ilvo Diamanti ha tenuto traccia negli anni di alcune tendenze illiberali tra l’opinione pubblica, che potrebbero presagire l’onda nera e la deriva autoritaria paventata da qualcuno. Ad esempio, la possibilità di accettare un regime autoritario alternativo al sistema democratico: nel 2018, secondo il sondaggio, il 67 per cento sosteneva che la democrazia è preferibile a qualsiasi altra forma di governo, un dato in rilevante crescita rispetto al 2017. E ancora: la statistica su chi è convinto che la democrazia possa funzionare anche senza partiti politici è in calo (44 per cento) rispetto alla media degli ultimi anni (49 per cento). Anche la rilevazione sul desiderio del governo di un “uomo forte” (condizione necessaria, ma non sufficiente per il ritorno di un regime fascista) non sembra essere coerente con la crescente percezione di allarmismo: se nel 2016 raggiungeva addirittura il 79 per cento degli intervistati, l’anno successivo si è ridimensionato, convincendo solo i due terzi dei partecipanti al sondaggio.

 

Esposizione mediatica

Le ragioni del calo dei partiti neofascisti potrebbero essere numerose, e non tutte sono rassicuranti, né durature. Analizzando infatti i dati sulla presenza sui media di CasaPound e Forza Nuova, e anche sulla salienza online dei temi legati al fascismo (tramite Google Trends), ci accorgiamo che in effetti lo spazio dedicato dal dibattito ai temi e alle azioni portate avanti dalle liste neofasciste è stato molto maggiore in occasione delle elezioni politiche del 4 marzo 2018, rispetto alla consultazione elettorale del 26 maggio scorso. Il calo elettorale potrebbe dunque essere spiegato in parte dalla minore presenza mediatica. I dati Agcom mostrano che nei telegiornali Rai, Mediaset e La7 il movimento guidato da Simone Di Stefano ha ricevuto il 13 per cento di tempo in meno alle Europee di quest’anno, rispetto alle elezioni politiche del 2018. Forza Nuova invece ha sofferto un calo del 70 per cento. Trattandosi di partiti piccoli e, per quanto longevi, poco conosciuti, l’esposizione mediatica potrebbe aver giocato un ruolo. Tuttavia, come è noto, i voti non si prendono solo andando in televisione. Le variabili possono essere tantissime, e non sempre l’esposizione mediatica va di pari passo al successo elettorale (quante volte avete sentito parlare in televisione un esponente del Partito comunista? Eppure ha più che raddoppiato i suoi voti). L’agenda mediatica ha giocato un ruolo, che potrebbe però essere marginale.

 

La contro-narrazione

L’accusa di tendenze fasciste ai politici di destra – ma anche ai loro elettori – appare, secondo gli indizi raccolti, una scusa di fronte al dilagare di Matteo Salvini, più che una reale minaccia. In soli sei anni si è permesso a un partito fermo al 4 per cento nel 2013 di raggiungere e superare il 30 per cento dei consensi, soprattutto per via della mala gestione (o, per meglio dire, la gestione inesistente) del fenomeno migratorio in anni di governo di centro-sinistra. Esistono, anche nella letteratura accademica, termini specifici per definire fenomeni politici come quello di Salvini: populista, sovranista e talvolta illiberale. Se la sinistra italiana deciderà invece di parlare di ritorno del fascismo, sceglierà di rivolgere il proprio sguardo al passato invece che al futuro. Nel momento di maggiore bisogno.