Esame di lingue agli europarlamentari
A Bruxelles e a Strasburgo ci sono gli interpreti, ma affidarsi solo all’italiano non basta: l’inglese serve nei momenti che precedono votazioni e interventi, quando si prendono le vere decisioni. Ecco promossi e rimandati
Martedì 2 luglio si darà il via alla nuova legislatura del Parlamento europeo, con la prima assemblea per i parlamentari eletti a fine maggio. Per gli europarlamentari riconfermati non sarà una novità, mentre i rappresentanti alla prima esperienza – se hanno già trascorso alcuni giorni a Bruxelles – hanno probabilmente già scoperto come funziona: per incidere e contare qualcosa è necessario conoscere le lingue straniere. Su questo, come se la cavano i 73 – e dopo la Brexit, 76 – eurodeputati italiani? Dopo avere analizzato i profili dei candidati italiani al Parlamento europeo, Il Foglio ha compiuto un’indagine ancora più capillare su chi è stato effettivamente eletto e il risultato è a luci e ombre: poco più di 1 europarlamentare italiano su 3 conosce l’inglese, la lingua più usata tra Bruxelles e Strasburgo, almeno a un livello professionale (C1, per gli standard internazionali). Ovviamente, e questo è l’aspetto più interessante, esistono alcune differenze tra i livelli di conoscenza tra i diversi partiti.
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A cosa servono le lingue straniere
Una delle differenze tra le aule legislative europee e il Parlamento italiano sono le cuffiette per la traduzione simultanea. Agli incontri delle commissioni parlamentari e alle sessioni plenarie ciascuno può parlare nella propria lingua, grazie al lavoro degli interpreti, e i testi ufficiali approvati dal Parlamento vengono tradotti in tutti gli idiomi dell’Unione europea. Ma questi servizi non servono tanto ai parlamentari, quanto a rendere trasparenti i lavori parlamentari ai cittadini e ai giornalisti dei diversi paesi. Infatti, se analizziamo i dati del livello di conoscenza dell’inglese dei parlamentari italiani uscenti che si sono ricandidati e i numeri della loro attività ufficiale (interrogazioni scritte, mozioni e interventi in aula, raccolte da Agi) notiamo l’assenza di correlazioni. Ciò significa che conoscere meglio l’inglese non sembra aumentare la produttività ufficiale degli eurodeputati. Il motivo è presto detto: per queste attività esistono gli interpreti e gli staff, che rendono ininfluente la conoscenza dell’inglese da parte del parlamentare. Ma se invece teniamo conto della presenza in aula, la correlazione con il livello di conoscenza dell’inglese è fortemente positiva: dunque più gli eurodeputati italiani conoscono l’inglese, maggiore sembra essere la loro presenza a Bruxelles e Strasburgo. Probabilmente, il motivo risiede nella maggiore integrazione nella bolla delle istituzioni europee permessa dalla conoscenza delle lingue straniere, che potrebbe spingere gli eurodeputati a dedicare maggiore attenzione e tempo anche alle votazioni in aula. Saper destreggiarsi con l’inglese significa avere la capacità di interagire con i propri colleghi, i burocrati e i lobbisti nei momenti precedenti alle votazioni e agli interventi (invece coperti, appunto, dagli interpreti), quando si prendono le vere decisioni, e reagire in tempo alle bozze dei testi legislativi. Se si dovesse fare affidamento solo sulla propria lingua, un politico troverebbe infatti enormi difficoltà a intervenire in tutte queste fasi che precedono le votazioni finali. Per quanto possano essere abili i suoi assistenti, a Bruxelles e Strasburgo, finirà rapidamente per ritrovarsi marginalizzato. Se molto motivato parteciperà comunque ai lavori del Parlamento, premendo diligentemente il pulsante in aula al momento giusto. Altrimenti ci andrà di rado, come dimostrano i numeri, e alla prima occasione utile lascerà il seggio per tornarsene in Italia a coltivare il proprio consenso e dedicare attenzione ai problemi del proprio collegio elettorale.
1 su 3 sa parlare inglese in modo professionale
Sui 76 europarlamentari italiani, hanno risposto all’indagine del Foglio in 70: tutti gli eletti del Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Fratelli d’Italia, e circa il 90 per cento dei membri di Pd e Lega. Abbiamo raccolto le competenze dichiarate da curriculum reperibili sul sito del ministero dell’Interno e da altre fonti in rete e dai candidati stessi, o dai loro staff. I dati su ciascun europarlamentare sono disponibili sul sito del Foglio. Ovviamente, trattandosi di autodichiarazioni possiamo aspettarci che qualcuno sia stato vago o troppo generoso con sé stesso.
Il 37 per cento degli europarlamentari italiani dichiara di conoscere l’inglese almeno a livello C1, in modo professionale. Di questa percentuale, il 7 per cento raggiunge il C2, cioè il gradino precedente alla conoscenza madrelingua dell’inglese. Sono numeri che possono essere letti sia con ottimismo che con pessimismo, non avendo dei parametri di confronto delle elezioni precedenti e di altri paesi europei. Tuttavia, fa ben sperare comparare questi risultati con quelli relativi ai candidati, raccolti prima delle elezioni del 26 maggio scorso. Allora i candidati che avevano dichiarato di conoscere l’inglese a livello almeno C1 furono il 34 per cento, tre punti in meno. Una differenza non abissale rispetto alle risposte di chi è stato effettivamente eletto, ma comunque da rilevare come segnale positivo. Questo risultato potrebbe essere spiegato da diversi fattori. Prima di tutto, pesano le conoscenze dell’inglese degli europarlamentari rieletti – 16, tra chi ha risposto alle nostre domande – che anche grazie all’esperienza degli ultimi 5 anni presentano dei livelli di conoscenza più elevati rispetto alla media di tutti i candidati. Anche i partiti, soprattutto quelli destinati a entrare nella maggioranza del futuro Europarlamento, potrebbero aver favorito i candidati più esperti nelle indicazioni di voto o nelle scelte del collegio, le cui competenze – anche linguistiche – saranno utili nei momenti di trattativa. Un caso esemplare è quello di Roberto Gualtieri, candidato Pd nel centro Italia e nella scorsa legislatura presidente dell’importantissima commissione per i problemi economici e monetari e classificato tra i parlamentari più influenti di tutta l’assemblea. Gualtieri è arrivato primo dei non eletti nel suo collegio e sarebbe rimasto escluso se il Partito Democratico non avesse deciso di far eleggere Pietro Bartolo – candidato in due collegi, tra cui il centro – nel collegio delle isole, lasciando il posto proprio a Gualtieri.
Appare invece improbabile che la scelta degli elettori sia stata determinante nell’aumentare il livello medio di conoscenza. Le informazioni sulle competenze linguistiche erano infatti spesso impossibili da trovare, se non dopo minuziose ricerche. Eppure, per il Movimento 5 Stelle il voto degli elettori potrebbe aver fatto la differenza. Il movimento di Luigi Di Maio raggiunge il record di parlamentari che parlano almeno inglese C1 (più del 50 per cento) e in questo caso la differenza rispetto alle liste elettorali è enorme: dal 34 per cento di candidati che parlano inglese professionale si è passati appunto a uno su due, dopo le elezioni. Un cambiamento che potrebbe avere molte spiegazioni, tra cui la scelta determinante degli elettori. Il Movimento 5 Stelle infatti, per presentare i propri candidati, è stata l’unica lista ad aver messo a disposizione pubblicamente i curriculum dei propri candidati, evidenziando in particolare il titolo di studio e le lingue conosciute. Data la generale scarsa notorietà dei candidati 5 Stelle, è probabile che gli elettori intenzionati a esprimere anche le preferenze personali abbiano tenuto conto di queste informazioni facilmente reperibili in rete.
Dopo il primo posto del Movimento 5 Stelle, ci sono Partito Democratico (che risultava primo guardando ai candidati) e Lega nei cui gruppi parlamentari il 40 per cento dei rappresentanti detiene un livello di inglese almeno professionale. Mentre Fratelli d’Italia e Forza Italia presentano rispettivamente 3 parlamentari su 6 e 1 parlamentare su 7 con livelli di inglese elevati, ma per via dei numeri ridotti della loro rappresentanza le percentuali sono meno significative.
Se teniamo in considerazione anche il livello di conoscenza inferiore, medio-alto (B2), con cui è possibile interagire con scioltezza senza però comprendere sfumature linguistiche e significati impliciti, la classifica non cambia: nel Movimento 5 Stelle quasi il 90 per cento dei parlamentari raggiunge questa soglia, mentre in Pd, Lega, FdI e Forza Italia ci riesce circa il 70 per cento.
Tutti i nomi più noti hanno risposto alle domande del Foglio. L’attuale presidente del Parlamento, Antonio Tajani, si destreggia nell’inglese (B2) e parla a livello professionale (C1) francese e spagnolo. Silvio Berlusconi invece parla un inglese scarso (A2) mentre se la cava con il francese (B2). Il leghista Antonio Maria Rinaldi garantisce di detenere un livello medio-alto (B2) di inglese, lingua che Carlo Calenda parla in modo professionale, insieme a un livello scolastico di francese. Le informazioni su tutti i parlamentari sono disponibili qui.
Tra i migliori compare, per la Lega, Paolo Borchia che parla quasi quanto un madrelingua l’inglese (C2) e conosce molto bene (C1) francese e spagnolo: ha lavorato proprio al Parlamento europeo dal 2010 ed è coordinatore della Lega nel Mondo. Anche Elisabetta Gualmini, del Pd, dichiara alti livelli: conoscenza professionale dell’inglese e del francese, e un livello scolastico del tedesco, una lingua a molti sconosciuta tra la delegazione italiana. D’altra parte c’è anche chi invece può solo migliorare: la capolista del Movimento 5 Stelle al sud è stata Chiara Maria Gemma, professoressa universitaria di pedagogia, che tuttavia non va oltre la conoscenza base dell’inglese e il francese scolastico. In una situazione simile è Lucia Vuolo, della Lega, che non conosce l’inglese e si ferma al francese base.
Non sono le sole. Sono in molti gli europarlamentari italiani che dichiarano livelli scarsi di conoscenza delle lingue straniere, e che potranno fare la fortuna degli affari per gli insegnanti di lingua a Bruxelles. Speriamo - dopo alcuni mesi di lezione di inglese e francese - anche quella degli interessi italiani in Unione europea. Come è stato promesso a gran voce.