I migranti e il flop dei ricollocamenti in Europa
Su 16.600 sbarcati in Italia e a Malta in un anno, solo 840 sono stati accolti da altri paesi dell’Unione Un risultato frutto di accordi caso per caso: miope aver bocciato la proposta di riforma del trattato di Dublino
Il governo è (quasi) caduto, ma la sua propaganda resterà nella memoria degli elettori. Per mesi il ministro Matteo Salvini, ma anche gli altri membri dell’esecutivo, hanno rivendicato di essere riusciti a coinvolgere altri paesi europei per dividere gli oneri degli arrivi dei migranti sulle nostre coste. In occasione di almeno otto sbarchi sulle coste italiane il nostro Ministero degli esteri si è attivato per richiedere solidarietà ad altri paesi europei, che hanno accettato di ricevere una quota di migranti. Sappiamo che questo metodo diplomatico è stato molto inefficiente, perché richiedeva di ri-contrattare quote di immigrati a ogni sbarco in tempi rapidi per permettere lo sbarco delle imbarcazioni sulle coste italiane (e talvolta maltesi). Sono però sempre mancati dei numeri precisi per valutare veramente la politica del governo italiano. Fino a ora. La pubblicazione di alcuni dati riservati ci dà infatti la possibilità di giudicare questa strategia che ha tenuto banco per più di un anno.
La complicazione degli accordi ad hoc
Alle complicazioni delle attività diplomatiche ad hoc per il completamento degli accordi di redistribuzione volontaria, si sono aggiunte le complicazioni burocratiche per far spostare questi migranti che hanno diritto di avanzare domanda di asilo. Infatti le procedure che dal giugno scorso sono state portate avanti dal nostro governo hanno agito in realtà in deroga rispetto alla regolazione europea, che – con il trattato di Dublino – prevede che i migranti siano accolti e possano fare domanda di asilo nel paese di primo arrivo, cioè l’Italia (e in seconda misura, Malta). Addirittura, in occasione di uno sbarco a Catania della nave Diciotti della guardia costiera italiana, 50 naufraghi avrebbero dovuto essere ospitati dall’Albania. La partecipazione del paese dei Balcani tuttavia provocò ulteriore confusione: l’Albania non è infatti un paese membro dell’Unione europea e dunque i migranti avrebbero potuto rifiutare il trasferimento secondo il “principio di non respingimento”. Anche lo stesso Matteo Salvini si è più volte lamentato della carente attuazione degli accordi informali di redistribuzione: a gennaio, in un tweet, scriveva che meno della metà delle promesse che Germania, Francia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Malta avevano fatto per redistribuire i migranti sbarcati nel luglio precedente erano state effettivamente mantenute. Accordi di natura così informale e poco trasparente possono in effetti essere facilmente aggirati e fallire, in caso di mancato accordo tra le parti su aspetti tecnici e in caso di nuovi sbarchi.
I nuovi numeri
Sono usciti nuovi numeri, dicevamo. Si tratta di statistiche prodotte dalla Commissione europea, che sono rimasti inediti fino a qualche giorno fa. A diffonderli è stato Matteo Villa, ricercatore dell’Ispi ed esperto di migrazioni, sul suo profilo Twitter.
Sui 16.600 migranti sbarcati in Italia (13.580) e a Malta (3.028) tra giugno 2018 e l'inizio di luglio di quest’anno sono stati ricollocati in altri paesi solo in 840. Il numero così basso è frutto soprattutto del fatto che non è possibile aprire casi diplomatici su tutti gli sbarchi, soprattutto quelli che avvengono in autonomia e di cui dunque non si può bloccare l’approdo in attesa degli accordi europei. Purtroppo i dati non dividono i naufraghi che sono stati distribuiti in Europa tra chi è arrivato in Italia o a Malta. Ipotizziamo però, per estremo, che tutti gli 840 migranti redistribuiti fossero giunti in Italia (probabilmente non è così, anzi è possibile che una buona parte siano inizialmente arrivati a La Valletta). Se così fosse, la redistribuzione avrebbe coinvolto circa il 6,2 per cento di quanti sono stati soccorsi dall’Italia. Una percentuale troppo bassa per definirla un successo diplomatico. Poco più di 1 migrante su 20 sarebbe stato accolto da un altro paese europeo dopo essere arrivato in Italia. E, ripetiamolo, si tratta probabilmente di una percentuale approssimata per eccesso.
Ecco, ora è interessante confrontare questo dato – 6,2 per cento – con i numeri del precedente programma di ricollocamento, quello ufficiale della Commissione europea che ha operato tra il 2015 e il 2017. Un programma che i più avevano definito un “fallimento” per i numeri scarsi di immigrati ricollocati da Italia e Grecia nel resto d’Europa. Partiti dall’obiettivo ambizioso di 160mila ricollocamenti, il risultato finale raggiunto alla fine del progetto è stato di poco più di 30mila persone trasferite. Lo scarso risultato è stato dovuto dal ritiro volontario dell’Ungheria dai paesi che avrebbero dovuto beneficiare della redistribuzione e dalla limitazione dei trasferimenti a eritrei, siriani e iracheni (cioè chi aveva buone probabilità di essere riconosciuto come rifugiato). Secondo i dati del ministero dell’Interno, al giugno del 2018 – ultimo mese in cui sono stati pubblicati – i migranti ricollocati dal nostro paese sono stati poco più di 12.700. Tenendo conto di tutti gli sbarchi arrivati nel periodo in cui il programma è rimasto attivo – tra fine settembre 2015 e giugno 2018 (in realtà il programma è ufficialmente terminato qualche mese prima, ma alcuni paesi volenterosi hanno continuato a ospitare i migranti ricollocati) - che sono pari a circa 339mila, la percentuale di immigrati ricollocati grazie al programma ufficiale europeo è stata il 3,7 per cento. Una percentuale bassa, dovuta alle ristrettezze delle regole stabilite a priori e al mancato rispetto degli accordi di alcuni paesi dell’Europa orientale.
Se però il 3,7 rappresentava un fallimento totale, una presa in giro, non si può certo gioire ora per un 6,2 per cento. Un risultato ottenuto per di più con sforzi diplomatici giornalieri e tra mille inefficienze. D’altronde l’attuale strategia italiana si dimostrerebbe assolutamente inefficace nel caso di una ripresa vigorosa dei flussi migratori dalla Libia. Per ottenere il ricollocamento di alcune migliaia di immigrati servirebbe uno sforzo ufficiale e coordinato dell’Unione europea, come esisteva in passato (anche se lacunoso) e non accordi informali caso per caso. La politica di Salvini sulla redistribuzione in Europa dei migranti non si è rivelata quel successo che qualcuno la vorrebbe dipingere. Per di più, se pensiamo al fatto che il governo italiano – insieme a Spagna, Austria e paesi dell’Europa dell’Est - ha bocciato la proposta di riforma del trattato di Dublino, per tenerci gli accordi ad hoc. Una scelta che continua a dimostrare la sua miopia.