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La Bce ha agito bene. E l'inflazione potrebbe essere sul viale del tramonto
Se i prossimi mesi confermassero l’andamento medio dei prezzi verificatosi negli ultimi tredici anni, l’indice dei prezzi al consumo potrebbe scendere sotto l’agognata soglia del 2 per cento di crescita a ottobre
Caro benzina, caro spesa, caro voli, caro ombrellone, caro energia, caro mutui, caro cocomero. Se fossimo già a settembre inoltrato parrebbe di trovarsi alla sagra dei rincari sfogliando i giornali di questa metà di agosto. E il governo, a sua volta, segue a ruota la narrazione allarmistica, sfornando provvedimenti di dubbia efficacia. Prima il prezzo medio regionale da esporre nei distributori di benzina. Poi la lettera di intenti con le associazioni della distribuzione per trovare un accordo entro settembre su una calmierazione volontaria dei prezzi. Infine il decreto che blocca la tariffazione dinamica dei biglietti aerei, finito sotto la lente della Commissione europea a tempo di record.
Ma la realtà dei fatti è che l’inflazione potrebbe in realtà, a meno di shock improvvisi, essere già sulla via del tramonto. In Italia l’indice dei prezzi Ipca cresce del 6,3 per cento, sostanzialmente la metà del picco dei rincari dello scorso autunno. Secondo una nota dell’ufficio studi di Confcommercio, se i prossimi mesi confermassero l’andamento medio dei prezzi verificatosi negli ultimi tredici anni, l’indice dei prezzi al consumo potrebbe perfino scendere sotto l’agognata soglia del 2 per cento di crescita a ottobre. Il dato di ottobre 2023 infatti beneficerà del confronto tendenziale con lo stesso mese dell’anno precedente, quando i prezzi erano cresciuti paurosamente del 3,4 per cento in soli 30 giorni, eguagliando in un colpo solo la variazione complessiva degli ultimi cinque anni.
C’è da scommetterci dunque che tra pochi mesi ascolteremo annunci trionfalistici da parte dei ministri che più attivamente si sono spesi sul dossier prezzi. Adolfo Urso – già autore di numerose giravolte sulla benzina, su cui ha dato prima la colpa prima ai benzinai, poi agli speculatori internazionali, e infine allo alle salatissime accise dello stato, di cui è fiero rappresentante – ha fissato saggiamente l’obiettivo del “4 o 3 per cento” di inflazione per la fine dell’anno. Un risultato a cui l’Italia, come dicevamo, arriverà probabilmente con la guida automatica inserita, senza alcun intervento necessario da parte del governo.
Eppure resta bizzarro che il dibattito pubblico sul rincaro dei prezzi sia stato più vivace nelle ultime settimane che mesi fa, quando l’inflazione galoppava in doppia cifra erodendo potere d’acquisto e risparmi. Alcune ipotesi possono spiegare questo apparente paradosso. Primo, giornali e governo hanno bisogno di riempire il vuoto di agosto per non scomparire dall’attenzione degli italiani con la testa già in spiaggia. Secondo, l’aumento di prezzi e tariffe si è fatto più doloroso mese dopo mese per via dell’erosione dei risparmi delle famiglie, messi da parte durante le lunghe stagioni in lockdown e ormai azzerati per i più. Terzo, ed è questa l’ipotesi più interessante, l’Italia ha dovuto finalmente fare i conti con una dura verità: l’inflazione europea non è frutto esclusivamente del rincaro dei prezzi energetici. Il governo, per bocca dei suoi esponenti più influenti, ha sempre indicato l’energia importata come fonte primaria del rincaro europeo. Lo stesso ha fatto buona parte delle opposizioni, così come delle parti sociali. Quante volte abbiamo ascoltato la frase “l’inflazione europea è diversa da quella americana”, un modo nemmeno troppo velato per criticare l’operato della Banca Centrale Europea, i cui rialzi dei tassi di interesse sarebbero “discutibili” (cit. Meloni) vista la causa esogena all’economia dell’Eurozona.
L’ossessione estiva contro i rincari di prodotti e servizi che – benzina a parte – nulla hanno a che fare con l’energia è un’ammissione nei fatti prima che a parole che la narrazione italiana non ha più fondamento. L’inflazione di base in Eurozona – cioè al netto di energia e alimentari – è ormai più elevata (al 5,5 per cento) dell’indice medio e stabile da diversi mesi: questo è l’indicatore guardato a vista dalla Bce come base per future decisioni. Gli aumenti di prezzo da mesi riguardano in particolare il settore dei servizi, a dimostrazione che l’economia europea è stata contagiata da un’inflazione importata dall’estero che ora si è però annidata nel suo cuore pulsante, da cui viene auto-prodotta e messa in circolo. Fortunatamente, almeno per ora, senza aver posto le basi per la sua sopravvivenza visto che i salari non sono cresciuti in modo significativo.
Ecco perché l’operato della Bce – così aspramente criticato in Italia da politica, industriali e sindacati - appare aver posto un argine fondamentale allo sviluppo dell’infezione dei prezzi nell’economia europea. Senza i suoi dolorosi rialzi dei tassi, le discussioni sui rincari non si fermerebbero a Ferragosto.