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Armare il nuovo bazooka di Draghi? L'Ue potrebbe farcela, e pure l'Italia
Non si tratta solo incrementare gli investimenti, ma di spostarli sui settori più produttivi e rischiosi. Per farlo si potrebbero indirizzare i 1.400 miliardi di euro di risparmi delle famiglie europee verso le aziende più innovative e promettenti: può essere la chiave per raggiungere la cifra indicata dall'ex premier
Del rapporto di Mario Draghi di una frase si è discusso ampiamente: “Per raggiungere gli obiettivi di questo documento, è necessario un aumento degli investimenti annui tra i 750 e gli 800 miliardi”. Tanti soldi, per qualcuno troppi, per rendere realistico il programma dell’ex presidente della Banca centrale europea. D’altronde ad ammettere l’alto grado di ambizione è stato lui stesso, quando ha ricordato che si tratterebbe di un ammontare di investimenti più che doppio rispetto al piano Marshall che ricostruì l’Europa dopo la Seconda guerra mondiale. Anche rispetto al Next Generation Eu si tratta di un’altra scala di cifre: il piano post pandemico da cui arriva il Pnrr punta a spendere gli stessi soldi (solo pubblici, non privati), ma in sei anni e non in uno solo. Eppure tutta questa attenzione sulle cifre del rapporto Draghi è immotivata.
Partiamo dai numeri. Nel 2023 l’intera Unione Europea ha mobilitato investimenti – pubblici e privati – per oltre 3.700 miliardi di euro. Già questo aiuta a mettere in prospettiva le cifre riportate da Draghi. Si tratterebbe di un aumento del 21 per cento: tanto, ma non impossibile. L’Ue ci è già riuscita in passato. Basti pensare che nell’ultimo decennio gli investimenti europei sono cresciuti del 60 per cento in termini nominali. Anche considerando l’inflazione intercorsa dal 2014, l’incremento è stato superiore a quanto richiesto da Draghi. Il suo piano risulta più ambizioso se confrontiamo il rapporto investimenti/pil. Draghi auspica di raggiungere il 27 per cento, dall’odierno 22. L’ultima volta che l’Unione Europea ha raggiunto livelli simili era il 1973: poi iper-inflazione e conti pubblici da mettere sotto controllo imposero una riduzione.
Anche per la stessa Italia l’obiettivo posto da Draghi non è irraggiungibile: nel 2023 gli investimenti, pubblici e privati, sono stati pari a 441 miliardi di euro, in forte crescita dal post Covid in poi. Servirebbero circa un centinaio di miliardi in più a livello nazionale per contribuire al traguardo europeo posto dal rapporto. Sarebbe bastato un superbonus 110 per cento per l’innovazione, invece che sprecare i soldi pubblici per ristrutturare le case degli italiani gratuitamente.
Ma spostiamo l’attenzione dal quanto al cosa. L’Unione Europea non deve solo incrementare gli investimenti, ma spostarli sui settori più produttivi e rischiosi. Il rapporto di Draghi ben evidenzia la carenza di investimenti venture capital in Europa e l’assenza di campioni tecnologici nati nell’ultimo mezzo secolo (mentre negli Usa le prime sei società più grandi quotate in Borsa sono tutte nate dal 1975 in poi). In Europa gli investimenti si concentrano ancora troppo sull’immobiliare e sui settori economici della old economy, come l’Automotive.
Gli europei hanno tutte le armi per farcela. O meglio i soldi: le famiglie europee nel 2022 hanno risparmiato quasi 1.400 miliardi di euro, quelle statunitensi sono riuscite a mettere da parte a malapena poco più della metà. E’ questo il tesoro che l’Europa può far fruttare: indirizzare questi risparmi verso il settore privato europeo, verso le aziende più innovative e promettenti, può essere la chiave per raggiungere la cifra indicata da Draghi. Per farcela servono mercati finanziari più efficienti, integrati, meno frammentati. E anche debiti pubblici meno affamati: in Italia i risparmiatori preferiscono prestare i soldi allo stato – anche grazie a una tassazione di favore sui Btp rispetto a bond e azioni emessi dalle società private – piuttosto che al settore privato.