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Il risveglio di Giorgetti e una manovra che rinasce dalle contraddizioni
Dai "sacrifici” patriottici alla tassa sugli utili: le dichiarazioni del ministro dell'Economia infrangono il velo dell'ipocrisia. Ma l'esigenza di tenere testa al buco miliardario del bilancio italiano incontra il malcontento della maggioranza
Il risveglio è stato brusco. La manovra made-by-Giorgetti ha terremotato la maggioranza e la politica. Quella parola, sacrifici, ha infranto il velo dell’ipocrisia dietro il quale buona parte della politica e del paese stesso si era rifugiato. Solo un ministro prima di Giorgetti l’aveva pronunciata: Elsa Fornero, nel 2010, presentando la legge di stabilità di Mario Monti, in quella conferenza stampa che rimarrà nella storia della Repubblica per non essere riuscita a trattenere le lacrime. La parola che le morì in gola, spezzata dal pianto, era proprio quella: sacrificio.
Le polemiche più fragorose sono arrivate dalla stessa maggioranza. Con un certo imbarazzo: il Consiglio dei ministri aveva approvato appena una settimana prima un documento – il Piano Strutturale di Bilancio – che prevede un taglio all’indebitamento di oltre 10 miliardi all’anno. Il saldo tra quanto lo stato spende e quanto incassa dovrà passare da un buco di oltre 70 miliardi del 2023 a un risparmio annuo di 50 miliardi entro la fine del decennio, al netto del pagamento degli interessi. Tutto questo solo per non far decollare il rapporto debito/pil, che infatti – complici i bonus edilizi – non scenderà significativamente. Chi oggi tra i ministri si oppone ai sacrifici chiesti da Giorgetti, il Psb approvato solo qualche giorno prima lo aveva letto? E se lo aveva letto, lo aveva compreso?
Il ministero dell’Economia ha dovuto reagire alla marea di malcontento della maggioranza. C’è chi ha provato a smentire lo stesso Giorgetti, la cui intervista a Bloomberg era stata registrata precedentemente, il che esclude la possibilità di parole fuori posto o frasi che potevano lasciare spazio a dubbi e interpretazioni deviate. Poi il chiarimento dal ministero: più tasse sulle grandi aziende che sono state favorite da casi fortuiti (aumento dei tassi per le banche, guerra in Ucraina per il settore della difesa), ma nessuna nuova imposta sugli individui.
La stessa ricetta del ministro non è scevra da ipocrisie. Giorgetti tra le categorie chiamate a compiere sacrifici patriottici ha citato anche i lavoratori autonomi, che dovranno rendere più realistiche le proprie dichiarazioni fiscali se vorranno aderire al concordato preventivo. Ma non dimentichiamoci che chi aderirà al concordato potrà mettersi al riparo da qualsiasi contestazione e controllo fiscale sulle proprie dichiarazioni tra il 2018 e il 2022, potendo far emergere i redditi evasi e contando su una tassazione di estremo favore, senza pagare alcuna sanzione.
Seconda contraddizione: un contributo ad hoc da chiedere al settore della difesa appare in contraddizione con l’ambizione europea di rinforzare le proprie forze armate riducendo allo stesso tempo la dipendenza industriale. Nel primo anno di guerra quasi il 70 per cento degli ordini bellici sono stati soddisfatti da paesi extra-Ue. Con una tassa aggiuntiva sugli utili, il settore della difesa europea - già immaturo e meno efficiente rispetto a quello americano - farebbe ancora più fatica a scalare e portare a una riduzione della frammentazione dei sistemi d’arma che caratterizza gli eserciti europei.
Ma il risveglio era inevitabile. L’Italia non può restare immune al contenimento dei debiti pubblici esplosi durante la pandemia: in Francia il nuovo Governo ha appena annunciato un piano di rientro da oltre 50 miliardi, nel Regno Unito il governo laburista appena arrivato al potere ha denunciato un “buco di bilancio” da decine di miliardi di sterline. In Germania la maggioranza-a-semaforo non smette di litigare su come contenere le spese, ingarbugliata su sé stessa per il rispetto delle rigide regole fiscali tedesche. E ora, dopo il risveglio, è il momento della mutazione: il centrodestra eletto con un programma elettorale costosissimo si troverà a dover firmare la legge di bilancio più restrittiva dell’ultimo decennio.