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Non è solo questione di sicurezza nazionale. L'impatto nascosto di TikTok sulla salute mentale della gen Z
L’uso compulsivo del social cinese accresce ansia, depressione e isolamento nei giovani. Dati e denunce
TikTok fa tremare la sicurezza nazionale negli Stati Uniti. Il social network controllato dalla cinese ByteDance è stato messo nel mirino ormai cinque anni fa: inizialmente dal presidente Trump, poi dall’amministrazione Biden e infine con una legge bipartisan votata dal Congresso. Di TikTok non ci si può fidare, secondo gli americani: i contenuti vengono selezionati da un algoritmo sviluppato in Cina, che in passato ha censurato informazioni sgradite al Partito Comunista, e lo stesso governo cinese mantiene il controllo – indiretto – dell’uno per cento delle azioni dell’azienda, di cui nomina anche un membro del board.
Ma c’è qualcosa di ancora più allarmante dei timori per l’influenza cinese sui contenuti e per il controllo dei dati degli utenti. Accuse preoccupanti, ma che non sono mai state provate fino in fondo. Ciò che invece è stato dimostrato è l’impatto di TikTok sulla salute mentale di molti suoi utenti. In particolare sui minori. C’è notevole evidenza scientifica su quanto i social network contribuiscano al crescente disagio provato dai membri della Generazione Z, cioè convenzionalmente chi è nato tra il 1997 e il 2021. I teenager americani che si dicono depressi sono oggi oltre il doppio di quanti erano nel 2010. Lo stesso incremento è avvenuto per i 18-25enni che sostengono di provare elevati livelli di ansia. Fino ad arrivare ai comportamenti più allarmanti, e fortunatamente più marginali nei numeri, ma non nella gravità: negli Stati Uniti gli accessi al pronto soccorso per atti autolesionistici e i tassi di suicidio dei pre-adolescenti sono più che raddoppiati rispetto agli anni dieci del nuovo millennio.
Un’epidemia di disturbi mentali che si è sviluppata in contemporanea con l’ascesa di social network sempre più invasivi e con l’adozione di massa degli smartphone. Oggi il 95 per cento dei teenager americani (13-17 anni) ha uno smartphone, e la metà di loro sostiene di essere online “quasi in continuazione” durante il giorno (nella maggior parte dei casi proprio su TikTok). Il 51% usa i social network (YouTube compreso) per oltre quattro ore al giorno. I dati rimangono elevatissimi anche se scendiamo di età: la metà dei giovanissimi tra i 10 e 12 anni usa app di social media negli Stati Uniti, e perfino il 32 per cento dei bambini tra i 7 e i 9 anni.
Lo psicologo sociale Jonathan Haidt nel suo saggio “La generazione ansiosa” ha raccolto la crescente evidenza scientifica che individua nelle piattaforme – assieme all’eccessiva sorveglianza degli adulti sul gioco e il tempo libero dei figli – la causa dello tsunami. Deprivazione sociale, privazione del sonno, frammentazione dell’attenzione e dipendenza sono i quattro ingredienti dell’esperimento dell’infanzia passata sugli schermi condotto sulla pelle della Gen Z. E fra tutte le piattaforme è probabilmente TikTok quella più dannosa: con il suo feed infinito e privo delle connessioni sociali derivanti dal mondo reale che ancora rimanevano sulle altre piattaforme, crea una assuefazione negli utenti grazie al rilascio continuo di dopamina, video dopo video.
Che esista un nesso di causalità tra l’utilizzo compulsivo dei social network e l’accrescere dei fenomeni di ansia e depressione lo sostengono gli stessi sviluppatori delle piattaforme. Dai documenti interni di TikTok pubblicati grazie alla denuncia di 14 Stati americani, sappiamo che la società stessa è consapevole che “l’uso compulsivo è correlato con la perdita di capacità analitiche, lo sviluppo della memoria, la profondità di conversazione, l’empatia e con l’incremento dell’ansia”. I manager conoscevano gli effetti deleteri sull’autostima delle teenager causati dai filtri che fanno apparire gli utenti più magri, gli occhi più grandi e le labbra più carnose (eliminati perfino da Instagram). E dalle carte ottenute si scopre che le contromisure, come l’opzione per i genitori di limitare il tempo di utilizzo dei figli, non hanno avuto quasi alcun impatto sullo screen time dei giovani. Ma secondo un project manager di TikTok “il nostro obiettivo non è ridurre l’utilizzo” bensì “migliorare l’immagine percepita” dall’opinione pubblica sulla piattaforma.
È per queste ragioni che l’Australia ha deciso il divieto di utilizzo per i giovani con meno di 16 anni delle piattaforme social, con una serie di difficoltà pratiche ancora da risolvere. Un’alternativa alla via americana centrata sull’egemonia sul controllo dei dati e sullo spauracchio cinese, piuttosto che sulla salute mentale degli utenti. Nessuno meglio di un alto dirigente anonimo di TikTok ha spiegato l’urgenza del modello australiano: “dobbiamo essere coscienti” – ha scritto in un’email rivelata dalle inchieste – “delle conseguenze del nostro successo: cioè cosa si stanno perdendo i giovani quando usano la nostra piattaforma. E intendo letteralmente dormire, muoversi nella stanza, guardare qualcuno negli occhi”.