Capitali cinesi per Saudi Aramco: Pechino alla silenziosa conquista del Medio Oriente
L'acquisto del 5% della compagnia petrolifera saudita potrebbe costituire un passo importante per l'entrata della Cina nei giochi mediorientali
Sono tempi turbolenti alla corte di Riyadh. Delle cause abbiamo parlato nel dettaglio in precedenza, e le ultime settimane non sembrano aver cambiato la situazione; anzi. Nonostante le acque sembrassero calmarsi dopo il teso passaggio di potere tra il precedente erede designato, Mohamed Bin Nayef, e l’attuale, il 32enne Mohamed Bin Salman, per il giovane principe i guai non paiono esaurirsi. A perseguitarlo c’è prima di tutto il sanguinoso stallo yemenita, una guerra iniziata in fretta e furia con baldanzose certezze di vittoria e trasformatasi un pantano militare e politico apparentemente irrisolvibile e, soprattutto, nella più grave emergenza umanitaria di oggi, come l’ha definita il New York Times.
Sulla guerra in Yemen Bin Salman aveva scommesso molto del suo capitale politico. Ma a preoccuparlo c’è ora anche l’altra grande scommessa su cui ha costruito la sua ascesa al potere: il programma di riforme economiche Vision 2030. Perno dell’ambizioso piano, infatti, è la vendita del 5% di Saudi Aramco, la compagnia petrolifera nazionale, programmata per la prima metà del 2018. Nei piani sauditi la vendita dovrebbe portare nelle casse dello stato, spossate dai bassi prezzi del greggio e dall’allergia dei sudditi a qualunque austerità dopo decenni di bonanza, abbastanza denari per poter effettivamente attuare il programma di riforme e di diversificazione economica. Perché la vendita centri l’obbiettivo, però, non è solo necessario che ci siano abbastanza compratori. Ma che questi siano disposti ad accettare una quotazione piuttosto alta, 2 trilioni di dollari, per una compagnia le cui effettive riserve rimangono un mistero e che rimarrebbe comunque per il 95%, sotto il controllo dello stato saudita, delle turbolenze della sua casa reale, e delle smanie dei suoi sudditi per nuova spesa pubblica. Gli analisti cominciano così ad apparire scettici che si riesca a convergere su una quotazione che soddisfi le ambizioni del giovane principe.
A venire in suo aiuto potrebbe essere però un attore insospettato, finora poco considerato nelle discussioni su quella che si annuncia la IPO più importante del decennio: la Cina. L’interesse cinese per adesso appartiene solo ai rumor di palazzo, riportati da Nick Butler sul Financial Times, ma appare sorretto da una innegabile razionalità. Pechino è già di fatto il driver principale della domanda mondiale, e lo diventerà ancora di più negli anni a venire, in concomitanza con la significativa diminuzione della propria produzione interna. Aramco ha inoltre investito molto in Cina negli anni passati, soprattutto in impianti di raffinazione, spesso in partnership con compagnie cinesi. Per sostenere il suo presente e futuro sviluppo economico, Pechino ha insomma tutto l’interesse a entrare con una quota significativa nel board della più grande compagnia petrolifera del mondo. E per farlo potrebbe anche accettare di venire incontro ai desiderata dell’ambizioso erede al trono, pagando un prezzo superiore alle stime di mercato.
Ma l’entrata in grande stile della Cina nel cuore più vitale del regno saudita ha anche risvolti geopolitici importanti nel lungo termine. Oltre un anno fa su questo giornale si era parlato di come la Cina, ancor più di Russia e Stati Uniti, abbia sia l’interesse sia i mezzi per poter diventare un player fondamentale per la regione mediorientale. Pechino ha già oggi importanti interessi in Iran, sviluppati soprattutto durante gli anni delle sanzioni per il programma nucleare, e sembra ora pronta a entrare da protagonista dell’enorme business della ricostruzione siriana, potenzialmente in grado di plasmare anche gli sviluppi politici del paese. Presto per dire se il dragone cinese possa diventare un fattore di stabilizzazione o un nuovo elemento di caos per la regione; quel che colpisce è però la capacità di riuscirci rimanendo sempre dietro le quinte. Almeno per ora.
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