Smalling piange dopo il suo gol nel derby al Manchester City: negli spogliatoi dovrà festeggiare in modo politicamente corretto con Mata, che infatti già ride (foto LaPresse)

C'è derby e derby

Jack O'Malley
A Manchester spettacolo, gol e scivolate su Twitter. A Milano le uova di Medel e l’Expo. Molto meglio gli spruzzi di Hamilton. Quel genio di Eric Cantona: “Nessuno deve insegnarmi come comportarmi"

Londra. Mi ero finalmente ripreso dalla sbronza colossale che mi ha impedito di scrivere le mie nefandezze calcistiche ieri (avevo scommesso con amici di bere un sorso di whiskey per ogni cazzata detta o fatta da Balotelli negli ultimi due mesi: alla terza bottiglia sono crollato), quando ho dovuto subito rimettere mano alla bottiglia per brindare a quel genio di Eric Cantona. L’ex fenomeno del Manchester United è a Shangai per i Laureus Sports Awards (che non so cosa siano, e non voglio saperlo), e si è presentato in conferenza stampa con una meravigliosa coppola grigia in testa e la camicia aperta fino al pube. Lì ha snocciolato una perla via l’altra, l’opposto di qualunque conferenza stampa media di qualunque giocatore e allenatore del mondo. A partire dal ricordo del suo calcio volante a un tifoso del Crystal Palace. A chi sperava di farne un santino per le nuove generazioni, un’icona del pentimento che spiega ai giovani non-fate-come-me-io-sono-cattivo, Cantona ha tirato un’altra piedata in faccia: “Nessuno deve insegnarmi come comportarmi. Guardandomi, chiunque può capire che si possono fare cose buone e cose cattive: io ho fatto cose buone di cui sono orgoglioso, e cose cattive di cui non mi pento, perché sono la mia vita”. Sottotesto: “Smettetela di rompermi le palle chiedendomi sempre le stesse cose, non vi darò mai la soddisfazione di rispondervi come vorreste”. Il problema sono infatti i giornalisti, che fanno sempre le stesse domande: Messi o Ronaldo? Cantona finta, come un tempo, e la piazza lì: “Pastore. Fa cose che non ho visto fare a nessuno”. Come dargli torto: Pastore gioca in Francia,  chi lo ha mai visto?

 

 


Leggete questo articolo donando alla vostra ragazza


 

Abbiocco e sessismo. Confesso di apprezzare la Formula 1 quasi solo per le grandi dormite postprandiali che mi permettono di fare in assenza di partite di calcio. Sport prettamente maschile, la Formula 1 da sempre è garanzia di grandi quantità di gnocca dalle parti di paddock, pista e podio. Dopo l’ultimo Gran Premio Lewis Hamilton ha lavato con lo champagne una delle hostess accanto al podio durante la premiazione. Normale amministrazione, ho pensato io. “Sessismo!”, hanno invece gridato i responsabili di non so più quale associazione che tutela le donne. Sessismo? A quanto pare sì, poiché Hamilton non avrebbe chiesto alla ragazza il permesso di bagnarla. Curioso che succeda in uno sport in cui la donna sta ai Gran Premi come YouPorn all’adolescenza.

 

Carta igienica. Pensavo che il derby di Milano fosse triste principalmente per ragioni di classifica, di gioco, di ammorbamento collettivo che le due squadre sono in grado di produrre, roba che al massimo va bene per un padiglione dell’Expo. E mi sembrano tendenzialmente buone ragioni. Poi leggo l’intervista a Gary Medel – uno che prima di arrivare all’Inter giocava nel Cardiff City, e mi fermo qui, ma soltanto per rispetto verso Ryan Giggs – e capisco che si tratta invece di una decadenza culturale complessiva, niente di meramente tecnico. Il Medel dice, e così viene riportato dai giornali italiani, che per vincere servono “huevos”, ennesima idiozia castigliana del genere “triplete” o “falso nueve” di cui i giornalisti di casa vostra s’imbottiscono per far sentire il respiro internazionale, e al di là della forma linguistica è proprio il format che non funziona. C’è il derby di Milano alle porte e quello che dà la carica è Medel? Nel tentativo (riuscito) di peggiorare la situazione, ha fatto anche un paragone che dovrebbe essere proibito dalla Uefa (non succederà, Platini è sempre troppo impegnato a scrivere libri, a inventare nuove regole, a mangiare): quello con il calcio sudamericano: “Ho giocato il derby di Buenos Aires con il Boca, uno dei più sentiti del mondo, quindi so cosa vuol dire giocare questo tipo di partite”. Ha giocato il derby di Buenos Aires, capito? Quello dove per la prima mezz’ora tirano carta igienica e per il resto i giocatori portano la palla verso la bandierina del calcio d’angolo. Quello dove novanta volte su cento scatta una rissa con calci volanti, genere baruffa di periferia con gente molto tatuata che minaccia le famiglie altrui. Servono “huevos”, dice lui, ma io le uova me le mangio a colazione.

 

 

Holly Peers (ma qualcuno la chiama Pears) cerca una posizione comoda per gustarsi il derby di Manchester, la sua città natale. Lei fa il tifo per il City, come si può notare dal colore dello smalto sulle unghie dei piedi, certamente il primo particolare che avrete osservato.

 

Ave Di Maria. Ma dobbiamo ancora fare i corsi sull’uso di Twitter durante gli eventi sportivi? Ricordarci che ride bene chi eccetera e altre cose che la nonna di chiunque diceva già quando di Twitter non si sentiva alcun bisogno? Dobbiamo ripeterci ancora che – parafrasi boskoviana – la partita finisce quando l’arbitro fischia tre volte? Non dovremmo, ma Balotelli ci costringe, piazzando il classico cinguettio sbruffone quando il City passa in vantaggio e sobriamente invitando l’Old Trafford a “stand up and shut up”. Solo che quello zittito a fine partita è lui, assieme ai suoi amici citizen che ne prendono quattro, meritandosele tutte. A parziale discolpa dell’attaccante che fa sembrare Coutinho un fenomeno (mica facile) va detto che per il primo quarto d’ora sembrava che la squadra di Pellegrini avrebbe devastato i Red Devils con una pioggia di passaggi filtranti davanti al portiere, invece le cose si son messe tutte al contrario. Probabilmente approfittando dell’assenza di Di Maria, diventato giustamente un talismano da panchina (pare si sieda sempre nello stesso posto, forse lo lasciano lì anche durante gli allenamenti) lo United lotta, gioca, e tutta la mentalità che gira dalla parte giusta è nella parabola di Fellaini, che sbaglia sette appoggi e poi improvvisamente prende in mano la squadra, facendo scomparire Yaya Touré (mica facile). E’ la gran vittoria di Van Gaal, la dimostrazione vivente che i discorsi di Bielsa stile ogni maledetta domenica servono sì e no per fare qualche clic. Tanto poi le prende dal Bordeaux.

Di più su questi argomenti: