Al Giro la fuga questa volta è di Zakarin. I tifosi di Porte rubano la Coppa Italia

Giovanni Battistuzzi

Il russo della Katusha vince sul traguardo dove nel 1968 Vittorio Adorni vinse il Mondiale con un'azione solitaria di quasi 30 chilometri. E' il suo primo successo nella corsa. Gruppo a oltre un minuto, Uran cade, ma recupera, Contador sempre in maglia rosa. Non cambia molto nella classifica generale.

La tappa: Forlì-Imola, 147 km – E’ un Giro di battitori liberi, una corsa senza un controllore. A Imola è il turno di Il’nur Zakarin, 25 anni, speranza della Russia a pedali nelle grandi corse a tappe, un presente niente male somma del primo successo al Giro e di un Romandia conquistato poche settimane fa. Oggi il russo è partito a quasi 30 chilometri dal traguardo, sulla salita dei Tre Monti, quando gli attaccanti sembravano spacciati, ha vinto, solo, braccia alzate sotto il traguardo.

 

Tappa breve, un saliscendi continuo dove la pianura è sconosciuta, in più la pioggia a rendere ancor più difficili i chilometri. Ancora una fuga a partire, prendere spazio ma non troppo all’inizio, conservarlo per cento chilometri, rendere arduo il rientro del gruppo. Davanti tante facce note, i soliti avanguardisti, Kruijswijk, Betancur, Intxausti, Pellizzotti, Hesjedal, dietro l’inseguimento ancora vano dei gregari degli uomini di classifica. Dietro al vincitore ci sono loro, il gruppo ancor più staccato, distratto, in attesa della salita finale di domani e delle fatiche del fine settimana, dove la lotta per la maglia rosa distribuirà i primi verdetti definitivi.

 

L’altro Giro di Milani


 

Alcuni tifosi di Ritchie Porte stamattina, per protestare contro la decisione della giuria di corsa, sono entrati negli uffici del Coni e hanno ciurlato la Coppa Italia. Subito è stata fatta una copia per cui stasera la partita verrà disputata lo stesso. I motivi del trafugamento sono vari, ma tra questi c’è sicuramente la protesta contro l’approvazione della riforma della scuola. Almeno così dicono.

 

Dispiace dirlo, ma Ritchie Porte non ha veramente forato. Si è fermato per rincontrare il grande amore della sua vita. Non la vedeva dal 1995. Adesso è la fidanzata di Malaguti, che tra l’altro tutti sanno sarà il futuro vincitore della corsa. La presenza dell’ex grande amore della vita di Porte è frutto dell’accordo Contador-Aru. E’ anche per questo che i tifosi dell’australiano hanno trafugato la coppa.


 

 

Amarcord – Imola è Emilia, almeno territorialmente, ma Romagna per cultura e tradizioni. Imola è due ruote, ma a motore, perché c’è il circuito, perché in Romagna è così che va, le due ruote sono moto, la passione vera è quella, le biciclette sono movimento quotidiano, cittadino, l’amore è altrove. Imola è ciclismo, anche, Coppa Placci soprattutto, gara storica, prima edizione nel 1922, ma dimenticata, prima, sparita poi, dal 2010. Imola è stato Giro due volte, nel 1968 sprint di Pierino Baffi e nel 1992 fuga di Roberto Pagnin, ma soprattutto Mondiale, anno 1968, vincitore nostrano, Vittorio Adorni.

 

Oggi come ieri. Il percorso finale è pressoché lo stesso di quello iridato, striscione d’arrivo nell’autodromo Enzo e Dino Ferrari e la salita dei Tre Monti in mezzo a fare selezione. Ascesa prima, discesa poi, andata e ritorno verso la periferia della città.

 

[**Video_box_2**]Adorni quel giorno il Tre Morti lo domò 18 volte, al quarto passaggio era già in fuga, con lui altri sette Stevens, Agostinho, Lewis, Spuhler, Castello, Carletto e Van Looy, dietro i grandi favoriti, Gimondi e Merckx, Altig e Anquetil, staccati: gli italiani a proteggere la fuga di Adorni e Carletto, i belgi, loro malgrado a proteggere Van Looy, con Merckx impossibilitato a scattare, i francesi e i tedeschi a litigare su chi dovesse andare in testa a tirare. La fuga va, incrementa vantaggio e supera i sette minuti a metà gara. Quando mancano un centinaio di chilometri all’arrivo il gruppo recupera trascinato dai francesi, davanti perdono entusiasmo, la velocità cala, il ricongiungimento sembra prossimo. Il vantaggio scende sotto i 4 minuti, Adorni chiede a tutti di tirare, ma non ottiene risposta, aspetta il tratto più duro della salita e lì scatta. Mancano 90 chilometri all'arrivo. Adorni va da solo, se ne frega della strada mancante, della salita, della solitudine. Si sdraia sulla bici e mulina il rapporto. Fa il vuoto. Si sciroppa oltre tre ore di chilometri solitari. Trionfa con 9’50” sul secondo, il belga Herman Van Springel, e l’italiano Michele Dancelli, terzo al traguardo a 10’18”. Quarto è Franco Bitossi, quinto Vito Taccone, sesto Felice Gimondi a completare quello straordinario 1° settembre imolese.

 

Quell’impresa cancellerà la beffa mondiale di quattro anni prima quando Vittorio si fece sorpassare dal danese Jan Janssen a pochissimi metri dal traguardo e lo renderà celebre in tutta la penisola, aprendogli le porte della televisione. Adorni è il primo corridore a diventare presentatore – nel 1969 conduce con Liana Orfei il telequiz “Ciao mamma” sulla seconda rete –, trasformandosi poi in seconda voce della telecronaca del Giro d’Italia, inventandosi così il ruolo di commentatore tecnico. Il parmense è spigliato, simpatico, competente, parla bene e davanti alle telecamere è a suo agio, cosa non comune in un ambiente di fatica e poche parole. La bici la lascia nel 1970 dopo un Giro d’Italia (1965) e un Mondiale vinto e una quantità di piazzamenti incredibili. Forte, fortissimo, un campione che ha avuto solo la sfortuna di correre tra due epoche di fenomeni assoluti, prima quella di Anquetil, in seguito quella di Merckx e Gimondi.

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