Non sarebbe bello se il calcio, sul coming out, dicesse di no al pol. corr.?
Non solo la giornata internazionale contro l’omofobia. Non solo gli appelli di Sergio Mattarella contro la discriminazione. Non solo la moda dei lacci arcobaleno per scarpini. Ora vogliono che la luce fredda della trasparenza penetri l’ultimo luogo inviolato del calcio: lo spogliatoio. Proprio lì dove telecamere e microfoni sono ammessi solo per pochi secondi e quando non c’è nulla da vedere né da sentire e da dove escono indiscrezioni, vaghi malumori o grida di gioia. La nuova ideologia vuole che il calciatore omosessuale faccia coming out in nome della libertà di genere e della difesa dei diritti gay: è il codicillo rosa di “Codice rosso”, trasmissione ad alto contenuto pedagogico che Gianluca Vialli conduce su Sky. Nell’ultima puntata abbiamo avuto modo di vedere un armadio di portiere dalla mascella molto quadrata irridere un avversario mingherlino titillandosi con l’indice il lobo auricolare come un qualsiasi coatto di periferia. Di sentire Thomas Hitzlsperger, nazionale tedesco, l’ultimo a dichiararsi l’anno scorso. Di ripercorrere la vita di colui che fu il primo al mondo, Justin Fashanu, talentuoso colored del Nottingham Forrest, che da allora non trovò più pace, vagò per anni da un club all’altro, finché solo e stremato dall’accusa infondata di aver stuprato un minore, si impiccò nel 1998.
I tempi però sono cambiati. Non ci sono gli allenatori della preistoria, i Brian Clough che rimase così infastidito dalle frequentazioni del suo talentino da mettergli la reprimenda in forma di filastrocca, se hai bisogno del pane dove vai? e se hai bisogno di carne dove vai? E allora dimmi perché frequenti quei fottutissimi locali per froci?
Oggi gli omosessuali hanno vinto l’essenziale delle loro battaglie, sono potenti, hanno diritti, Elton John e marito sfornano bambini, il premier di un paese europeo si è appena sposato in letizia con il suo compagno. Non sarebbe male se per una volta il calcio dicesse di no al fascino ipocrita di tutto ciò che è buono, bello, si porta e passa per essere politicamente a modo.
Non certo per acquiescenza verso un mondo che si pensa stupidamente maschio, le intemperanze di un Cassano o gli ammiccamenti di un Ferrero sono minoranza. Ci sono omosessuali dichiarati in ogni sport, nel tennis, nel nuoto, nel basket, in quelli per uomini più duri di quanto possano essere i calciatori, come il rugby o il football americano. E ce ne sono anche nel calcio, voci quanto meno. Il talentuoso centrocampista che fu venduto sbrigativamente dai suoi club prestigiosi perché sotto la doccia pare che lanciasse sguardi obliqui e magari accennasse a palpeggiamenti. Giochi di stanza di giocatori rivelatisi decisivi per i destini della nazionale. Voci appunto. Chiedere a Cecchi Paone, tempo fa disse di conoscerne molti con le sue stesse inclinazioni sessuali, ma forse fu pura millanteria.
[**Video_box_2**]A noi, non frega niente. Ci piacciono ancora avvolti nel mistero la notte, e amarli per quello che fanno di giorno. Nonostante la moltiplicazione del muscolo e del testosterone degli ultimi anni, nonostante ci sia sempre contatto e scontro fisico, il calcio non è gioco maschio: è sempre sostanzialmente femmina. E’ balletto, movenza felina, eleganza, astuzia, grazia, non si spiana l’avversario, lo si umilia incartandolo, fottendolo proprio come farebbe una donna. L’ariete che sfonda la rete può far godere qualcuno e magari viene pure comodo, ma non farà mai sognare, non sarà mai un mito, tant’è che oggi celebriamo una pulce. Per dirla con lo striscione geniale visto all’Olimpico, “siamo tutti froci di Totti”.
E’ proprio per questo femminino regale che perdoniamo tutto, i saponi e le lozioni, i profumi, i gel e i tatuaggi, le acconciature e i vestiti, le veline e le stelline, anche quelle talmente finte che sembrano vere.
Prima di volere la prova di coraggio di una dichiarazione che è superflua e ormai inutile alla stessa causa che intenderebbe servire, è bene rieducare, e a randellate, la minoranza trinariciuta del tifo, quei refrattari che credono che lesbica sia un insulto.
Se l’Istat dice che il 2 per cento della popolazione italiana è omosessuale (ma davvero sono così pochi?), c’è chi fa di conto e deduce che nelle società di serie A ce ne dovrebbero essere almeno diciassette, roba da chiodi. Che a nessuno venga mai in mente di aprire bocca: muti, per favore. Come dice l’immenso Boban, “non ci sono omosessuali nel calcio, se non lo dicono loro perché dovremmo dirlo noi?”.