Nel giorno di re Contador vince Keisse. Cosa c'entrano i barbieri di Milano con il Giro?
La tappa: Torino-Milano, 178 km – Brindisi alla partenza, bollicine per la maglia rosa, Alberto Contador, per la maglia bianca, Fabio Aru, secondo, per il terzo, Mikel Landa, per i gregari che li hanno scortati lungo 21 tappe e 3.481,8 chilometri. Il gruppo festeggia, al mattino, poi la tappa inizia ed è gara vera. L’ultima giornata del Giro d’Italia, quella che doveva essere l’ultima occasione per i velocisti rimasti in gruppo, si è trasformata in un’altra beffa per le ruote veloci. Oggi come a Forlì il gruppo non è riuscito a recuperare la fuga, oggi come a Forlì gli avanguardisti hanno corso intelligentemente, gestito il vantaggio, sfruttato il tracciato pieno di curve nel finale, preceduto lo sprint finale. Vince Iljo Keisse, 33 anni belga, corridore più da pista che da strada, uomo da fatica per altri, da chilometri in testa per lanciare sprint altrui. Davanti a tutta per un centinaio di chilometri, davanti a tutti alla fine, con un altro uomo da fatica e da pista, Luke Durbridge, campione mondiale nell’inseguimento a squadre ad Apeldoorn nel 2011. Dietro le loro spalle il gruppo, lo sprint, quello che doveva decretare l’ultimo vincitore di tappa del Giro, ma che ha deciso solo il terzo posto. In una corsa così, con un percorso così, con un atteggiamento così, forse non poteva che finire così, con un’altra sorpresa, l’ennesima di queste tre settimane.
L’altro Giro di Maurizio Milani
Ieri sono andato a ritirare il “Trofeo senza fine”, la bellissima coppa che viene data al vincitore del Giro. L’artigiano che l’ha fatta va in pensione oggi. Sino a ieri il trofeo è stato esposto nella vetrina della bottega di un barbiere di Corso XXII marzo a Milano. Il barbiere è un cinese di 18 anni, li compie oggi. In vetrina la coppa è stata molto ammirata e proprio per questo il barbiere aveva messo un vetro corazzato per non farsela ciulare, cosa tra l’altro già accaduta (il trofeo è stato ritrovato abbandonato in un comune in odore di mafia, anche se non credo ci fosse la mafia in mezzo, anche perché la mafia non ha rivendicato il furbo.
La pratica dell’esposizione di trofei è molto antica. Fino al 2009 nei 10.500 negozi di barbiere di Milano c’erano esposti tonnellate di trofei-targhe-coppe-medaglie-diplomi di taglio basette. Ogni barbiere aveva in media sulle mensole del negozio 10 coppe. Questa bellissima tradizione con l’avvento dei parrucchieri cinesi (e giapponesi) è però scomparsa, infatti in un negozio di barbieri cinesi non c’è attaccato niente al muro. E’ proprio per questo che c’è bisogno di un ritorno dell’antica tradizione di parrucchieri lombardi. Detto questo, già che c’ero mi sono fatto comunque tagliare i capelli: il barbiere cinese era simpatico e tesserato Uil, che è anche il mio sindacato e quello di tutti i corridori.
Sul podio si sono ritrovati oggi dopo 21 tappe di lotta vera, dura. Colpi di scena, cadute, attacchi, scatti e controscatti, vittorie e crisi. Primo Alberto Contador, padrone dall’Abetone, vestito di rosa per sedici giorni, mai vincente, ma vincitore comunque. Lo spagnolo ha alzato il Trofeo senza fine, ha vinto il suo terzo Giro sulla strada, il secondo sulla carta, in mezzo una squalifica per clembuterolo, una vicenda non chiara, doping non certo, due anni persi, un Giro e un Tour revocato dopo averli dominati. Contador chiude a Milano quello che potrebbe essere il suo ultimo Giro d’Italia a braccia alzate, tre dita ritte su entrambe le mani, tre come le vittorie ottenute in Italia, una querelle molto stile Juventus, ma tant’è.
Alle sue spalle Fabio Aru, 24 anni, due vittorie e una maglia bianca sul podio che vuol dire presente vincente e soprattutto un futuro da grande protagonista delle corse a tappe. Lo dicono i numeri, tre tappe in tre Giri, i podi, due, prima terzo, oggi secondo, soprattutto la determinazione, la voglia di lottare, il saper superare crisi e momenti duri. Aru ha iniziato come spalla di Nibali, si è trasformato in alternativa a Nibali, ora proverà a diventare rivale, contendente.
L’Astana piazza anche Mikel Landa sul podio. Il basco chiude alle spalle del capitano un Giro da protagonista. Due tappe vinte e la certezza di essere stato l’unico a mettere davvero in difficoltà la maglia rosa, di essere stato lo scalatore più forte e regolare.
Dietro ai tre, tante sorprese e qualche conferma. C’è Andrey Amador, costaricano di madre russa, gregario, ma solo sulla carta, capitano, ma nemmeno troppo, tipo coriaceo, scalatore da difesa, discesista, regolarista, uno che non si vede ma che non lo si stacca facilmente; c’è Ryder Hesjedal, che è certezza, almeno per impegno e agonismo, uomo che attacca e non molla, che si addormenta, perde terreno, corre in modo anarchico, ma che sa emozionare e non darsi mai per vinto; c’è Leopold Konig, sesto, capitano per demeriti altrui e testardaggine propria, uomo ombra senza acuti, ma determinato e costante come pochi; c’è soprattutto Steven Kruijswijk, olandese d’attacco: lo si conosceva come uomo da ritmo, lo si è riscoperto uomo fa fughe e salita, cattiveria agonistica e resistenza, determinazione e coraggio; settimo a oltre 11 minuti, ma mai staccato quando la corsa si faceva dura e cattiva.